LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
Entra nella sezione FILOSOFIA

Se vuoi comunicare con Vito Sibilio: gianvitosibilio@tiscalinet.it

MOYSIS LIBRI

Brevissima introduzione ai Libri Mosaici

“IN PRINCIPIO.”LA GENESI.

IL NOME

Il nome ebraico del Libro è Berashit, ossia la prima parola con cui esso inizia, che vuol dire “In principio”. La LXX lo reintitolò Ghenesis, l’Origine, con un grecismo trapassato integro nelle versioni latine e rimasto nella Vulgata – Genesis- e poi tradotto nelle lingue volgari (in italiano Genesi). Per l’autore e la composizione si veda quanto detto a proposito del Pentateuco.

VALORE DOTTRINALE

Il primo dei Libri Sacri, la Genesi, tratta delle Origini del Mondo, del Genere umano, del Popolo ebreo e contiene la Rivelazione fatta da Dio ai Patriarchi: Adamo, Noè, Abramo, Isacco e Giacobbe; narra altresì le rispettive alleanze. Il gran tema dell’Origine del Mondo e dell’Uomo, inteso come fatto sia naturale che soprannaturale, è qui dunque l’architrave concettuale: la Creazione, la Provvidenza, la natura angelica, diabolica e umana, la Giustizia originaria, la Caduta, la Libertà e il Libero Arbitrio, il destino ultraterreno dell’Uomo, ma anche la Promessa della Salvezza e la formazione del piano redentivo sono qui descritti e spiegati, assieme alle cause e ai fini delle grandi situazioni limite della condizione di ogni uomo e di ogni vivente, come la nascita, la vita, la morte, la gioia, il dolore, la conoscenza, l’ignoranza, la passione, la virtù, la libertà e in genere il senso stesso dell’esistere, nonché la sessualità, il matrimonio indissolubile e unico, la società umana, l’unità del genere umano, il culto; non manca altresì un senso profetico che si esprime attraverso nobili e profonde immagini che prefigurano Gesù Cristo e Sua Madre, ma anche la Chiesa e altre realtà neotestamentarie. La Genesi è dunque il Libro più importante del VT. Per ognuno di questi concetti rimando a quanto ho avuto modo di scrivere in altre circostanze .

CARATTERI DEL LIBRO.

Il Libro Sacro ha ovviamente le caratteristiche letterarie proprie della propria epoca, echeggiando i classici e utilizzando le forme espressive di quella tradizione ormai remota. Non deve essere considerato né un libro popolare né un mero esercizio letterario, ma è appunto una Rivelazione di Dio che si esprime nei modi più consoni alla cultura dell’Agiografo che fu ispirato in tal senso, e che evidentemente sono anche i più atti a veicolare quei concetti nella cultura umana. La Genesi si colloca ampiamente nella grande epica mitologica mesopotamica, di origine sumerica, anche se poi rielaborata – anche parallelamente alla Bibbia – in accadico e in babilonese. E’ un libro di storia, ma nell’accezione propria di quelle culture, in cui la storiografia è celebrativa – in questo caso è magnificato Dio. E’ inoltre un libro storico che si allaccia direttamente alla protologia, in cui il mito è fondamentale; conformemente a tutti i testi del genere – tipici dell’antichità preclassica e classica – la Genesi elabora una narrazione mitologica fondativa simbolica e una storica propriamente detta senza soluzione di continuità. E’ un libro scientifico, ma nel senso che illustra il mondo e la sua struttura come erano concepite all’epoca dell’Agiografo.

Nella Genesi inoltre il contenuto dogmatico è espresso nelle forme teologiche proprie dell’epoca, ossia dei primordi della Rivelazione, per cui vi sono antropomorfismi nella concezione di Dio, mentre spesso mancano completamente le distinzioni tra cause prime e seconde, conformemente alla mentalità semitica, e la concezione degli angeli, dei demoni e dell’aldilà è espressa in modo ancora incompleto. Ovviamente il senso autentico del testo può essere inteso solo con la guida infallibile della Chiesa, il cui magistero interpreta ciò che esso contiene e che è stato inteso nella Tradizione.

LA STRUTTURA

Vi è anzitutto una introduzione (1,1-2,3) concernente la Creazione del Mondo, a cui segue una Prima Parte (2,4-11, 26) sulla Storia dell’Umanità dalla Creazione di Adamo alla Dispersione dei Popoli e una Seconda Parte (11, 27-50, 26) sulla Storia del Popolo Eletto da Abramo alla morte di Giuseppe.

Nella Prima Parte distinguiamo:

  1. Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre (2,4-23). La prova, la caduta, la condanna (3).
  2. Vicende dei primi uomini: Caino, Abele (4,1-15). I discendenti di Caino (4,16-26). I Setiti (5). La Corruzione dell’Umanità (6,7). Noè e il Diluvio (6,8-9,17). Maledizione di Canaan e benedizione di Sem (9,18-28).
  3. La tavola etnografica (10). La Torre di Babele (11, 1-9). Gli antenati di Abramo (11, 10-26).

Nella Seconda Parte individuiamo:

  1. La Storia di Abramo (11, 27-25, 18). Abramo da Ur in Carran, da qui in Canaan, indi in Egitto e nuovamente in Canaan (12,1 -13,4). Guerra con Cordolaomer, liberazione di Lot, incontro con Melchisedec (13,5-14,24). Patto fra Dio e Abramo, nascita di Ismaele e istituzione della Circoncisione (15-17). Distruzione della Pentapoli (13, 5-14, 24). Abramo a Gerar. Nascita di Isacco (20-21). Sacrificio di Isacco (22). Morte di Sara (23). Matrimonio di Isacco e Rebecca (24). Figli di Abramo e Ketura. Morte di Abramo (25,1-18).
  2. La Storia di Isacco e Giacobbe (25, 19-35,43). Esau’ e Giacobbe. Vendita della Primogenitura da parte di Esaù a Giacobbe (25, 20-34). Isacco a Gerar (26). Giacobbe benedetto da Isacco fugge a Carran e sposa Lia e Rachele. Figli di Giacobbe (27,1-31,18). Ritorno di Giacobbe in Canaan. Incontro con Esaù. Dimora in Sichem e a Bethel. Morte di Isacco (31,19-35,29). Discendenti di Esaù (36).
  3. La Storia di Giuseppe (37,1-50,26). Giuseppe venduto dai fratelli e schiavo in Egitto 37-40). Spiega i sogni dei compagni di carcere e del Faraone e diviene vicerè d’Egitto (41). I figli di Giacobbe in Egitto. Primo e secondo incontro di Giuseppe coi fratelli (42-45). Giacobbe e la famiglia si stabiliscono in Egitto a Gessen (46,1-47,12). Amministrazione di Giuseppe (47,13-26). Giacobbe adotta Efraim e Manasse (47,27-48,22). Profezie di Giacobbe, sua morte e onoranze funebri (49,1-50,14). Ultimi anni di Giuseppe e sua morte (50,15-26).

Nello svolgersi degli eventi abbiamo un filo rosso. Dio promette un Redentore, Che arriverà attraverso una linea retta: da Adamo a Set, a Noè; poi da Sem ad Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuda. Sono quindi progressivamente scartati i popoli e le famiglie che non saranno del Salvatore: è in vista di Lui che Adamo è perdonato, che ad Abele è sostituito Set, che Noè è risparmiato, che Sem è benedetto, che Abramo è chiamato, che Isacco è concepito, che Giacobbe ottiene la primogenitura, che da lui nascono Dodici Patriarchi –Ruben, Simeone, Levi, Giuda, Issacar, Zabulon, Gad, Aser, Dan, Neftali, Giuseppe e Beniamino- eponimi di Dodici Tribù che formano il Popolo Eletto e che dal quarto di essi, Giuda, nasce la tribù in cui verrà al mondo il Cristo.

PECULIARITA’ TEOLOGICHE

La prima peculiarità risiede nel concetto di creazione – il verbo ebraico è barah- che supera quello pagano di ordinamento di una materia preesistente. Dio dapprima crea il Cielo – ossia il Paradiso e i suoi abitanti – e la Terra – ossia la realtà immanente nelle sue componenti primordiali; crea l’Abisso – ossia l’Inferno- per i demoni; le acque, accanto alla Terra informe e vuota, segno del caos primordiale, sono il luogo ove aleggia lo Spirito Santo. Dopo questa realtà caotica viene progressivamente ordinata e sviluppata nelle sue potenzialità. Vi è dunque una produzione delle cose ex nihilo subiecti, mentre per ogni salto ontologico – la luce, il firmamento, il mare e l’asciutto, le piante, gli astri, gli animali di cielo e mare, quelli di terra e l’Uomo – vi è un diretto intervento di Dio che non rompe la continuità cosmogonica ma la fa proseguire. Il ciclo creativo si dispiega in sette giorni, con la fondazione della settimana come ciclo del tempo naturale, che è sacro sin dalle origini. Il settimo giorno è il giorno del riposo, su esempio stesso di Dio. L’atto della creazione implica l’avvio del tempo e la fondazione dello spazio. Intrinsecamente connesso alla creazione è il tema della Provvidenza, mediante cui Dio regge quanto via via crea, considerandolo sempre buono e portandolo a compimento. Il vertice della creazione è l’Uomo, per cui ci troviamo dinanzi ad un antropocentrismo esplicito, in cui egli è a immagine e somiglianza di Dio, in quanto dotato di anima e di Grazia. L’Uomo è posto in uno stato di Giustizia originaria che implica una armonia perfetta della sua natura, di questa con il mondo, la presenza di doni preternaturali e sovrannaturali; il tutto ambientato in un luogo ben preciso e storico, l’Eden, collocato in un contesto geografico noto all’agiografo – ma che non è necessariamente vero – e che è quindi realmente esistito anche se oggi è irrimediabilmente perduto. Dall’Uomo come maschio è tratta la femmina della specie, la Donna, onde indicare la perfetta complementarietà dei sessi e la natura sociale dell’Uomo stesso, esplicantesi in una sessualità la cui naturalità è il presupposto della sua moralità, riscontrabile nella capacità dei sessi stessi di completarsi e di essere interfecondi.

Una grande altra peculiarità sta nel fatto che il Libro insegna che la Coppia primordiale ha commesso un Peccato originale che si trasmette sia come colpa che come pena a tutta la stirpe umana, per traducianesimo, cagionandone la rovina, nella perdita dell’armonia delle sue parti costitutive, nonché col mondo circostante, la sanzione della mortalità, delle passioni e dell’ignoranza, la perdita della Grazia e il danno irrimediabile alla libertà, pur nella conservazione del libero arbitrio. Questo è la causa del male del mondo e non la volontà di Dio. Egli anzi subito avvia il Suo piano salvifico di riparazione, mediante la Promessa del Redentore, Che nascerà dalla Donna, riavviando il percorso interrotto dalla Colpa di Adamo ed Eva. Questi capitoli della Genesi si leggono e comprendono bene alla luce della Lettera ai Romani, che però riflettono una interpretazione già esistente. Il racconto della Caduta è ovviamente storico, anche se di difficile collocazione temporale.

Infine particolarmente rilevante è il concetto di Alleanza. Dio si lega spontaneamente all’Uomo e questi gli corrisponde, anche se in modo diseguale. L’alleanza con Adamo è restaurata naturalmente in Noè in attesa della restaurazione soprannaturale in Cristo. L’alleanza con Abramo avvia la storia del Popolo eletto.

Abbiamo inoltre le figure tipiche, quelle simboliche e le antitipiche, le situazioni allegoriche, le profezie e passi di particolare significato spirituale.

Le figure tipiche anticipano generalmente il Cristo, ma anche la Beata Vergine ed altri Sacri Personaggi. Il loro senso si è esplicitato a volte nel corso del tempo. Le figure tipiche di Cristo sono le seguenti:

  1. 1. Adamo. Cristo è infatti chiamato Nuovo Adamo, o Figlio dell’Uomo, ossia è il più bello dei Figli dell’Uomo, il più perfetto, il modello archetipo dell’Uomo stesso e anche la Persona in cui la Natura Umana è unita alla Divina e che può dunque restaurare l’Umanità decaduta. Adamo anticipa Cristo nella nascita da terra vergine (simbolo di Maria) per mano stessa di Dio; nell’aver abitato nel Paradiso Terrestre (simbolo anch’esso della Vergine); nell’aver avuto la perfezione della Grazia; nell’essere il Padre dei Viventi, perché chi nasce secondo la natura dal Primo Adamo eredita il peccato e la morte, mentre chi rinasce soprannaturalmente innestato in Cristo eredita la Grazia e la vita eterna. In questo senso Adamo è anche antitipo o tipo rovesciato, in quanto egli causò la morte con la disobbedienza che danneggiò tutti e Cristo causò la vita con l’obbedienza in cui tutti si avvantaggiano.
  2. Abele. Egli è giusto e gradito a Dio, e il fratello Caino lo uccide per invidia, così come Cristo, solo Giusto, sarà ucciso dai suoi fratelli uomini per odio gratuito.
  3. Enoc. Egli fu preso da Dio vivo dal mondo e disparve, così come Cristo uscì dal mondo risuscitato tramite l’Ascensione. Nella letteratura apocrifa che si sviluppa come midrash della Genesi Enoc ha le prerogative del mediatore superumano ed è identificato con il Figlio dell’Uomo. Cristo rivendicò a Se’ tale titolo con le Sue prerogative e quindi implicitamente azzerò quella interpretazione teologica, presentandosi come il vero compimento di quelle aspettative.
  4. Noè. L’unico giusto che scampo’ al Diluvio sterminatore nell’Arca e che poi concluse con Dio un Patto universalmente valido e ripopolò il mondo può paragonarsi a Cristo, Giusto, immune da qualsiasi peccato, che fonda la Chiesa in cui entrano coloro che scampano alla dannazione eterna, che conclude una Nuova ed Eterna Alleanza, e la Cui stirpe è tutta la umanità salvata.
  5. Melchisedec. Il suo nome significa Re di Giustizia. E’ sovrano di Salem, ossia di Pace. Offre pane e vino. Non ha padre né madre. Non si dice di lui che sia morto. E’ superiore ad Abramo. E’ Sacerdote e Re. Cristo non ha padre come uomo e non ha madre come Dio. Come Uomo non è mai morto. Come Dio non è mai nato. E’ Re di Giustizia e di Pace. Istituisce l’Eucarestia, fatta col pane e il vino. Il suo sacerdozio è superiore a quello levitico, contenuto nelle viscere abramitiche, di cui Levi è discendente. La Lettera agli Ebrei sviluppa in chiave cristologica tutte le prerogative che il midrash attribuisce a Melchisedec, con un procedimento simile a quello usato per Enoc.
  6. Isacco. Nasce miracolosamente da Sara, come Cristo nasce per partenogenesi da Maria. Dio lo richiede in Sacrificio, come Unigenito, sul Monte Moria – presso Gerusalemme – ad Abramo, ossia al Popolo eletto. Cristo è l’Unigenito immolato dagli Ebrei in Gerusalemme. Il sacrificio di Isacco non si compie, perché egli non può salvare il mondo, ed è sostituito da un ariete, mentre Cristo non sarà sostituito perché capace di salvare il mondo.
  7. Giuseppe. E’ il figlio prediletto. E’ odiato dai fratelli. E’ mandato presso di loro. E’ venduto dai fratelli ai pagani e dato per morto. Nel dolore assurge ad altissima dignità e salva i fratelli dalla morte e li conduce in un luogo delizioso. Cristo è l’Unigenito; entra nel mondo con obbedienza per raggiungere gli uomini di cui è oramai simile; essi lo odiano; lo tormentano e lo consegnano ai pagani; ma per le sofferenze si innalza, domina sui pagani stessi e salva il Suo Popolo portandolo in Cielo. Giuseppe sogna di essere adorato. E Gesù verrà adorato dal padre putativo, dalla Madre e dalle Tribu’ di Israele.

Le figure tipiche di Maria SS. sono le seguenti:

  1. 1. Eva. E’ la prima donna in ordine di tempo, mentre Maria lo è per dignità. E’ tratta direttamente dall’Uomo e Maria è copia conforme del Figlio. Entrambe sono chiamate Donna. Eva è madre dei viventi secondo la natura, ma essi muoiono per causa sua; Maria è Madre dei rinati, che vivono per la Sua obbedienza, manifestata nell’Annunciazione e sul Calvario. Eva è dunque un antitipo, oltre che una figura, della Vergine. In Lei vi è la ricapitolazione del Creato, attraverso un capovolgimento di quanto accaduto nell’Eden. Il male fatto da una coppia feconda è capovolto dal bene fatto da una Donna e dal Suo Figlio. Inoltre di Eva non si dice che sia morta, così come Maria è uscita dal mondo per dormizione e poi è stata assunta.
  2. Sara. Ella genera in vecchiaia il suo unigenito per miracolo, mentre Maria genera di Spirito Santo e verginalmente il Redentore.
  3. Rebecca. E’ la Matriarca che sovranamente conduce Giacobbe da Isacco al posto di Esau’, dopo che questi gli ha venduto la primogenitura. Maria, Regina, conduce a Dio i pagani, che hanno preso la vigna che gli Ebrei hanno abbandonato.
  4. Lia e Rachele. Sono le spose di Giacobbe. Entrambe simboleggiano Maria che genera spiritualmente tutto il Nuovo Israele. Rachele genera Giuseppe, simbolo del Cristo.

Altre figure tipiche sono:

  1. Abramo, che simboleggia il credente. Egli vive di fede.
  2. I Tre Angeli che visitano Abramo, uno dei quali è il sembiante di Dio stesso. Adombrano le Tre Persone della Santissima Trinità.
  3. I XII Patriarchi, che prefigurano i XII Apostoli dell’Agnello.
  4. Giuseppe, che può prefigurare lo stesso Giuseppe, padre putativo di Gesù, venerato dal Sole – Cristo – dalla Luna – Maria – e dalle stelle – tutti i fedeli delle XII Tribù; al cui patrocinio Dio ci affida; che dimora in Egitto scampando chi gli è affidato dalla rovina.

Le figure simboliche e antitipiche sono:

  1. L’Eden. Il Paradiso Terrestre rappresenta l’Immacolata Vergine Madre di Dio, dove il Nuovo Adamo è stato posto.
  2. L’Albero della Vita. Rappresenta Cristo sulla Croce. I suoi frutti sono le specie eucaristiche: chi le mangia vive in eterno. I quattro fiumi che sfociano dalla sua sorgente sono le acque del Battesimo che fecondano tutte le quattro parti del mondo.
  3. L’Albero della Scienza del Bene e del Male. Rappresenta la Sapienza Increata, il Verbo di Dio. E indirettamente quella creata, Maria.
  4. Il serpente. Sotto le sue fattezze si nasconde Lucifero. Segno di conoscenza iniziatica, nella Genesi indica una falsa conoscenza. La sua essenza diabolica fu nota anche ai Progenitori quando si fecero tentare.
  5. L’Arca di Noè. Simboleggia la Chiesa, ma anche Maria, che sfugge al comune naufragio. Indica anche l’anima fedele, che naviga tra le tempeste del mondo.
  6. Il Diluvio. E’ l’antitipo del Battesimo, come insegna San Pietro. L’uno uccide, l’altro salva.
  7. La Torre di Babele. E’ l’antitipo della Pentecoste, quando tutti i popoli sono riunificati nell’ascolto della Parola di Dio. L’una divide l’altra unisce, ma sempre con le lingue.
  8. La Circoncisione. Simboleggia il Battesimo. Ma rimanda anche al sangue che Cristo versa, da quando anche Egli è circonciso, per la salvezza dell’uomo. Tutti i maschi versano sangue, per indicare che nel Sangue dell’unico Maschio saranno salvati.
  9. La Scala di Giacobbe. Simboleggia l’Immacolata, che da terra arriva al Cielo e che Cristo percorre per giungere a noi. Simboleggia anche l’ascesa dell’uomo al Cielo.

Le profezie principali sono:

  1. Il Protovangelo: Porrò inimicizia tra te e la Donna, tra la tua stirpe e la Sua stirpe. Tu le insidierai il calcagno. Ma essa ti schiaccerà il capo. La Donna è Maria. La Stirpe è Cristo. L’insidia è la lotta che il serpente fa contro la Donna, ma Lei trionferà definitivamente. La Donna può essere intesa anche come la Chiesa.
  2. Le Benedizioni di Giacobbe. Preconizzano il futuro di Israele. In particolare profetizzano che il Messia nascerà dalla Tribu’ di Giuda, quando questa avrà un Re straniero.

Le situazioni allegoriche e quelle di particolare significati spirituale sono:

  1. La Creazione in Sei giorni, interpretabile in diversi modi anche al di là del fatto cosmologico.
  2. La longevità dei Patriarchi, da Adamo a Giuseppe. Oltre il dato storico, indicano la vita eterna degli amici di Dio.
  3. L’intercessione di Abramo presso Dio per la salvezza di Sodoma e Gomorra. Indica il potere mediativo del giusto.
  4. Giacobbe che acquista la primogenitura da Esaù per un piatto di lenticchie. Indica la trascuratezza con cui l’uomo, colpevolmente, abbandona i doni di Dio a chi viene chiamato dopo di lui. Giacobbe vestito di peli che carpisce la benedizione a Isacco è l’allegoria dei pagani che diventano popolo eletto e lo soppiantano.
  5. La lotta di Giacobbe con un personaggio misterioso – che è Dio stesso – nella notte presso Fanuel sul fiume Jabbok. E’ l’allegoria della lotta che il fedele conduce con Dio nella preghiera, durante le dolorose vicende della vita che lo sorprendono.

La morale della Genesi è ancora imperfetta. Se alle origini l’incesto è inevitabile per la propagazione della specie nella prima generazione, nell’età patriarcale la proibizione razionale appare ottusa dalla corruzione umana e quindi a volte quel tipo di unione è presentato come meno cattivo dell’estinzione della specie (es.: le figlie di Lot e Tamar con Giuda). E’ presente la gelosia di Sara per Agar, giustificata dalla tutela dei diritti ereditari e matrimoniali. Giacobbe è un personaggio astuto che sembra precorrere Odisseo, ma compie scelte che si avvalgono della cattiveria altrui senza causarla; sono altresì previste da Dio e da Lui predisposte per i Suoi fini. Vi sono poi azioni abiette come la vendita di Giuseppe da parte dei fratelli che non hanno alcuna giustificazione, o il massacro dei Sichemiti o l’incesto di Ruben.

I MODELLI LETTERARI E LE RELAZIONI FILOLOGICHE.

Nella Genesi distinguiamo sostanzialmente due tipi di argomenti: uno di carattere universale, relativo alle Origini del Mondo e ai tempi ancestrali dell’umanità; l’altro di carattere tribale ed etnografico, relativo alla storia dei Patriarchi. Il primo tipo ha dei modelli e parallelismi letterari, in quanto tratta argomenti ripresi anche altrove e in modi simili ad altre letterature. Il secondo ne ha in misura di gran lunga più modesta; in relazione a ciò valgano le sommarie citazioni fatte a proposito dei dati storici del Pentateuco in età patriarcale, per la sua datazione. Gli argomenti di tipo universale hanno a mio avviso una complessa preistoria letteraria. Consideriamo anzitutto i modelli extrabiblici e poi abbozziamo una teoria fondativa. Il racconto biblico della Creazione, attribuito alla Fonte Sacerdotale, trova un parallelismo universalmente noto ma molto più elaborato nell’Enuma Elish. Composto nel XVIII-XVII sec. a.C. per esaltare Marduk, descrive l’antica cosmologia sumero-accadica, rivedendola in funzione del dio principale di Babilonia. Esso ha dei paralleli nel Ciclo di Atrahasis, anch’esso paleobabilonese. Il testo ha delle fonti a sua volta molto antiche in lingua appunto sumerica e accadica. Le fonti sumeriche, per esempio, rispecchiano la situazione sociale della fine del III millennio a. C., più o meno l’età di Abramo, rendendo plausibile l’esistenza di un’epica delle origini nomadica e seminomadica che sarebbe l’antesignana letteraria dei primi capitoli della Genesi. Il protagonista delle fonti sumeriche è spesso Enki, il dio della Sapienza, attestato sin dall’età di Sargon (2335-2279), ma che ovviamente è più antico. E’ sempre lui protagonista nell’epica accadica, col nome di Ea. La cosmologia di Nippur (2900-2350) invece attribuisce ad Enlil questo ruolo; questo dio è attestato sin dall’epoca di Fara (2600-2450), sempre cioè a ridosso della età di Abramo, nella sua collocazione più alta. La cosmologia di Eridu (5200-3000) invece mette in evidenza il ruolo di An, il padre di tutti gli dei, venerato ad Uruk (3500-3100), colonia di Eridu e più antica metropoli sumerica. I testi che lo riguardano ricordano le condizioni umane anteriori all’urbanizzazione e all’agricoltura, ossia al IX-VIII millennio a. C. E’ evidente la somiglianza tra la cosmologia biblica monoteista e quella monolatrica di Eridu e Uruk, per cui l’epica nomadica summenzionata avrebbe modelli e parallelismi letterari addirittura anteriori all’invenzione della scrittura, quando i racconti erano orali, fino alla prima metà del IV millennio a.C. L’antico poema Enuma Elish, che in ogni caso è l’ultima grande fonte cosmologica mesopotamica ed è anteriore alla stesura del Pentateuco anche se lo datiamo all’epoca più antica possibile (XVII sec.) e che perciò è un punto di riferimento letterario obbligato per la Genesi, attribuisce a una pluralità di dei in conflitto tra loro l’organizzazione del cosmo. Caos primordiale, creazione della luce, del firmamento, della terra e dell’Uomo, nonché il riposo finale sono elementi comuni ai due testi. La Genesi ha invece la peculiarità di un solo Dio, di una creazione ex nihilo, di una trascendenza del Creatore; ha inoltre una narrazione più semplice e schematica, ma anche più profonda e arcaica. Se partiamo dal presupposto che si va dal semplice al complesso, la mitologia monoteistica dovrebbe essere più antica, o almeno polemica nei confronti di quella politeistica. Probabilmente la tradizione mesopotamica sull’origine del mondo aveva una forma monoteistica e una politeistica; quest’ultima deve aver raggiunto una forma letteraria prima dell’altra, e deve averla da questo punto di vista influenzata. In ogni caso l’ambientazione della Creazione biblica è sumerica: l’Uomo è fatto di argilla, materiale predominante nella Mesopotamia meridionale; l’Eden sembra essere posizionato nel Nord della Mesopotamia, in quanto da esso nascono il Tigri e l’Eufrate, oltre ad altri due fiumi minori non facilmente identificabili (Nilo e Indo?), data anche la scarsa conoscenza geografica di quei tempi remotissimi.

La Caduta, attribuita alla Fonte Jahwista, echeggia l’Epopea di Ghilgamesh, anch’essa sumerica. Re di Uruk, divinizzato sin dall’epoca di Fara, è protagonista di cinque poemi. In accadico poi è al centro di una epopea differente e ancor più vasta (2350-2200). In un certo episodio dell’epopea sumerica, Enkidu, amico dell’eroe, è sedotto da una donna, che lo elogia per aver ottenuto la sapienza di un dio; sopravviene la Caduta ed Enkidu si accorge di essere nudo. Nella Genesi la potenza seduttrice è diabolica e la donna è anch’essa ingannata; il tutto alle origini del mondo. Anche in questo caso la forma più antica dell’epopea è a ridosso dell’età più alta in cui porre Abramo e rende possibile l’inserimento nell’epica seminomadica di un racconto della Caduta, che anzi probabilmente esisteva in forme ancor più simili a quelle bibliche nella religione eblaita, essendo in quella lingua presenti i nomi Adamo ed Eva. Un’altra attestazione della Caduta nella letteratura antica è il Mito di Adapa, della mitologia di Eridu, noto anche in Egitto nel XIV sec., in cui abbiamo diversi parallelismi con il racconto della Genesi.

I Dieci Patriarchi antidiluviani riprendono, con la loro genealogia messa in capo alla Fonte Sacerdotale, quella dei Re mitologici dell’antica Mesopotamia, che vivono per lunghissimo tempo. La Lista dei Re di Isin (2000-1800) e Larsa (1800-1700) ha una interruzione, causata dal Diluvio, in cui a Re che vivono per tempi lunghissimi seguono sovrani umani con una vita normale. Sono quindi i corrispettivi biblici degli Otto re sapienti che regnano sul mondo per ventimila anni. Vi erano dunque, nei tempi immediatamente posteriori ad Abramo, già liste i cui archetipi erano alla base sia del loro modello genealogico, sia di quello biblico. La loro prosecuzione postdiluviana fa da trait d’union tra quei Patriarchi e la famiglia di Abramo. Questo attesta la volontà della tradizione seminomadica di riallacciarsi alla mitologia degli stanziali, evidentemente già da tempi antichissimi (seconda metà del III millennio a. C.).

Il Diluvio, il cui racconto nella Genesi è la combinazione di due versioni, una elohista e una jahwista, è descritto anch’esso nell’epopea di Ghilgamesh. Gli dei decidono di sterminare gli uomini per ragioni ignote. Uno di essi è scelto da Ea, senza chiarirne i motivi, per far sopravvivere la stirpe: è Utnapishtim, a cui è insegnato a costruire un’Arca, per imbarcarvi se stesso, la famiglia e gli animali. Per una settimana è sballottato dai flutti, poi Utnapishtim si arena su di un monte – a cinquecento km dall’Ararat dove si arena invece Noè – libera una rondine, una colomba e un corvo; quando la terra si asciuga esce e offre un sacrificio agli dei e ad Enlil. Egli stesso è poi divinizzato. Il racconto del Diluvio ha fatto parte in origine del poema di Atrahasis. Per esso circa milleduecento anni dopo la Creazione gli uomini sono sterminati da Enlil che ne detesta il chiasso, mentre Enki salva il protagonista e induce il fratello a far rinascere l’umanità, mentre Atrahasis è divinizzato. Nel mito sumerico, il protagonista è Ziusudra (XVII sec.); anche lui è salvato da Enlil ed è divinizzato. Nell’Epopea di Erra (XI sec.) pure si parla del Diluvio e della sopravvivenza della città di Sippar. Di questi miti, quello di Atrahasis è presumibilmente il più antico. La leggenda del Diluvio nasce dunque letterariamente in accadico intorno al XX sec. a.C., sempre a ridosso dell’età di Abramo, per cui può essere stata presente nell’epica seminomadica prebiblica.

Ponendo ora mente a quanto scrivevo all’inizio sulla possibilità di proporre una teoria fondativa, tenendo anche presente la teoria olistica da me enunziata sulla formazione del Pentateuco in generale, a cui rimando per quanto concerne la stesura della Fonte Nomadica e le relazioni tra le cosiddette Fonti J, E e P.

In origine, nel Medio Oriente vi è un’epica monoteista. Intorno al 10000 a. C. gli uomini, ancora nomadi, praticavano il culto del Dio del Cielo. In forme orali e non letterarie, essi si devono essere configurata l’origine del mondo e della loro specie. I dettagli di tale epica non possono in alcun modo esserci noti. Ma tra il 10000 e l’8500 a.C. esiste in Siria Palestina il periodo Natufiano, mentre tra l’8000 e il 7300 abbiamo, sempre in quella sede, il Neolitico Aceramico A: due età preistoriche ancora caratterizzate da condizioni seminomadiche.

Con la nascita della civiltà urbana, l’epica, ancora orale, diviene tuttavia letteraria. Il fulcro di questa fissazione in Mesopotamia è la città di Eridu; essa è abitata dal 5200 a. C. ed è lì che è redatta una antica cosmologia avente An come protagonista. In essa sono attestate delle forme prescrittorie che giungono a maturazione verso la metà del IV millennio, con la nascita della scrittura cuneiforme, ad Uruk, il cui impero commerciale si estende su tutta la mezzaluna fertile, in Anatolia, in Iran e forse in Egitto. Sotto l’egida di Uruk si diffonde dunque questa cosmologia arcaica, che si allunga a comprendere già la storia del Diluvio e che ha come ulteriori momenti salienti la Creazione e la Caduta, mentre ha una imponente erudizione mitologica basata su complesse genealogie. Ma la sua caratteristica precipua è il politeismo, conseguenza della civiltà stanziale, della differenziazione dei compiti di lavoro e della frantumazione progressiva dell’unità politica primigenia. A un solo Dio Creatore subentrano una pluralità di entità divine che lasciano in ombra o sostituiscono del tutto il Dio più antico. Ma le tracce di questo Dio ancestrale rimangono forti e non solo nella Genesi: anche la mitologia fenicia e quella eblaita parlano del ruolo primigenio di El, ossia di Dio. La nascita della scrittura fa sì che, in sumerico, essa possa già essere fissata. Compaiono altre figure di dei, come quella di Enlil. Le forme letterarie che essa assume progressivamente influenzano le modalità espressive dell’antica epica nomadica e seminomadica, che continua a sussistere, pur essendo più antica.

Ai tempi di Abramo (XXV-XXIII secc. a.C.) esisteva dunque una cosmologia seminomadica o monoteista, volendo col primo aggettivo definirne più l’origine che le condizioni di vita di chi la professava e col secondo il ruolo esclusivo riservato al Dio ancestrale. Questa cosmologia era presumibilmente fissata nelle forme classiche della letteratura mesopotamica, in lingua sumerica e accadica, ma era accessibile anche nella lingua dotta d’Occidente, l’eblaita, e nell’amorreo. Questa cosmologia è dunque letterariamente e teologicamente prebiblica, ma fa parte del patrimonio culturale che entra nella Bibbia stessa mediante la tradizione, scritta e orale, dei Patriarchi, con la cui saga si fonde non solo narrativamente ma anche storicamente, essendo presenti le già citate antiche genealogie che legano Abramo agli eroi prediluviani, e avendo delle peculiarità mitiche anche a livello erudito (come appunto il numero di Patriarchi prediluviani e il nome e le vicende del protagonista del mito del Diluvio).

Nella stesura incipiente del Pentateuco questa antica cosmologia arriva come parte integrante della tradizione patriarcale. Essa sembra di fonte differente- sacerdotale – perché porta le stigmate della composizione erudita avvenuta negli ambienti sumerici e accadici, ma è un tutt’uno con quella che è chiamata la fonte Jahwista, anche se si è potuta più facilmente rivedere nel corso dei secoli per gli svariati contatti con gli Imperi mesopotamici, fino all’Esilio Babilonese. Di essa, uscita dalla mano di Mosè, vengono invece riscritte quelle parti della tradizione meno caratterizzate letterariamente. La fonte J della Genesi riscrive anche la tradizione patriarcale – Fonte N- lasciando sopravvivere solo alcuni passi della E, della quale, come dicevo per l’introduzione al Pentateuco, c’è da credere che sia più antica. Appare dunque evidente che la Genesi nasce dallo sforzo di leggere, da parte di Mosè, in chiave jahwista, tutta la tradizione patriarcale elohista, salvando però, in virtù della sua superiorità letteraria, la cornice introduttiva della Creazione e alcune sezioni erudite che sono dette impropriamente sacerdotali.

E’ poi a mio avviso assolutamente inconcepibile che la Creazione sia stata concepita, all’interno della Fonte Sacerdotale, a ridosso dell’Esilio babilonese, sia perché in quel periodo il bisogno identitario di Israele avrebbe dovuto rigettare il modello protologico dei suoi oppressori babilonesi, sia perché la matrice mesopotamica dell’origine degli Ebrei appare evidente ed è di molto più antica, sia perché non è concepibile che sino al VI sec. un popolo, come quello di Israele, che esisteva come realtà strutturata da mezzo millennio e come anfizionia da un minimo di due a un massimo di sei secoli in più, senza parlare della sua esistenza prenazionale di almeno altri quattrocento anni, non avesse una sua sia pur semplice cosmologia.

I DATI STORICI

La Bibbia ha una cronologia interna che, partendo dalle date certe del regno di David, ci permette di salire sino a quelle mitiche dei fatti narrati dalla Genesi. Questa cronologia interna, a cui facevo cenno parlando della storicità del Pentateuco, e che non è certo affidabile per i fatti anteriori ad Abramo – della cui collocazione in un’epoca precisa ho parlato in relazione all’introduzione al Pentateuco, partendo dalla distruzione di Sodoma e Gomorra- merita senz’altro di essere riportata, a scopo esemplificativo. Il mondo sarebbe nato nel 4496 a.C. Tra Adamo e il Diluvio passerebbero 1656 anni. Adamo sarebbe morto 930 anni dopo la Creazione, Set 1042, Enos 1140, Kenan 1230, Malael 1355, Jared 1422, Enoc 987, Matusalem 1656, Lamec 1651. Il Diluvio sarebbe accaduto 390 anni prima di Abramo, ossia nel 2842 e Noè sarebbe morto nel 2490. Tale cronologia avrà avuto dei motivi a noi oramai ignoti e forse potrebbe essere calcolata diversamente, ma in ogni caso non è per noi foriera di alcuna conoscenza storica reale, se non nei casi segnalati. Nel 4497 siamo in realtà agli esordi della fase culturale di ‘Ubaid, ossia i primordi della civiltà mesopotamica protostorica. Ci soffermeremo sulla storicità della Creazione, della Nascita dell’Uomo, del Diluvio, avendo già fornito i dati su quella dei Patriarchi, a proposito dei quali faremo qualche puntualizzazione.

La Creazione è senz’altro un dato storico, nel senso naturalistico. Tuttavia, se fino a qualche tempo fa la fisica poneva un assioma per il quale la Creazione era solo un postulato logico – metafisico (nulla si crea e nulla si distrugge), recentemente sono state formulate teorie che, opportunamente corrette alla luce della filosofia tomista, permettono di dimostrare la creatio ex nihilo. Per la seconda legge della termodinamica l’entropia tende sempre ad aumentare e la sua massima espressione, intesa come dissipazione di energia, è il nulla. Se l’universo viene dal nulla, ossia da una neg-entropia, bisogna supporre la possibilità teorica di un intervento che, sulla base stessa delle leggi del cosmo che ne deriverebbe, può generarlo. Questo principio è la simmetria. Esso garantisce la stabilità di ogni stato. Nell’universo dovrebbe esistere una eguale quantità, e quindi una simmetria, di materia e antimateria, ossia di due stati che se vengono in contatto si annichiliscono e creano il nulla, dove evidentemente vi è una nuova e perfetta simmetria. Tuttavia le simmetrie non sono stabili e tendono a rompersi. Per la cromodinamica quantistica i quark e gli antiquark scaturiscono spontaneamente dal nulla, rompendo la simmetria. Il che implica che l’esistere delle cose sia più naturale che il loro non esistere. Se accettiamo la visione più accreditata sull’origine del Cosmo, ossia la teoria del Big Bang, possiamo considerare questo svolgimento dei fatti: dopo l’esplosione abbiamo la rapida espansione o periodo di inflazione, che inonda l’universo di energia; l’energia si trasforma in massa secondo l’equazione di Einstein (e=mc2 ); la massa produce gravità; essa si oppone all’inflazione frenandola; il tutto avendo come punto di partenza non più un’energia primordiale condensatasi misteriosamente prima del Big Bang (quasi in un eterno ritorno) e da conservarsi per mantenere l’equilibrio complessivo del cosmo, ma una quantità di energia pari a zero, la quale, proprio perché è zero, non ha bisogno di essere conservata e può rompere la simmetria. Appare pertanto evidente che le leggi di natura erano fissate da prima che il mondo nascesse, evidentemente da Dio, e che furono applicate a qualcosa che non ancora esisteva e che, non appena nacque, aveva al di fuori della sua stessa dimensione la sua causa prima. Da questo istante inizia a svolgersi il tempo e si dispiega lo spazio.

La nascita dell’Uomo è anch’esso un fatto storico naturalistico. Un tempo il creazionismo puro postulava che la specie uomo fosse nata direttamente per intervento divino, solo da una materia preesistente. L’evoluzionismo, postulando un disegno intelligente, ha immaginato che l’Uomo potesse nascere da una materia preesistente intesa come forma di vita (es. la scimmia antropomorfa o l’ominide, almeno secondo la vulgata, visto che in senso stretto la paletnologia ha mostrato che i primati e l’uomo hanno antenati comuni ma non vi è filiazione diretta). Lo schema classico era: la linea portante biforcata in Dryopitechus e Ramapithecus (13 milioni di anni fa); dal Ramapitechus – in modo simile - all’Australopithecus (Africanus [3 milioni di anni fa] e Robustus [2 milioni di anni fa]); dall’Australopithecus – sempre per biforcazione -all’Homo Habilis (1750000 anni fa); da questo all’Homo Erectus (1000000 di anni fa) o, come più recentemente si è sostenuto, dallo Habilis all’Homo Sapiens (500000-250000 anni fa), scartando la linea evolutiva dell’Erectus; dall’Homo Sapiens, l’ultima biforcazione: il Sapiens Neanderthalensis (250000) e il Sapiens Sapiens (100000-40000 anni fa), che è la nostra specie. In quest’ottica l’Uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio è, verosimilmente, solo il Sapiens Sapiens, o al massimo il Sapiens. Di recente si è messo in evidenza che circa 100000 anni fa avvenne un salto genetico scientificamente inspiegabile attualmente, ma che rompe il paradigma evoluzionista facendo nascere la nostra specie mediante un salto. Esso corrisponde alla Creazione dell’Uomo direttamente da parte di Dio.

La Caduta è un fatto non dimostrabile storicamente; al massimo, come dicevano Pascal e Kant, è razionalmente accettabile per comprendere il motivo della sofferenza umana. In ogni caso, essa è presente nel patrimonio mitologico di molti popoli, come Cinesi, Indiani, Greci, Persiani ecc. Il sigillo di Adamo ed Eva, trovato a Tepe Gawra presso Ninive e risalente al IV millennio a.C., raffigura un uomo e una donna nudi e avviliti, seguiti da un serpente, che camminano, come se fossero stati scacciati da un luogo. Esso rappresenta la più antica attestazione artistica del mito raccontato nella Bibbia, ma molto prima che essa fosse scritta. Vi è anche un sigillo detto della Tentazione, dove un uomo e una donna – vestiti – sono raffigurati presso un albero da frutta dove è ritto un serpente. La Bibbia rivela la condizione di giustizia originale dell’Uomo, la sua armonia con la natura in Eden, la sua tentazione, la sua disobbedienza e la sua cacciata dal Paradiso Terrestre, oramai perduto. L’ordinamento patriarcale della società è attestato sin dal IV millennio a.C. e fino al III.

Per quanto concerne il Diluvio, si tratta senz’altro di un fatto storico, risalente all’origine dell’Umanità. Ma quello di cui parla la Bibbia è anche quello di cui fanno menzione i miti di quasi cinquecento civiltà? Sono quelle scandinave, irlandese, greca, indiana, cinese, delle Andamane, indonesiana, indocinese, malese, dello Jakun, del Kelantan, dei Temuan, australiana, maori, polinesiana, Micmac, hawaiana, caddo, hopi, azteca, inca, maya, mapuche, muisca e ovviamente la mesopotamica. O queste hanno conservato la memoria di un evento più antico? Se identifichiamo il Diluvio con un catastrofico evento preistorico legato alla fine dell’ultima Glaciazione, risaliamo a circa 10000 anni fa, e sicuramente individuiamo ciò che ha segnato la memoria collettiva dell’Umanità. Bisogna però puntualizzare che delle catastrofi di tale portata si sono più volte ripetute nella preistoria, e quindi bisognerebbe capire a quali di questi eventi si rifà sia l’epica mesopotamica che quella biblica. Per esempio alcuni suggeriscono di identificare il Diluvio con la colossale inondazione esondazione del Mar Nero e del Mediterraneo avvenuta circa 5600 anni a.C. Il dato obiettivo tuttavia colloca l’evento nell’Alluvio mesopotamico, mentre la cronologia erudita della mitologia biblica e quella sumerico-accadico-babilonese concordano nel fissare il Diluvio nei secc. XXX-XXIX a. C.; i riscontri archeologici permettono di individuare una crisi radicale della cultura di Uruk verso il XXXII sec. a.C.; di recente poi una spedizione archeologica turco-cinese avrebbe rinvenuto sul Monte Ararat dei legni databili al C14 verso il 2800 a.C. e li ha attribuiti all’Arca; alcuni sostengono che in quel periodo un meteorite abbia colpito l’Oceano Indiano provocando uno tsunami che colpì anche il Vicino Oriente. Possiamo ritenere dunque il racconto biblico e la stessa figura di Noè come storico. In quanto poi all’estensione del Diluvio, vi sono tre ipotesi: che sia stato esteso a tutta la terra; che sia stato esteso alla sola terra abitata; che sia stato esteso solo ad una parte della terra abitata. Quest’ultima opinione è quella attualmente più seguita, almeno implicitamente, mentre quella che esplicitamente ha avuto più sostenitori è stata – in un passato recente – la seconda.

La Torre di Babele è probabilmente legata alla nascita del tipo architettonico della zigurrat, la cui massima espressione fu quella di Ur Nammu del 2500 a.C. Un primo tentativo dev’essere stato punito da Dio e deve aver favorito la dispersione dei popoli che altrimenti sarebbero rimasti sempre nella zona. Già dal V millennio esistevano delle costruzioni di quel tipo, sia in Uruk – nell’Eanna, l’area sacra- che nel Mediterraneo. La tavola dei popoli, con i Camiti in Africa e Palestina, i Semiti nella Mesopotamia e in Arabia, i Giapetici in Eurasia, corrisponde al dato per cui le grandi civiltà di queste aree sono tutte, sia pure di poco, posteriori all’epoca in cui cadde il Diluvio.

In quanto ai Patriarchi di Israele, già parlando della datazione del Pentateuco ho avuto modo di evidenziare tutti gli aspetti storici e cronologici relativi alla loro vicenda. Aggiungo solo alcune brevi annotazioni. Anzitutto che non c’è motivo per dubitare della loro esistenza, sia per i riscontri epigrafici sia per la precisione del contesto storico della narrazione, ne’ di supporre duplicazioni e scissioni dei personaggi storici (come fanno coloro che scindono Giacobbe da Israele). Poi che le loro esperienze mistiche sono storiche, in quanto sono perfettamente possibili – anche oggi ne avvengono tante – e sono indispensabili per capire lo sviluppo successivo della religione di Israele. Indi che la loro straordinaria longevità può benissimo addebitarsi alla Onnipotenza divina, con un relativo ritardo di invecchiamento. Infine che la loro storia è una storia di clan e che dietro ognuno di essi c’è un gruppo sociale che da lui prende il nome. Da questo punto di vista avere fede nella Scrittura è determinante. Alcuni episodi della vita dei Patriarchi sono anche situabili storicamente: la Campagna dei Quattro Re potrebbe aver avuto come protagonista il re dell’Elam Peli o Lukh-Ishan nel XXIV sec. a.C., o uno dei Sukkalmah nel XIX sec. Il celeberrimo sacrificio di Isacco si colloca nel quadro di una ripulsa dei sacrifici umani assai comuni nella Siria Palestina. La Distruzione delle Città della Pentapoli (Sodoma, Gomorra, Adma, Zeboim, Bela), della cui datazione ho detto, si può attribuire a una serie di catastrofici terremoti improvvisi. In quanto al Faraone con cui ha a che fare Abramo, se seguiamo la cronologia bassa può essere o Sesostri III (1878-1842) o Amenhemeth III (1842-1797), in quanto la sua disavventura matrimoniale si colloca tra il 1850 e il 1819. Se seguiamo la cronologia alta – alla quale io mi attengo – e collochiamo l’avventura egiziana del Patriarca e di Sara tra il 2375e il 2349, allora può essere Unas (2375-2345).

Per quanto riguarda poi la Discesa degli Ebrei in Egitto, in relazione alla mia datazione alta (XXII sec. a. C.) cito come riscontro alcuni elementi. Anzitutto la grande carestia che si abbattè sull’Egitto alla fine del III millennio, che ricorda quella descritta nella Genesi e che Giuseppe riuscì a contenere. Questa grande carestia non si concluse bene, ma bisogna dire che non infuriò sull’Egitto tutto alla stessa maniera. Sembra poi che la migrazione ebraica sia avvenuta nel quadro di più ampi movimenti di popoli asiatici provenienti dalla Palestina, in un momento in cui l’Egitto, a causa della crisi che pose fine all’Antico Regno, è diviso in tre Stati, dei quali quello di Menfi controllava – però solo nominalmente per un certo periodo – il Delta, invaso dagli stranieri e dove appunto si stanziarono i Patriarchi (Terra di Gessen). Giuseppe potrebbe essere stato il gran visir del faraone mentita Meriba (dal 2160) o piu’ presumibilmente del predecessore, mentre la sua morte, stando alla lettera della cronologia biblica, sarebbe avvenuta sotto Khety III (2130-2080). Questi asiatici invasori furono poi cacciati, ma ciò non implica che lo fossero anche gli Ebrei, di numero inferiore e legati alla corona per la memoria di Giuseppe. La storia di questi ha un riscontro in quella di altri potenti funzionari, come Shemai, che si glorifica per le imprese compiute in nome del Faraone. Anche il Racconto di Sinuhe, redatto in quest’epoca, sembra avere un modello letterario comune a quello di Giuseppe, sebbene lo capovolga, facendo fuggire un egiziano in Palestina e mettendolo al servizio di un capo locale, fino al sospirato ritorno in patria. All’epoca in Egitto già si credeva nella remunerazione oltretombale, cosa congruente con buona parte dei racconti patriarcali.

I LUOGHI DELLA GENESI

Il libro sacro descrive diversi spostamenti in luoghi storicamente identificati. Essi sono riscontri archeologici per la saga dei Patriarchi.

Il viaggio di Abramo verso la Palestina: Carran, lo Jabbok, Sichem, Ai, l’Egitto; poi di ritorno Betel. Indi di là Salem, Ebron, Zif, il Negev, Gerar e Bersabea.

L’invasione dei Re d’Oriente: Damasco, Astarot Carnaim, Ham, Cariataim, i Monti di Seir, El Faran, Cades Barne, Asason Tamar, Adma, Dan e Hoba.

L’inseguimento di Abramo: Ebron, Salem, Dan, Hoba.

La fuga di Agar: Ebron, il Pozzo di Lacai Roi. La seconda volta Ebron, Bersabea e il Deserto di Faran.

Il viaggio di Abramo al Monte Moria (futura Gerusalemme): Bersabea, Ebron, Salem, Moria.

I viaggi di Eliezer: Ebron, Sichem, Damasco, Tadmor (Palmira), Haran, e al ritorno fino al Negev.

L’itinerario di Isacco: Ebron, Bersabea, Gerar e il Pozzo del Vivente.

Viaggio di Giacobbe a Carran: Bersabea, Betel, Damasco, Tadmor, Haran.

Ritorno di Giacobbe: Carran, Tadmor, Damasco, Montagne di Galaad, Fanuel, Mahanaim, Succot, Sichem, Betlem, Mamre, Ebron.

Il viaggio forzato di Giuseppe: Ebron, Dotaim, Sichem, Gaza, El Arish, Tanis.

Il viaggio dei Patriarchi da Giuseppe: Ebron, Bersabea, Gaza, El Arish e Tanis.

Viaggio di Giacobbe in Egitto: Ebron, Bersabea, Gaza, El Arish e la Terra di Gessen.

Viaggio del convoglio funebre di Giacobbe: Gessen, Asion Gaber, l’Araba, l’Aia di Atad, Mamre, Ebron, Macpela.

Diciamo delle più importanti. Harran ha una costellazione di città molto antiche, con nomi che ricordano la geneaologia di Abramo (Nachur, Taruchi, Selug), alcune citate nei testi di Ugarit altre nel XVIII sec. Ai e Sichem sono città dell’Antico Bronzo. Sichem risale anch’essa ad un’epoca coeva. Presso di essa vi è ancora oggi la Tomba di Giuseppe. Ebron esisteva già nella prima metà del Quarto Millennio a.C. Presso di essa la Caverna di Macpela contiene le Tombe di Abramo, Sara, Isacco, Rebecca, Giacobbe e Lia, oggi circondate dal complesso monumentale di Erode I. Salem è il nome antico di Gerusalemme, che risale all’età della prima urbanizzazione. Bersabea è popolata dal IV millennio a.C. Betel è santuario già dall’epoca dei Giudici e si rifà all’altare megalitico di Giacobbe, sorto colà quando ancora la città era un santuario cananeo chiamato Luz. Bersabea è sito archeologico con vestigia di età posteriore a quella di Abramo ma che di sicuro esisteva anche allora. Del Pozzo di Lacai Roi la Bibbia da’ la collocazione e oggi può essere identificato con buona approssimazione. Così di Fanuel e di Mahanaim presso lo Jabbok. Gerar, il cui Tell è ancora visibile, era una città cananea del Negev. Betlem è il luogo presso cui tradizionalmente si colloca la Tomba di Rachele, ancora oggi visibile.

“QUESTI SONO I NOMI. L’ESODO”

IL NOME

Il nome ebraico è, come di prassi, costituito dalle prime parole del testo, ossia weelleh shemot, “questi sono i nomi”, che nella LXX è diventato Exodòs, in latino Exodus, voce dotta che indica l’uscita degli Ebrei dall’Egitto e il suo permanere nel Deserto. Il nomen vulgaris è appunto Esodo.

VALORE DOTTRINALE

L’Esodo ha un grandissimo valore nell’ambito della Rivelazione: completa la prima fase della stessa e corrisponde all’età in cui viene messa per iscritto; istituisce la Vecchia Alleanza e fonda la religione mosaica; contiene il Nome di Dio: אהיה אשר אהיה’ Ehjeh ’Asher ’Ehjeh, ̉Εγώ ειμί ̉ο̉ ̃Ων; Ego sum Qui sum; Io Sono Colui Che Sono. Esso è più brevemente espresso con יהוה (YHWH), di solito. Il libro contiene inoltre il fondamento della morale naturale, positiva e rivelata: il Decalogo, la cui formulazione arcaica potè essere più breve di quanto non sia ora nel testo, essendo state esplicitate nella tradizione del Pentateuco le ragioni del comando; contiene altresì il Codice dell’Alleanza, i cui precetti morali, mutatis mutandis, valgono anche per i Cristiani.

CONTENUTO E STRUTTURA DEL LIBRO

L’Esodo narra l’adempimento della Promessa di Dio ad Abramo. Puo’ dividersi in tre parti:

  1. Israele in Egitto (1, 13-16).
  2. Israele dall’Egitto al Sinai (13,17-18,27).
  3. La Teofania del Sinai; l’Alleanza e la Legge (19-40).

Nella prima parte, Israele è oppresso dagli Egiziani, ma Dio ne prepara la liberazione, salvando Mosè dallo sterminio dei bambini ebrei ordinato dal Faraone, facendolo adottare dalla Principessa ed educare a Corte e predisponendolo al compito di condottiero (1-2). Importante nella vita di Mosè è la fuga in Madian, presso il Paese dei Keniti, per sfuggire alla giustizia egiziana che l’avrebbe punito per aver ucciso un sorvegliante. Qui Mosè sposa la figlia del sacerdote Ietro e, mentre ne pascola il gregge, presso il Sinai, incontra Dio nel Roveto Ardente e riceve la Rivelazione del Nome e la missione di liberare il Popolo. L’incontro col Faraone di Mosè ha aspetti drammatici, perché il primo aggrava l’oppressione degli Ebrei e questi accusano il secondo e il fratello Aronne di tradimento (5). Ma Dio rinnova la Sua volontà di salvezza e l’investitura di Mosè (6,1-14). Questi si presenta al Faraone con Aronne, cambia la sua verga in serpente che divora le verghe, trasformatesi anch’esse, dei maghi egizi; il sovrano tuttavia si irridisce e ciò prelude alle Dieci Piaghe d’Egitto (7-11). Il racconto delle Piaghe si conclude con l’istituzione della Pasqua (12,1-13,16).

Nella seconda parte Israele, nella sua fuga, evita le due strade fortificate e difese che uniscono l’Egitto al Sinai, si dirige verso il Sud Est verso le paludi (13,17-22). Qui le acque del Mar Rosso si aprono per permettere la sua fuga, mentre si richiudono sugli inseguitori. Ciò è narrato in forma storica (13,17-14,31) e in forma poetica (15,1-21). Durante la peregrinazione nel Deserto Israele è nutrito con le quaglie e la manna, mentre è dissetato con l’acqua scaturita dalla Roccia (16-17,1-7).

Nella terza parte Israele giunge ai piedi del Sinai. Mosè sale sulla montagna dove, tra i tuoni e in una nube, riceve da Dio i Dieci Comandamenti. Vi è annesso il Codice dell’Alleanza. Esso si chiude con la duplice ascesa di Mosè al Sinai per la ratifica del Patto e la ricezione delle Tavole contenenti le Leggi e le istruzioni sul culto (24,1-11).

CARATTERISTICHE, LETTERARIETA’ E STORICITA’ DEL LIBRO

L’Esodo è un testo storico-giuridico-religioso, composto essenzialmente di una parte narrativa che descrive l’uscita dall’Egitto e una parte giuridica che enuncia le norme dell’Alleanza. Esse non sono giustapposte: i prodigi con cui Dio libera Israele dalla condizione servile sono le credenziali con cui Egli Si presenta per stipulare il Patto e dare le norme. La grande cornice è quella di un pellegrinaggio del popolo eletto verso il Monte di Dio, conformemente alla tradizione semitica che faceva appunto delle montagne il luogo dell’incontro con la divinità.

Come opera narrativa, l’Esodo ha una grande compattezza, tanto che il discernimento delle tre fonti J E P è spesso puramente ipotetico, anzi il testo sembra comprovare l’ipotesi che fa della E postpatriarcale una variazione pura e semplice della J e della P una parte integrante della J stessa. Pur non mancando brani di difficile decifrazione per i moderni, come la circoncisione di Mosè, il libro ha una sostanziale unità stilistica e una grande potenza evocativa, è il frutto di un consumato magistero letterario che passa dalla coralità all’intimismo usando immagini di sicura forza emotiva. Dei modelli giuridico-letterari dell’Esodo dicemmo già a proposito del Pentateuco, dove pure parlammo delle questioni storiche ad esso relative, abbracciando tutto il ciclo narrativo che si conclude con il Deuteronomio. In ordine a questo vale la pena di puntualizzare che non è il caso di dubitare dei fenomeni mistici di cui Mosè è stato protagonista, né tantomeno della sua piena storicità, pena l’infondatezza della religione ebraica che invece è originalissima proprio nel suo monoteismo e nella definizione ontologica di Dio; vanno conservate, per quanto possibile, integre le norme nella loro attribuzione mosaica, anche in vista di uno stanziamento: la società ebraica infatti era stanziale prima della fuga e lo fu dopo entrando in Terra Santa, mentre il seminomadismo fu un fatto temporaneo e Mosè legiferò sempre in vista dello stanziamento; le grandi Piaghe d’Egitto, manifestazione abnorme di fenomeni naturali comuni o possibili in quel Paese, sono sicuramente storiche in quanto solo esse potevano piegare l’orgoglio del Faraone e della sua teocrazia; analogamente sono credibili la potenza miracolistica di Mosè e i prodigi che Dio gli permise di compiere; infine il Passaggio del Mar Rosso è, com’è noto, avvenuto in una zona acquitrinosa nella parte settentrionale del Golfo di Suez, la cui traduzione letterale è “Mare dei Giunchi”. Essa di solito non è identificata più con il Mare propriamente detto, ma solo se accettiamo che siano stati attraversati degli acquitrini contigui al Mare stesso possiamo conservare l’itinerario successivo, incompatibile con le identificazioni con il Lago Timsa, con quello Sirbonis o con la Palude dei Papiri. Il numero dei fuggiaschi è indicato nell’Esodo in seicentomila maschi adulti, ma è difficile da accettare, perché supporrebbe due milioni di individui al lordo di donne bambini e vecchi. Esso potrebbe essere il totale degli esodati che nell’arco di tre movimenti uscirono dall’Egitto. Ad onor del vero però bisogna dire che il Medio Oriente era più popoloso di quanto crediamo. Nei pressi di Sodoma e Gomorra – almeno settecento anni prima dell’Esodo vi era un cimitero coi resti di cinquecentomila persone. Per cui forse anche questo stratosferico numero potrebbe avere una sua ragion d’essere. Il culto del Vitello d’Oro indica non una raffigurazione di Dio ma del Suo piedistallo, che invece doveva essere l’Arca dell’Alleanza, e quindi equiparava Dio agli idoli.

PECULIARITA’ TEOLOGICHE

Esse consistono essenzialmente in tre elementi. Il primo è il Nome di Dio, di Cui abbiamo detto. Con questa rivelazione l’Uomo entra nell’intimità del Suo Creatore, Che comunica il Suo mistero insondabile e inesauribile. Il secondo è il concetto di Alleanza, di cui pure abbiamo detto come Patto tra diseguali che ha Dio come promotore e garante e il Popolo eletto come controparte, destinato ad essere educato per poi fecondare tutta la Terra col Suo seme santo, Gesù Cristo. Il terzo è il rituale sacrificale, culminante nella Pasqua, che introduce il tema dell’espiazione del peccato, destinato ad avvenire solo con Cristo e il Suo Sacrificio. Vi sono poi i precetti morali del Codice e del Decalogo, vincolanti per tutti gli uomini. Abbiamo inoltre le figure tipiche, quelle simboliche e le antitipiche, le situazioni allegoriche, le profezie e passi di particolare significato spirituale. Elenchiamole sommariamente seguendone l’ordine di comparizione.

  1. Mosè è figura tipica di Cristo, del Quale egli previde l’avvento dicendo: il Signore farà sorgere per voi un profeta simile a me. Egli infatti è la Legge eterna e instaura la Nuova Alleanza di cui l’Antica è una pallida ombra.
  2. Il Roveto Ardente è simbolo dell’Immacolata Sempre Vergine Madre di Dio, Che generò il Verbo senza corrompersi e non ebbe macchia alcuna di peccato.
  3. Il Faraone è figura tipica di Satana che opprime il Popolo di Dio.
  4. Israele è la figura della Chiesa, l’umanità redenta, che il Cristo liberò nel Suo Sangue dalla schiavitù del demonio.
  5. La Pasqua e il suo rituale sono una profezia simbolica della Passione e del Suo valore redentivo ed espiativo. L’agnello immolato maschio nato nell’anno – ossia nel tempo- senza che gli sia spezzato alcun osso è Cristo. Gli azzimi figurano l’Eucarestia. Le case segnate dal sangue sono le anime asperse dal Sangue di Cristo nel Battesimo, nell’Eucarestia e nella Penitenza.
  6. La sorte dei primogeniti è figura simbolica della dannazione. E’ antitipica di quella di Cristo, Primogenito del Padre dato per i fratelli.
  7. Il Passaggio del Mar Rosso è figura simbolica del Battesimo, che salva attraverso l’acqua.
  8. L’Esodo è allegoria della condizione umana del singolo e della Chiesa, redenti e chiamati a percorrere l’itinerario della Salvezza mediante il pellegrinaggio nel deserto, ossia la vita in questo mondo.
  9. La manna è figura simbolica dell’Eucarestia, il vero pane disceso dal Cielo.
  10. L’acqua dalla Roccia simboleggia lo Spirito Santo dato da Cristo, il Quale disse che fiumi di acqua viva sarebbero sgorgati dal Suo seno.
  11. La vittoria sugli Amaleciti con Mosè orante è allegoria della potenza della preghiera.
  12. L’Alleanza al Sinai prefigura simbolicamente, antitipicamente e profeticamente la Nuova.
  13. L’Anno Sabbatico è figura dell’Anno Santo cristiano.
  14. Il ciclo liturgico anticipa quello cristiano.
  15. Le benedizioni terrestri per chi osserva la Legge sono figura di quelle celesti per i cristiani in grazia.
  16. Il Santuario o Tenda del Convegno è simbolo del Cristo in cui si incontrano Uomo e Dio. Il velo sarà strappato alla Sua Morte come segno di accesso al Cielo.
  17. L’Arca dell’Alleanza raffigura la Vergine, Tutta Santa, Immacolata, Assunta e Madre di Dio, Che portò la Vera Legge, il Vero ed Eterno Sacerdote, il Vero Pane del Cielo, e che fu fatta di legno incorruttibile.
  18. La Nube simboleggia ad un tempo la Vergine – in cui Dio si nasconde- e, più specificamente, lo Spirito Santo. Lo stesso significato ha la Colonna di Fuoco. Esse guidano il popolo eletto così come Maria e lo Spirito guidano, con le debite proporzioni, la Chiesa.
  19. La Tavola dei Pani simboleggia la mensa eucaristica e la sua celebrazione.
  20. Il Candelabro a sette braccia rappresenta i Sette Sacramenti.
  21. L’Altare degli Olocausti significa il valore espiatorio della Messa e del Sacrificio di Cristo.
  22. L’olio per le lampade è segno della presenza orante ma anche figura dell’Olio dei catecumeni. Ancora oggi innanzi al Sacramento arde sempre una lampada.
  23. La consacrazione sacerdotale prefigura quella del sacerdozio cristiano, che è sacramentale.
  24. Il sacrificio perpetuo attesta la continuità e quotidianità del sacrificio eucaristico.
  25. L’altare dei profumi indica la santificazione come atto di culto offerto a Dio.
  26. L’Olio profumato prefigura il Crisma.
  27. La vasca di bronzo e la sua acqua purificatrice simboleggia i Sacramenti di guarigione.
  28. La purità rituale simboleggia lo stato di grazia.
  29. L’incenso indica la preghiera.

L’Esodo è quasi completamente composto di passi di altissimo livello spirituale. La Rivelazione del Roveto Ardente è maestosa e terribile. I colloqui tra Mosè e il Faraone drammatici nel contrasto tra bene e male. Le Piaghe sono il segno plastico e tragico della Giustizia di Dio. La teofania del Sinai impressionante. Mosè che contempla Dio è descritto con grande icasticità e misticismo. Il passaggio del Mare Rosso è corale e spettacolare. I prodigi del Deserto di grande impatto emotivo.

I LUOGHI DELL’ESODO

Il tragitto dell’Esodo – comprensivo delle tappe successivamente descritte nel Levitico, nei Numeri e nel Deuteronomio, comprende le seguenti tappe: Ramses, Succot, Etam, Migdol, Mara, Elim, Dofca, Alus, Refidim, Sinai, Aseroth, Retma, Rimma, Lebna, Ressa, Keelata, il Monte Sefera, Arada, Kades Barnea, Or Gadgad, Ezion Gheber, Punon, Obot, lo Zered, il Monte Nebo, Sittim.

Ramses è Tanis. Succot è probabilmente Tel el-Maskhutah. Etam è di localizzazione incerta, come Mara. Elim è forse lo Uadi Garandel. Dofca probabilmente Serabit el-Khadim. Alus, Rimma, Lebna, Ressa, Keelata sono di localizzazione incerta. Arada è Tell el Mill. Kades Barnea è Ein el-Qudeirat. Or Gadgad è anch’essa di localizzazione incerta. Ezion Gheber è Tel Heleleife, la Berenice ellenistica. Punon è citta di Edom, molto prospera tra il 2200 e il 1800 a.C., poi abbandonata fino al XIII sec. Obot è di localizzazione incerta. Sittim è Tel el –Hamman.

Non vi è motivo di dubitare dell’identificazione del Sinai con il biblico monte dell’Alleanza e con l’Oreb. Poiché corrisponde perfettamente alla collocazione nel corso dell’itinerario descritto dell’Esodo. I percorsi alternativi del Sinai descritti dagli studiosi (la Via di Sur e la Via della Terra dei Filistei) sono esplicitamente esclusi perché gli Ebrei dovevano essere al sicuro dalle truppe faraoniche e per essere formati da Dio nel Deserto.

“WAYYQRA”. IL LEVITICO

IL NOME

Il Levitico (Leviticus) è il titolo dato dalla LXX al terzo libro del Pentateuco, in relazione al contenuto che riguarda le mansioni dei leviti rispetto al culto. La prima parola ebraica significa “E chiamò” perché queste sono le prime due parole del libro.

IL CONTENUTO

I temi fondamentali sono il culto rituale e le leggi sulla purità legale.

ANALISI E STRUTTURA

I primi sette capitoli contengono una particolareggiata descrizione dei vari sacrifici in Israele. I capitoli 8-9 sono sull’ordinazione sacerdotale di Aronne e dei suoi figli. Il capitolo 10 accenna ai doveri dei sacerdoti. I capitoli 11-15 trattano della distinzione tra purità e impurità, il sacro e profano, le norme da seguire per la purificazione legale. Il capitolo 16 espone il cerimoniale del giorno dell’espiazione. Nei capitoli 17-26 è riportato un complesso di leggi che viene comunemente definito “Codice di Santità”. Il capitolo 27 verte sui voti e le decime.

E’ evidente che il Levitico non è un codice organico, ma una raccolta di leggi differenti. Ne sono sei: 1-7 – raccolte di leggi sul sacrificio; 8-10- doveri sacerdotali; 11-15- purità e impurità; 16- sacrificio di espiazione; 17-26- varie. L’ultimo capitolo è stato aggiunto quando il libro era stato già compilato.

CARATTERISTICHE

Il grosso del testo può essere a mio avviso attribuito a Mosè. Le rivelazioni che esso contiene e che sono tutti oracoli di Dio sono ambientate nell’anno in cui Israele ebbe la Legge, dei cui precetti il Levitico è la continuazione. Il culto è considerato già stanziale, perché Israele è seminomadico e ha già la prospettiva dell’invasione. Nel rituale dei sacrifici distinguiamo: l’olocausto, con completa consumazione della vittima; l’offerta o oblazione è un’offerta di primizie dei prodotti del suolo; il sacrificio di comunione è un banchetto sacro che è diviso tra Dio e l’uomo; il sacrificio per il peccato è un sacrificio espiatorio con quattro rituali a seconda dell’espiante; il sacrificio di riparazione compensa la mancanza commessa. Vengono poi fissati i diritti dei sacerdoti sui sacrifici. Accanto all’investitura dei sacerdoti sono minuziosamente descritti i doveri del clero. Le regole sul puro e l’impuro distinguono tra animali dell’uno e dell’altro genere, parlano della purificazione della puerpera, della lebbra umana, delle impurità sessuali, del giorno dell’espiazione. La legge di santità verte su immolazioni e sacrifici, sulle proibizioni sessuali, morali, cultuali, familiari, sulla santità dei sacerdoti, sui cibi sacri, sul calendario liturgico, su altre norme liturgiche minori, sugli anni santi e chiude con benedizioni e maledizioni. In appendice abbiamo tariffe e valutazioni per persone e cose, con una attenzione particolare alle regole per il riscatto.

PECULIARITA’ TEOLOGICHE

Il Levitico prefigura, nell’Olocausto, l’annientamento del Cristo sulla Croce sin nei minimi particolari. Nell’offerta fa lo stesso in relazione alla natura oblativa dello stesso sacrificio e alle sue implicazioni eucaristiche. Nel sacrificio di comunione mostra, sempre profeticamente, il valore della Passione e Morte di Gesù come ricostruttrice dell’amicizia tra Dio e l’uomo; adombra altresì la sofferenza corredentrice di Maria. Il sacrificio per il peccato descrive analogamente il valore espiativo del Sacrificio della Croce, nonché quello della sofferenza di Maria, sia per il sacerdozio che per il popolo che per il sovrano che per il singolo. Il sacrificio di riparazione profetizza il valore della Croce atta a rimettere non solo la colpa ma anche la pena. Molte norme liturgiche della Chiesa sull’Eucarestia e il Sacerdozio sono prefigurate nelle norme levitiche. Le norme di purità e impurità sono simboliche e transitorie, abolite da Cristo. La distinzione tra animali puri e impuri è simbolo della distinzione tra azioni virtuose e viziose. Il contatto con l’impuro suggerisce la proliferazione del peccato mortale e lo stato di disgrazia in cui cade l’anima che lo compie. La purificazione della puerpera è figura della Purificazione della Vergine che dà valore a questo rito. La lebbra è segno del peccato. L’impurità sessuale simboleggia il Peccato d’Origine in cui tutti nasciamo. Il grande giorno dell’espiazione è una figurazione simbolica della Passione di Gesù. Il sangue simbolo della vita prefigura il dono della Vita di Cristo. Le proibizioni sessuali sono norme morali valide ancora oggi, come le prescrizioni morali successive, mentre quelle giuridiche sono decadute e quelle cultuali sono simboliche. Il calendario liturgico prepara quello cristiano, lo simboleggia e mostra il legame tra il culto e il Sacrificio di Cristo. L’anno sabbatico e quello giubilare prefigurano sia il perdono legato alla Redenzione sia le indulgenze. Il riscatto simboleggia la redenzione delle persone a prezzo del Divin Sangue; quello dei primogeniti prefigura il sacrificio di Gesù, vero primogenito che riscatta gli altri fratelli. Molte norme – come le decime o la lampada perenne – sono recepibili e sono state infatti recepite dalla Chiesa. Benedizioni e maledizioni sono da intendere in senso spirituale.

“BEMIDBAR”. I NUMERI.

IL NOME

E’ ancora un nome greco della LXX, poi passato in latino e nelle lingue volgari con le rispettive traduzioni. Il motivo sta nel fatto che il libro inizia con il censimento dei figli di Israele. In ebraico il quarto rotolo del Pentateuco è chiamato Bemidbar, nel deserto, la quinta parola del testo masoretico e ne puntualizza il contenuto, ossia le vicende del popolo nel deserto stesso.

STRUTTURA E CONTENUTO

Gli avvenimenti narrati abbracciano trentotto anni, ossia tutto il periodo trascorso da Israele nel deserto. Sono intervallati da alcune serie di leggi il cui rapporto con il contesto spesso non è chiaro. Il libro è diviso in tre parti.

  1. al Sinai (1- 10,10): appendice all’Esodo e al Levitico e introduzione alla seconda parte;
  1. censimento e divisione del popolo in XII Tribù delle quali quella di Levi ha funzioni sacerdotali (1);
  2. allestimento di quattro accampamenti attorno al Tabernacolo (2),
  3. istituzione del sacerdozio aronitico e subordinazione ad esso di quello levitico (3-4),
  4. miscellanea di leggi (5-10);
  1. nel Deserto (10, 11-21-35): riferisce le infedeltà degli uomini e la giustizia e la fedeltà di Dio, interpolate da raccolte legislative, ossia
  1. i fatti di Taberà (11),
  2. la mormorazione di Aronne e Maria e la lebbra che si attacca a quest’ultima (12),
  3. la ribellione degli esploratori e del popolo (13-14),
  4. leggi sui sacrifici e le offerte (15),
  5. l’insurrezione di Core Datan e Abiran e la loro punizione (16),
  6. doveri e prerogative dei sacerdoti e dei leviti (18),
  7. le acque della purificazione (19),
  8. le acque di Meriba e Massa (20),
  9. contrasti con Edom Arad gli Amorrei e Basan (20-21);
  1. nella terra di Moab (22-36, 13): descrive i fatti avvenuti nelle pianure di quel paese, oltre il Giordano,
  1. contrasti con Balac re di Moab e oracolo di Balaam che, chiamato per maledire, è costretto a benedire Israele (22-24),
  2. episodi di idolatria a Belfagor (25) e riorganizzazione del vincolo intertribale nel quadro dell’Alleanza con Dio (26),
  3. norme per l’imminente stanziamento in Canaan: diritto di eredità per le donne (27,1-11; 36), calendario liturgico (28-29), norme sui voti (30,4-17), doveri reciproci delle Tribù (32),
  4. fissazione per iscritto delle tappe della peregrinazione nel deserto (33),
  5. fissazione dei confini del territorio delle tribu’ (34),
  6. determinazione delle città levitiche e delle città di rifugio (35).

CARATTERISTICHE DEL TESTO

Il libro come si vede ha una mescolanza di argomenti e di stili, che però non escludono, anzi postulano, un autore unitario. Fino a 10,29 la critica tradizionale ravvisa la presenza della Fonte P, mentre quanto segue è tratto da quella J con alcune venature della E e ulteriori inserzioni della P. Essa poi tornerebbe in forze nei capp. 15-19, 26-30 ss. A mio avviso questa intricata intersezione evidenzia ancora una volta l’insufficienza della teoria classica e denota invece un’unità di fondo in cui le variazioni stilistiche corrispondono a quelle di contenuto, messe insieme da un solo progetto narrativo, anche se revisionato in epoche diverse. Il viaggio nel deserto continua ad essere descritto come un pellegrinaggio. Le cifre del censimento appaiono anacronistiche ma la ripartizione in clan è senz’altro autentica e trova nel documento la sua origine fondativa. Il libro ha una grande drammaticità nella punizione che Dio infligge ai ribelli condannandoli a morire nel deserto e giustificando i quarant’anni di peregrinazioni. Lo stesso Mosè e il fratello Aronne deludono Dio con la loro mancanza di fede e sono condannati a morire prima di entrare nella Terra Promessa. Nel libro sono inseriti brani di altri testi letterari perduti, spesso in versi, che attestano appunto la revisione in epoche successive, mentre la paternità letteraria mosaica di una lista erudita (quella delle tappe nel Deserto) è attestata esplicitamente. La determinazione dei confini intertribali e delle città levitiche è un documento giuridico di gran rilievo per l’epoca successiva. Analogamente l’ordinamento anfizionico è la magna charta di Israele sino all’epoca monarchica e non vi è ragione di considerarlo anacronistico: esso è l’ordinamento che ha permesso agli Ebrei di invadere Canaan e stanziarvici. Tutto porta l’impronta del grande legislatore, le cui norme sono vincolanti: Mosè.

PECULIARITA’ TEOLOGICHE

I Numeri sono ricchi di immagini e simboli, che acquistano valore soprattutto in relazione alla Nuova Alleanza. Di per sé descrivono il percorso e la formazione di Israele nel deserto e quindi mostrano la premura di Dio per il popolo. In relazione al Cristianesimo, la divisione in Tribù – che mostra l’origine semitica e patriarcale del popolo – figura la fondazione sugli Apostoli di tutte le Chiese e la genealogia dei clan prefigura la successione apostolica dell’episcopato, sostituendo la generazione spirituale alla fisica. La separazione di Levi dalle altre tribù per dedicarsi al culto prefigura il clero come parte separata e scelta. L’esclusione degli immondi dal campo raffigura lo stato di peccato mortale e la scomunica. Le numerose offerte consacratorie prefigurano l’unica offerta di Cristo. Le varie norme sulla disciplina del clero legittimano quelle della Chiesa. Torna peraltro il simbolismo della Nube mentre le varie tappe indicano la tentazione umana di ribellarsi a Dio e la pazienza del Signore Che corregge e perdona, ma punisce anche severamente. I settanta anziani sono stati il modello del Collegio Cardinalizio e in genere degli organi collegiali. Il serpente di bronzo è figura del Cristo issato sulla Croce, Che guarisce chi lo guarda con fede. Gli oracoli di Balaam sono una profezia del futuro di Israele e sul Redentore. Ancora il calendario liturgico prefigura quello neotestamentario della Chiesa. Le città di rifugio sono il simbolo della Vergine Maria, Che intercede per i peccatori.

“ELLEH HADDEVARIM.” IL DEUTERONOMIO

IL NOME

E’ una parola greca che vuol dire seconda (deuteros) legge (nomos) e che si è sostantivata ed è stata resa anche in latino e poi nelle lingue volgari. Deriva da una traduzione inesatta che la LXX ha fatto di 17, 18, in cui letteralmente si parla di una “copia” della legge e non di una “seconda”. In ogni caso il titolo ebraico – queste sono le parole- è dato dai termini incipitari del testo.

PECULIARITA’ LETTERARIE E STORICHE

Il libro è incentrato su quattro discorsi di Mosè e costituisce da solo la quarta Fonte del Pentateuco. E’ dunque di genere oratorio. Ho già esposto, nella trattazione generale sul Pentateuco, sia le teorie in voga sia le mie personali sull’origine del Deuteronomio e sul suo posto nella Torah. Qui sottolineo che non vi è alcun motivo di dubitare della storicità dei discorsi mosaici, o almeno di buona parte di essi, in quanto sia in Egitto che in Mesopotamia vi erano tecniche stenografiche che devono aver conservato le allocuzioni del Condottiero, il quale ha dato così avvio ad una tradizione che in un certo senso ripensava e completava quella propriamente storica degli altri libri. Le divergenze stilistiche si possono addebitare alla diversa storia della recezione e revisione del libro nei secoli. Esso, nella sua revisione definitiva, potrebbe aprire un ciclo di libri storici che racconta tutta la vicenda di Israele sino ai tempi di Geremia – col quale ha singolari coincidenze spirituali – che è detta appunto storia deuteronomistica. Vale la pena di sottolineare che per forza di cose la morte di Mosè viene descritta da un autore postumo, che probabilmente all’origine è Giosuè. Il luogo della morte di Mosè fu il Monte Nebo, ma la sua tomba è sconosciuta, forse per evitare l’idolatria e certo per simboleggiare la Resurrezione del Cristo.

Vale la pena di evidenziare che alcune delle presunte discordanze tra Deuteronomio e il resto del Pentateuco non sono tali. Per esempio la menzione di Edom nell’itinerario di Israele che è fatta nel libro ma non nei Numeri può dipendere benissimo da una cernita del materiale narrativo fatta dall’autore e /o dal redattore, senza implicare una datazione bassa del Deuteronomio. Inoltre nel libro si conservano memorie storico-mitiche molto antiche, come le spiegazioni sulle vicende dei popoli megalitici che occupavano la Palestina prima dei Cananei. La stessa versione del Decalogo potrebbe essere più antica e di certo trova nella parola mosaica la ragione delle sue lievi differenze dall’Esodo, essendo lì promulgato e qui predicato. Il rituale della Pasqua non deve necessariamente risalire a Giosia: il luogo scelto dal Signore può essere sia il culto familiare che quello multitemplare che quello monotemplare. Certo la riscoperta del testo fu il propellente per la riforma di quel Re, ma non è sufficiente per abbassare la data di questa parte del libro. Analogamente la normativa sui leviti non deve per forza essere intesa come accentramento nella capitale – che ai tempi di Mosè non esisteva – ma come mancanza di un territorio tribale e come accentramento attorno ai santuari. La presenza dei giudici sancita da Mosè, alla stessa maniera, non è di per sé segno della contemporaneità al regno di Giosafat (870-848) in Giuda, che organizzò lo Stato così, ma è la forma embrionale di struttura amministrativa che ogni popolo doveva avere. Le norme sul Re denotano chiaramente una visione ostile alla monarchia, per cui il passo potrebbe essere molto antico; in genere non si può negare a Mosè la facoltà profetica e la norma prossima ventura per una istituzione di molto posteriore a lui. Lo stesso dicasi delle profezie sull’Esilio e sul Ritorno. A noi sembrano segnate dalla distruzione di Gerusalemme, ma la prassi della deportazione non era rara nell’antico Oriente e nelle parole di Mosè era di monito per quello che di peggio poteva accadere. Le norme sulla guerra ben si addicono ad un popolo seminomade che si accinge a diventare stanziale; in genere il corpo normativo è logicamente anteriore allo stanziamento e lo prelude, anche perché è relativamente esiguo, per cui non c’è bisogno di abbassarne la composizione ai tempi monarchici. Infine il Cantico delle Benedizioni può essere nel complesso mosaico mentre la parte su Simeone può essere caduta in seguito alla sparizione della Tribù, mentre la divisione tra Giuda e Israele potrebbe essere posteriore allo scisma politico, ma non esclude una profezia di Mosè su fatti molto remoti nel futuro.

STRUTTURA

Si divide in sei parti comprensive dei quattro discorsi mosaici interrotti dal codice deuteronomico e conclusi dalla morte del Condottiero.

  1. Primo Discorso di Mosè (1,6-4,40). Vi è una parte storica (1,6-3,29) e una oratoria (4,1-10).
  2. Secondo Discorso di Mosè (5,1-11, 32). Vi sono il Decalogo (5,1-33), il comando della fedeltà a Dio (6,1-25), quello di sterminare i Cananei (7,1-26), l’esortazione alla gratitudine verso la bontà di Dio durante la traversata del Deserto (8,1-20), ammonimenti tratti dalla storia (9,1-10,11) e altri per il futuro (10,12-11,32).
  3. Il Codice Deuteronomico (12-26), con leggi religiose (12,2-16,17; 12, 21-17,7), civili (16,18-20; 17,8-18,22), morali (19,1-25,19), cultuali (26,1-15) chiuse da una esortazione (26,16-19).
  4. Terzo Discorso di Mosè (27-28). Vi sono le direttive sulle Tavole della Legge e le maledizioni contro i violatori (27,1-26), altre benedizioni e maledizioni (28,1-46) e le conclusioni (28,47-69).
  5. Quarto Discorso di Mosè (29-30).
  6. Gli ultimi giorni di Mosè (31-34) comprensivi delle consegne a Giosuè (31,1-21), del Cantico (31,22-32,43), della Benedizione delle Tribù (33,1-29) e della morte propriamente detta (34,1-12).

CONTENUTO E PECULIARITA’ TEOLOGICHE

Per il suo stile oratorio il Deuteronomio è senz’altro il libro del Pentateuco più utile all’ammaestramento spirituale immediato. Il Primo Discorso di Mosè sottolinea con forza la storicità della religione ebraica, attraverso la commemorazione dell’Alleanza; la presenza viva e operante del Signore nella vita del popolo e dei fedeli implica un amoroso impegno al suo servizio, senza riserve. L’amore di Dio e per Dio sono reclamati come impegni totali, esattamente come insegnerà Gesù.

Proprio la memoria dei fatti accaduti nel Deserto – che invece la critica odierna tende a mitizzare – deve mantenere viva, per tutte le generazioni, la fiamma d’amor viva verso Dio. Israele è – come sarà la Chiesa – scelto da Lui e quindi non deve assolutamente apostatare e deve meritare la benedizione con l’osservanza dei Comandamenti. Un monito ancora attuale.

Il culto è doveroso e deve essere compiuto nei modi e nel luogo scelto da Dio. Non è un aspetto estrinseco della Fede. L’apostasia è un delitto e in una società religiosa va punito, con una pena che anticipa e simboleggia la dannazione eterna, che ancora oggi attende chi abbandona la vera fede.

Tutti i capi del popolo, sia religiosi che spirituali, e gli stessi profeti sono sottoposti al giudizio di Dio. Egli non farà mai mancare la profezia e anzi manderà Cristo, profeta simile a Mosè, perché nuovo legislatore. Tutta la società deve dunque sottomettersi a Dio.

L’amore del prossimo deve essere praticato come conseguenza dell’amore di Dio: Egli ascolta il grido degli oppressi; quindi Israele deve praticare la giustizia e la pietà al suo interno e nelle relazioni sociali. Da questo scaturisce anche per oggi il senso spirituale di ogni impegno sociale e il senso sociale di ogni impegno morale.

L’osservanza dei Comandamenti è foriera di grazia. Chi obbedisce è benedetto e chi disobbedisce maledetto. In ciò sta la forza e la convenienza dell’Alleanza con Dio, sino ad oggi, anche se il senso del testo oggi è più spirituale che temporale. Questo è vincolante per coloro che hanno conosciuto la Legge.

La stessa morte di Mosè ha un insegnamento: la sua grandezza sta nella fedeltà a Dio.

Le figure simboliche e tipiche che ricorrono nel Deuteronomio come negli altri libri del Pentateuco hanno qui lo stesso valore profetico.


1. Cfr. V.SIBILIO, Il Dogma Cattolico. Appunti per un corso sistematico, amazon.com, comprendente in part. i saggi, editi anche qui su www.theorein.it: Trinitatis Mysterium (Creazione e Provvidenza), Christus Redemptor (giustificazione), Famuli Dei (angelologia), Novissima Verba (escatologia), Imago Dei (antropologia), Sacramentum Matrimonii (matrimonio), Christus Deus, Mater Dei, Christus Totus, Sacra Liturgia, Honora patrem tuum et matrem tuam, De christiana republica, De christiana societate, Non moechaberis, ecc.

2. Com’è noto, la Casa di Giuseppe si divise nelle tribu’ dei suoi due figli, Manasse ed Efraim.

3. Penso in particolare alla scrittura ieratica – che è di fatto una stenografia- fiorita si dall’Antico Regno.


Theorèin - Gennaio 2014