LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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APOLOGYA PATRUUM GRAECA

Breve introduzione alla teologia dei Padri Apologeti di lingua greca

Dalla seconda metà del II sec. la teologia patristica smette di essere meramente catechetica per sviluppare argomentazioni più complesse e dialettiche dovendo rispondere a nuove e gravi sfide. La prima sfida è senz’altro quella connaturata alla Tradizione viva della Chiesa, la quale incessantemente sotto l’impulso dello Spirito Santo approfondisce l’intelligenza della fede, per cui la teologia patristica continua ad elaborare i concetti dogmatici contenuti nel deposito della Rivelazione. La seconda è la necessaria difesa della Fede dai nemici interni o eretici ed esterni o pagani ed ebrei. Nei confronti dei primi la Patristica di questo periodo è definita polemica, nei confronti dei secondi si chiama apologetica. In genere si parla di Padri Apologeti o Apologisti riferendosi a questi autori, che svolgono questa duplice funzione, sia in lingua greca che in lingua latina. Tecnicamente l’Apologetica precede cronologicamente la Polemica, sebbene in molti autori le due sfere coincidono. L’Apologetica si scaltrisce da un punto di vista dialettico grazie alla critica delle eresie (1)e del paganesimo e dell’ebraismo, assumendo un aspetto speculativo che non aveva in precedenza. Il contesto storico-culturale esige una acribia e una diatriba polemica molto accese. Il paganesimo aveva assunto posizioni sempre più sprezzanti verso il Cristianesimo, definito superstizione nuova e malefica da Svetonio (†140/150); i suoi martiri erano considerati, come spesso anche oggi, solo dei fanatici da Epitteto (50 ca.-135). Le usanze dei cristiani venivano irrise da Luciano di Samosata (120-180 ca). L’amore dei fratelli e il cibarsi delle Carni dell’Agnello vengono spacciati come incesto e cannibalismo da Frontone (100-165). Dal canto suo l’ebraismo sinagogale metteva in giro voci blasfeme e irriverenti su Cristo, sulla Vergine e sugli Apostoli. Dal canto loro, i cristiani erano sempre più spesso provenienti dalle fila dei dotti, che si convertivano e che portavano nella Chiesa la loro formazione culturale e la loro inclinazione esistenziale alla filosofia. In tal modo, per la prima volta dopo la generazione apostolica, il Cristianesimo si incontra con una feconda cultura filosofica e comincia ad esprimersi con le modalità di pensiero che le sono proprie, pur piegandole alle esigenze specifiche della Fede.

La teologia dei Padri Apologeti è fortemente radicata nella Bibbia. Essi attingono all’AT per polemizzare contro gli Ebrei. Tramite l’allegoria e la tipologia i Padri leggono spiritualmente la Scrittura, individuando i sensi dogmatici, morali, liturgici in chiave cristiana ad essi sottesi e delineando le figure del Cristo presenti nell’Antica Alleanza. La difesa che la teologia dei Padri Apologeti vanno sviluppando è intelligente e battagliera: non solo respinge le accuse, ma le confuta rovesciandole sugli avversari e mostra la bellezza e la purezza dei costumi della nuova religione. L’Apologetica inoltre si serve di una filosofia eclettica, tinteggiate di neoplatonismo e di stoicismo, formulando una epistemologia teologica della filosofia nuova e originale, per la quale il pensiero greco è proprietà esclusiva della Chiesa, avendo i filosofi greci anticipato molti aspetti della Fede cristiana, quasi che accanto alla Rivelazione soprannaturale ci fosse una sorta di Educazione del Logos nel pensiero profano. E’ del resto vero che molti sostennero che molte cose della filosofia fossero mutuate da Mosè e che la stessa filosofia greca era di per sé da tempo molto intrisa di senso religioso. In tutte le verità scoperte dalla mente umana i Padri Apologeti scorgono la presenza seminale del Verbo di Dio, e la definiscono icasticamente come Logos Spermatikòs.

Questi Padri sviluppano la teologia trinitaria, la cristologia, la teologia biblica, quella razionale e fondamentale. Hanno tuttavia una terminologia ancora insufficiente per esprimere i dogmi della Fede: per essi Dio è senz’altro una Trinità, in essa il Padre è senz’altro Dio per eccellenza, mentre il Figlio ne è il Logos, proferito all’esterno della Divinità dal Padre al momento della Creazione (Logos proforikòs), mentre prima era ancora racchiuso al suo interno (Logos endiathetos). Questa concezione, letteralmente orientata a distinguere le azioni ad extra del Padre tramite il Verbo, finì col comportare, anche se non necessariamente, un certo subordinazionismo, ossia una teologia che sottometteva il Figlio al Padre, bisognosa poi di essere corretta per non risultare unilaterale.

SAN QUADRATO E SANT’ARISTIDE

Questi due primi apologeti sono quasi sconosciuti. Scrissero entrambi nel 125 ma dell’opera di Quadrato non c’è rimasto neppure un frammento. Aristide invece ha rivolto la sua opera ad Adriano (117-138), al quale volle dimostrare che i cristiani non erano atei ma credevano in un solo Dio, al Quale soltanto era logico ricondurre la creazione e il governo di tutte le cose. Aristide deduce l’esistenza di Dio, immobile incomprensibile ed innominabile, dal moto e dall’ordine del cosmo, che evidentemente suppongono un creatore ed ordinatore. Vi è dunque un solo Dio, al Quale devono omaggio tutti i popoli. E’ dunque questa apologia già intrisa di cultura filosofica. Entrambi furono martiri, di sicuro il secondo sotto lo stesso Adriano.

SAN GIUSTINO

Fu senz’altro il primo vero filosofo cristiano, oltre che un grande teologo. Nacque in Palestina da genitori pagani agli inizi del II sec. Suo padre si chiamava Prisco ed era di Flavia Neapoli. Educato in modo conforme ad una alta condizione sociale, versato ovviamente nella filosofia, prima di diventare cristiano fu stoico, aristotelico e platonico. Ritiratosi in solitudine presso Efeso alla ricerca della felicità e della sapienza, fu istruito da un misterioso vegliardo incontrato durante una passeggiata, che gli insegnò che la sapienza è Gesù Cristo il Quale offre agli uomini la felicità. Iniziò a leggere dunque le Scritture e si convertì, ricevendo il Battesimo ad Efeso intorno al 130. Da quel momento si consacrò alla diffusione del Vangelo tra le classi colte, fondando una scuola teologico-filosofica a Roma per contestare le accuse dei pagani e degli Ebrei alla Chiesa e per mostrarne il vero volto. Ebbe grande successo e in conseguenza di ciò fu odiato tanto che alcuni lo denunciarono quale cristiano. Processato, Giustino confessò la sua fede e fu martirizzato sotto Marco Aurelio (161-180) e Lucio Vero (161-169), mediante decapitazione, con alcuni suoi discepoli. Scrisse moltissime opere in greco, ma ci sono giunte solo la Prima Apologia, la Seconda Apologia e il Dialogo con Trifone. Forse la Seconda Apologia concludeva originalmente la prima, per cui la notizia eusebiana di un Giustino che scrive una difesa del Cristianesimo per Antonino Pio (138-161) e una per Marco Aurelio implicherebbe che l’ultima sarebbe perduta. La Seconda Apologia potrebbe essere anche una risposta allo scritto anticristiano di Frontone del 164. In questo caso la Prima la precederebbe di dieci anni, anche se nulla vieta di supporre che questa fosse continuata dall’autore con quella che per noi è la Seconda, sia pure dopo molti anni. La Prima Apologia contiene peraltro un documento storico importante, ossia le istruzioni di Adriano al proconsole d’Asia Minucio Fundano sulla procedura persecutoria anticristiana. Il Dialogo raccoglie discussioni storicamente avvenute col rabbino Tarfone ai tempi della Seconda Guerra Giudaica (132-135). Come scrittore, Giustino è modesto, greve nello stile e poco consistente nell’argomentazione letteraria, ma ovviamente la sua importanza sta nella dottrina che insegna.

San Giustino ovviamente non è un sistematico, per cui nei suoi scritti, apologetici e quindi occasionali, non affiora tutta la dottrina cristiana. A proposito del Logos, è Giustino ad elaborare quella dottrina di cui facevamo cenno, a proposito della filosofia come preparazione al Cristianesimo, che in esso trova il suo compimento, anche se donato dall’alto. E’ il teologo di Flavia Neapoli che insegna che il Logos spermatikòs è presente ovunque e che quindi è nella Rivelazione che ogni sapere ha compimento, per cui la filosofia appartiene, col suo patrimonio concettuale, ai cristiani. E’ Giustino a insegnare che Dio si rivela naturalmente e universalmente mediante la ragione a tutti gli uomini, precedendo con questa rivelazione quella soprannaturale del Verbo, così da giustificare la ragione seminale a cui abbiamo fatto cenno e la dottrina per la quale coloro che sono vissuti prima di Cristo, se virtuosi, di fatto sono stati suoi discepoli senza conoscerlo, mentre se viziosi, sono stati suoi nemici.

Giustino afferma che Dio è unico e innominabile, in quanto tutti i nomi con cui Lo chiamiamo esprimono le Sue funzioni non la Sua essenza. In ragione di ciò, Dio è anonimo. Questo Dio anonimo è in realtà Dio Padre. Sulla Trinità Giustino si dilunga cercando di evitare in ogni modo il diteismo e sottolineando a tal proposito la relazione tra Padre e Figlio mediante la Generazione. Questa è differente dalla Creazione perché è un atto che non produce dal nulla; inoltre il Generato è il prodotto di una virtù generativa che a sua volta né si disperde né si attenua. Con essa il Padre genera un Dio diverso in quanto al numero, ma non alla nozione, ossia perfettamente uguale a Sè. Le analogie adoperate per esemplificarla magari non sono sufficientemente eloquenti, più atte a indicare la comune Sostanza che la Sussistenza del Figlio, mentre lo Spirito Santo è completamente passato sotto silenzio. Ma la dottrina è sicura ed elevata. Per essa, le emanazioni trinitarie, a differenza di quelle neoplatoniche, sono tutte uguali ontologicamente, senza diminuzione della causa nell’effetto né maggiore dissomiglianza dal primo emanante via via che si dispiegano. Non a caso, il verbo tecnico dell’emanazione del Figlio dal Padre non è emanare ma appunto generare. Del Verbo, Giustino dice che è Mediatore tra il Padre e gli uomini, nella Creazione nella Redenzione e nella Rivelazione. Il Verbo è generato prima del tempo, ma non è chiaro se per Giustino ciò avviene in vista della Creazione o indipendentemente da essa. Afferma che le teofanie dell’AT sono manifestazioni del Verbo, ossia cristofanie, per cui la legittima proprietà della Scrittura ebraica è della Chiesa, che ne interpreta il significato e ne testimonia il compimento. In seno alla Trinità, il Padre occupa senz’altro il primo posto, secondo una concezione monarchiana; Egli è identificato col Demiurgo del Timeo platonico.

Nella mariologia, Giustino introduce il parallelismo tra Eva e Maria, duplicando quello tra Adamo e Cristo presente in Paolo. Così fioriscono sulle labbra del Santo gli elogi della Vergine Madre in parallelismo a quelli di Cristo. Giustino insegna che Gesù si è incarnato in una Vergine perché il percorso inaugurato da Adamo fosse capovolto. Eva, vergine, accolse la parola del serpente e generò morte e colpa. Maria, vergine, accolse la parola di Gabriele, e generò fede e gioia. E’ per mezzo di Maria che tutte le promesse si compiono.

Nella sacramentaria e nella teologia liturgica Giustino tramanda la genuina dottrina cattolica sul Battesimo e sull’Eucarestia: il primo è chiamato illuminazione e rigenerazione ed è impartito solo dopo una adeguata preparazione; la seconda è un sacrificio spirituale al cui centro c’è il Logos, che è Egli stesso presente in essa dopo la preghiera di consacrazione. L’Eucarestia viene perciò distribuita ai fedeli, quale Corpo e Sangue di Cristo, trasformati dalla ripetizione delle parole di Gesù nell’Ultima Cena.

Nell’angelologia San Giustino mostra tutta l’importanza degli Spiriti Celesti nell’economia salvifica e in genere nell’ordine del cosmo. Prime creature di Dio, incaricate di custodire uomini e cose, essi hanno un corpo areiforme, pur essendo spirituali, e si nutrono di un cibo celeste simile alla manna. La caduta di quelli che tra loro divennero demoni dipese dalla loro unione con le donne terrestri – così Giustino interpreta alcuni passi della Genesi – per cui essi divennero spiriti impuri, fondarono il paganesimo, irretirono i Giudei impedendo loro di conoscere il Cristo e soprattutto ingannano tutti gli uomini con la verosimiglianza, che è la caricatura della verità. Ai cristiani tuttavia è data, nella Croce di Cristo che ne ha infranto il potere, una difesa particolare dai demoni.

Nella teologia morale, il Padre di Flavia Neapoli esalta la carità, lo spirito di sacrificio, la castità, la fede, la preghiera, il perdono, la generosità e naturalmente il martirio. Tutte le virtù sono la conseguenza della sincerità della conversione e sono praticate non per un imperativo morale ma per imitazione e amore di Gesù che per primo le praticò e morì per noi. I cristiani proprio per questo sono i migliori cittadini, in quanto obbediscono alle leggi per volontà di Dio, pur non piegandosi al paganesimo e all’idolatria.

In antropologia, Giustino ripete quanto ha appreso dal misterioso eremita che lo aveva iniziato al Cristianesimo: l’anima non è vita in se stessa come insegnava il platonismo, ma è viva perché Dio vuole che lo sia e continua ad esserlo perchè Egli la mantiene nell’essere; se Dio cessasse di volerla, essa precipiterebbe nel nulla (per cui il Padre può ben dire che l’anima vive finché Dio vuole che viva); inoltre l’anima non trasmigra da un corpo all’altro, perché la metempsicosi, se fosse inflitta come castigo, sarebbe inutile in quanto nessuno ricorda la vita precedente che sconta con quella attuale; se invece fosse mero oblio della visione di Dio durante le incarnazioni che separano i soggiorni celesti dell’anima stessa l’uno dall’altro, implicherebbe che la stessa visione divina fosse poca cosa, tanto da poter essere cancellata dalla mente dalla semplice corporeità, il che è incompatibile con la sublimità di Dio. L’anima è dunque immortale, e in base alle azioni compiute col proprio libero arbitrio essa merita o demerita il Paradiso o l’Inferno, dove viene castigata eternamente – anche se pure questa eternità di tormenti è un atto del divino volere, tanto quanto quella della vita dell’anima stessa.

TAZIANO

Sebbene poi diventò eretico, Taziano è senz’altro meritoriamente annoverato, per la parte ortodossa del suo insegnamento, nella galleria patristica, specie di cultura siriaca, sebbene scrivesse anche in greco. Nacque tra il 120 e il 130. Fu contemporaneo di Giustino e suo discepolo, nonchè di Luciano di Samosata, di cui fu compatriota. Era originario dell’Assiria. Fu educato nella filosofia e poi si convertì, dopo molti studi, venendo battezzato a Roma nel 160 circa. Qui aprì una scuola di retorica ma fu avversato dal cinico Crescente, per cui viaggiò in Grecia, Siria, Cilicia e Pisidia. Morì nel 180 dopo aver fondato la setta degli Encratiti, dediti ad una assoluta continenza. Polemista insuperabile, detto il Tertulliano dei Greci, stronca gli avversari e contrappone la Fede alla filosofia e il Cristianesimo al paganesimo. Il suo memorabile Discorso ai Greci (composto come invettiva aspra e sprezzante nelle forme della diatriba stoico-cinica con un stile che ricorre ai moduli retorici classici, senza liberarsi però da una faticosa oscurità) sottolinea che i Greci hanno preso ai barbari le perle della loro stessa cultura, in quanto essi sono più antichi di loro, e insegna che la sapienza barbarica giudeo-cristiana è superiore a quella greca; insegna altresì l’unità di Dio, la creazione degli angeli e dell’uomo, la caduta degli uni e dell’altro, la resurrezione dei corpi e il Giudizio; denuncia la corruzione morale dei pagani, riprova le loro leggi, le loro arti, i loro spettacoli, i loro miti e la loro filosofia, nettamente contrapposta alla Fede; addita la dottrina cristiana come unica via al bene e mostra la maggiore antichità della Rivelazione, attestando che Mosè fu più antico di Omero. In questo monismo teologico e filosofico solo il Cristianesimo contiene tutta e ogni parte della verità ed è polemicamente chiamato filosofia barbara. Di essa Taziano insegna particolarmente che Dio è senza principio, senza tempo, unico, invisibile e immateriale; che il Logos è la Potenza di Dio, la Sua opera primigenia (intesa evidentemente in modo atemporale), il Principio di ogni cosa, generato interiormente dal Padre -mediante redistribuzione della Sostanza divina e senza alcuna Sua diminuzione, attraverso una comunicazione interna e non per scissione, per cui il proferimento del Verbo non è distacco del pronunziato dal pronunziante ma permanenza distinta in esso- come Persona distinta da Lui per poi essere creatore del mondo esterno a Dio, del Quale poi Egli rivela e mostra l’essenza che di per sé è invisibile ad ogni creatura. Taziano insegna che il Verbo crea dal nulla la materia e chiama irradiazione questo atto. Il teologo siriano insegna inoltre che le prime creature di Dio furono gli angeli, i quali, essendo liberi, poterono meritare e demeritare il Paradiso, cosicché alcuni di essi si ribellarono al Verbo e deificarono il loro capo; in conseguenza di ciò il Verbo si ritirò da essi e questi divennero demoni. Taziano insegna altresì che l’uomo è immagine e somiglianza di Dio, non solo animale né tantomeno solo razionale, fatto dal Logos perché potesse imitare il Padre raggiungendo la Sua immortalità. In questo Taziano è originale, considerando l’immortalità non una proprietà intrinseca dell’anima ma un dono di Dio ai soli beati. Infatti egli distingue tra l’anima, che di per sé è mortale e pervade tutte le cose essendo materiale, e lo spirito, presente anch’esso nell’uomo, che evidentemente deve essere immortale, anche se per volontà divina e non di per sé stesso. Taziano sostiene che solo lo spirito sopravvive, mentre l’anima dei malvagi muore col corpo e tornerà in vita con esso nel Giorno del Giudizio per subire la dannazione eterna; l’anima dei giusti invece, dopo la istantanea morte assieme al corpo quando questo si separa da essa, torna in vita ed entra in Paradiso. Proprio tramite lo spirito l’uomo è toccato dallo Spirito Santo e da Lui trasformato. L’etica di Taziano è sempre stata molto ascetica anche quando era ancora ortodossa, per diventare poi ancora più rigida quando passò all’encratismo. Egli ha sempre sottolineato la responsabilità umana nei propri atti bollando come invenzione diabolica l’idea di fato. L’anima umana è di per sé tenebra, ma il Verbo le aveva dato luce e vita, che essa ha perduto per la colpa. Perciò l’uomo deve sforzarsi di ricongiungersi al suo Principio mediante la conversione. Essa è sollecitata dal Verbo stesso mediante l’invio al mondo di uomini in cui predomina lo spirito sull’anima. Il Siriano ebbe anche un posto nella storia della teologia e della filologia biblica tentando una armonizzazione dei Quattro Vangeli nel suo Diatessaron che a lungo fu usato nella liturgia antiochiena.

SAN MELITONE DI SARDI

Della sua Apologia a Marco Aurelio abbiamo pochi frammenti, in cui si sostengono la tesi della provvidenzialità della comparsa del Cristianesimo nell’Impero Romano e della necessità che questi lo adottasse quale sua filosofia ufficiale. Il Santo morì nel 180/90, martire sotto Marco Aurelio o Commodo (180-192).

SAN TEOFILO DI ANTIOCHIA

Nacque in una regione tra il Tigri e l’Eufrate intorno al 120, fu educato in modo egregio, appartenne ad una elevata condizione sociale, si formò nell’ellenismo, lesse e meditò i sacri testi convertendosi al Cristianesimo. Nel 169 fu eletto vescovo di Antiochia di Siria, in cui rimase fino alla morte avvenuta tra il 183 e il 185. Autore greco prolifico, pugnace contro l’eresiarca Marcione (2), di lui ci sono giunti solo i Tre Libri ad Autolico. Dedicati ad un amico pagano ostinatamente anticristiano, contengono le argomentazioni bibliche, storiche e filosofiche in difesa della Fede formulate da Teofilo. Questi è estremamente polemico con la letteratura e la filosofia pagane; dimostra la falsità e l’assurdità dei miti contrapponendo loro l’armonia della Scrittura. L’argomentazione specificamente teologica è però piuttosto scarsa in questo autore. A lui si deve peraltro l’introduzione, per quanto ne sappiamo, del termine Trinità. La teologia trinitaria di Teofilo afferma senza mezzi termini la consustanzialità delle Persone Divine, le loro operazioni e le loro caratteristiche. Tuttavia la distinzione tra Logos endiathetos e proforikòs di cui si è detto e introdotta da Teofilo, pur essendo in sé ortodossa, prestandosi all’interpretazione subordinazionista, fu poi accantonata dai Padri successivi. Teofilo concepiva la preesistenza del Verbo nel Padre come possibilità insita nel pensiero divino, che poi lo proferiva in vista della Creazione. Perciò per Teofilo tra concepimento divino e azione divina del Concepito non vi è iato ma entrambe si svolgono nell’identità del Verbo. Quando si capirà che la Generazione divina è eterna perché fuori dal tempo mentre l’azione creatrice produce anzitutto il tempo, la distinzione tra i due Logos verrà completamente giù, in quanto modo teologico imperfetto di concepire il dato rivelato del mistero. Da Filone Teofilo prende la concezione dell’immortalità dell’anima, simile peraltro a quella di Taziano. Il Padre inoltre sottolinea che la Scrittura è l’unica fonte di certezza, che la Fede è il solo valore e che senza distacco dal mondo e senza purezza di mente non ci si può avvicinare a Dio. Filosoficamente, Teofilo mostra un forte senso del mistero: per lui Dio è incomprensibile, e chiamarlo con tale Nome significa solo rimandare alla Sua capacità di creare dal nulla, mentre appellarlo Logos significa riferirsi al Suo dominio universale.

SANT’ATENAGORA DI ATENE

Nacque nel 130 e morì nel 190. Scrisse in greco. Sebbene fosse un autore importante, né Eusebio né Girolamo lo ricordano ed è menzionato da Metodio di Olimpo soltanto, mentre la sua opera ci è giunta nella prima trascrizione del 914, ordinata da Areta di Cesarea di Cappadocia. Atenagora indirizzò una Supplica per i cristiani a Marco Aurelio e a Commodo (180-192) suo figlio. Elegante, equilibrata, pacata e chiara, vero capolavoro del genere, la Supplica contesta le accuse di ateismo, incesto e antropofagia rivolte ai cristiani, argomenta su base di ragione prima ancora che di Scrittura, dimostra che la filosofia prepara la Fede cristiana e che questa ne riprende la tradizione migliore, per cui sia i veri filosofi che i martiri cristiani sono stati perseguitati dai demoni. In un perfetto stile attico, con concisione e chiarezza Atenagora confessa l’Unità e la Trinità di Dio Padre Figlio e Spirito Santo, indicandone le relazioni: il Figlio è coeterno al Padre ed è generato in vista della Creazione che compirà, lo Spirito Santo è una emanazione del Padre che torna a Lui; distingue altresì la Provvidenza divina generale da quella particolare angelica, dedicando agli Angeli molto spazio.

Nella Creazione la causalità naturale riflette la Generazione trascendente di Dio, per cui come dicevamo il Verbo è generato per creare il mondo, ma non perché il mondo sia il fine della Generazione del Figlio, ma perché questa la rende possibile. Siamo ad un passo dal cogliere che il Verbo è generato eternamente dal Padre mentre la Sua azione creatrice dà inizio al tempo.

Atenagora scrisse anche un trattato intitolato Sulla Resurrezione dei morti, in cui risponde alle obiezioni a questo dogma, considerato impossibile da realizzarsi e indegno di Dio, e in cui pure mostra che è opportuno che corpo e anima siano riuniti, sia perché l’uomo è la somma di entrambi sia perché essi devono partecipare della comune punizione o del comune premio. La Resurrezione dei corpi è peraltro deducibile dal fatto che, essendo tutte le cose fatte da Dio solamente per Sé stesso, per condurre a Sé l’uomo tutto intero Egli deve per forza ridare la vita alle loro carni. Il tutto esposto con non comune raziocinio. Con Atenagora per la prima volta la filosofia è veramente ancella della teologia.

AUTORI PERDUTI

Sant’Egesippo visse tra il 110 e il 180. Viene considerato il primo autore post apostolico, probabilmente originario della Palestina e conoscitore del greco, dell’ebraico e del siriaco. Visse a Roma e scrisse con stile semplice gli Hypomneumata dalla Resurrezione del Signore fino ai suoi giorni, assai efficaci contro le eresie gnostiche.

Aristone di Pella è citato da Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica , come fonte per la sommossa giudaica capitanata da Bar Kokheba. Egli così dovrebbe aver scritto verso il 140 o il 150. San Massimo il Confessore cita un suo Dialogo di Papisco e Giasone, in cui il primo, ebreo, è alla fine convertito dal secondo, cristiano. Ma nulla ci è rimasto di questo scrittore, che pure fu molto noto ai suoi tempi, e che è ricordato anche da Celso e da Origene.

Perduti anche gli scritti del retore Milziade, discepolo di Giustino, e di sant’Apollinare di Gerapoli, che visse ai tempi di Marco Aurelio e che pure scrisse molto e tanto venne ammirato.

OPERE ANONIME

Accanto ai Padri Apologeti dobbiamo porre poi le opere anonime Oratio ad Graecos e Exhortatio ad Graecos, con temi di tipo simile a quello di Taziano nella denigrazione della filosofia. Si ricorda inoltre Ermia, autore di un trattatello cristiano, di data incerta del sec. II che, come dice il titolo (Irrisio gentilium philosophorum) è una confutazione ironica delle opinioni di tutti i principali filosofi pagani, segnalante le contraddizioni tra le diverse scuole. Tutti questi scritti sono stati redatti in greco. Altra opera degna di menzione sebbene anonima è la Lettera a Diogneto. In essa il Cristianesimo è descritto come uno stile di vita e di pensiero completamente nuovo, per cui i suoi adepti vivono sulla terra ma sono cittadini del Cielo, tanto da comportarsi diversamente dagli altri, perdonando le offese, praticando la carità e non legandosi ad alcuna patria terrena. Differentemente datata ed attribuita, questa Lettera è senz’altro apologetica; il suo autore ha una raffinata conoscenza della letteratura greca e sostiene le sue tesi con chiarezza notevole ed efficacia argomentativa.

SANT’IRENEO DI LIONE

Su di lui cadde l’onere della difesa della Fede dall’assalto dello gnosticismo. Egli la difese con tutte le sue forze e con successo, nonostante all’epoca la Chiesa non avesse le poderose strutture burocratiche di cui si dotò alla fine delle persecuzioni e contribuendo a definire la regula Fidei. Egli uccise lo gnosticismo e fondò la teologia cristiana, nello scultoreo giudizio di Dufourcq.

Ireneo nacque a Smirne o nei suoi dintorni nel 135-140. Fu ottimamente formato nella religione, nella teologia e nella filosofia da san Policarpo. Studiò anche con Papia e Melitone. Lasciò poi l’Oriente e si trasferì a Lione, dove fu ordinato prete ed eletto vescovo. Svolse nella sede primaziale delle Gallie una attività incessante, convertendo tutta la cittadinanza e combattendo le eresie, in particolare lo gnosticismo di Valentino che si diffondeva nel sud della regione. Mediò inoltre tra papa san Vittore I (189-198) e le Chiese orientali, quando queste ricusavano di sottomettersi al volere pontificio di uniformare la data di celebrazione della Pasqua all’uso romano di recente invalso. Concluse infine la sua vita con il martirio nel 202-203 sotto Settimio Severo (193-211).

Scrisse moltissime opere ma abbiamo solo le Lettere a Florino, a Blasto e a papa Vittore, la Demonstratio Apostolicae Praedicationis (sintesi della Fede cattolica in cento capitoli brevi) e l’Adversus Haereses libri quinque. De detectione et eversione falso cognominae agnitionis (monumentale opera che in due parti espone e critica il pensiero gnostico e presenta la dottrina cattolica su Dio Padre e su Cristo Salvatore). Queste opere furono scritte in greco ma ci sono giunte in latino. La seconda è il compendio di una erudizione storica, eresiologica e biblica davvero stupefacente e di incalcolabile valore per gli studiosi.

Ireneo fu l’ultimo dei grandi che furono formati dai discepoli degli Apostoli e il primo che sintetizza in modo globale la dottrina cristiana. Il momento storico in cui Ireneo scrive è contraddistinto dall’insorgere dello gnosticismo e dalla diffusione del neoplatonismo. Il Padre risponde a questa duplice istanza con il suo lavoro. Esso è antignostico e platonizzante, aprendo un dialogo fecondo tra Cristianesimo e platonismo che dura fino ad oggi. Come Platone Ireneo afferma che esistono due mondi, uno storico reale concreto materiale ed imperfetto, un altro ideale divino eterno invisibile perfetto incorruttibile. Il primo è immagine e copia del secondo, che è il paradigma dell’altro.

Contro gli gnostici Ireneo dice senza mezzi termini che essi falsificano l’autentica conoscenza storica su Cristo con finti Vangeli, ingannano i più con false e persuasive discussioni, illudono di salvare con una falsa gnosi, sollevano questioni con le loro dottrine fallaci e infine pretendono di risalire oltre Dio scoprendo altri livelli ontoteologici sconosciuti perché inesistente. Ireneo adduce due argomenti contro lo gnosticismo: il rapporto salvezza – gnosi e la regola della Verità. Per Ireneo la salvezza non può dipendere dalla gnosi perché nessuno mai, nemmeno all’altro mondo, potrà conoscere Dio in modo esauriente, e tanto meno con le sue forze. La conoscenza scomparirà e solo le virtù teologali rimarranno anche nell’eternità. In particolare rimarrà la carità, e la stessa gnosi o conoscenza è ordinata ad essa. La gnosi si deve sottomettere alla fede e accompagnarsi alla carità, nella quale Cristo ha posto la perfezione cristiana.

Posta questa base Ireneo distingue due forme di conoscenza di Dio, una secondo la grandezza e una secondo l’amore: la prima è quella irrealizzabile degli gnostici, che pretendono di racchiudere nella loro mente il mistero di Dio; la seconda invece ci conduce a Lui mediante le sue opere di amore, la Creazione e la Redenzione. Così Dio svela la sua essenza di amore che diversamente l’uomo non potrebbe mai conoscere, e tantomeno non può esaurire, anche per la stessa strada della conoscenza per dilezione. E’ Dio che si rivela dando all’uomo la nozione di Sé, ragion per cui Egli la concede a tutti, e non solo a pochi iniziati, esigendo solo l’apertura del cuore allo Spirito Santo.

Per quanto concerne la regola della Verità, essa altro non è che il Simbolo della Fede, ossia quello che la Chiesa ha ricevuto dagli Apostoli, e che tramanda ai fedeli. Nulla di ciò che si discosta da esso può essere vero, se non vogliamo dare del bugiardo a Dio e negare quell’infallibilità della Chiesa che è la garanzia della sicurezza della Verità rivelata da Dio stesso. La regola della Fede insegna che vi è un solo Dio Onnipotente che ha creato tutte le cose, visibili ed invisibili, per mezzo del Verbo e senza altro alcun ausilio o intermediario, senza avere nulla al di sopra di sé o al di sotto, che non sia sottomesso a Lui. Se si prende con forza questo presupposto è facile capire cosa è ortodosso e cosa non è, nonostante la complessità concettuale delle dottrine ereticali. L’esistenza di Dio si dimostra proprio col fatto che, anche se gli gnostici avessero ragione ed esistessero degli intermediari tra Lui e il mondo e lo avessero creato loro, questi sempre dovrebbero dipendere da Dio per la loro esistenza, per cui il vero Creatore di tutto sarebbe sempre Dio stesso. In ragione di ciò non c’è bisogno di immaginarne l’esistenza, in quanto essa non solo non è necessaria ma nemmeno raggiunge lo scopo di mantenere incontaminato Dio dalla materia o di discolparlo dalla responsabilità che essa esista. Invece la materia e l’universo sono nati dal nulla per volontà del Bene che è Dio stesso e hanno quindi uno scopo buono e razionale, non sono il frutto di un errore. Dio regge il cosmo e non lo ha mai abbandonato. In quanto poi alla pluralità degli dèi (l’Ogdoade degli gnostici), se essa ci fosse, implicherebbe che ognuno di essi conterrebbe in sé una parte del cosmo e mancherebbe delle altre, per cui si limiterebbero a vicenda sia tra loro che verso gli esseri inferiori; in ragione di ciò non potrebbero essere, né singolarmente né nel loro complesso, l’Assoluto. E’ dunque necessario che esista un solo Dio che tutto contiene. All’interno di questo Dio, la Generazione spirituale produce la molteplicità tra Padre e Figlio - e con un movimento simile ma differente anche tra Essi e lo Spirito Santo – senza che ci sia iato tra Generante e Generato.

Ireneo ha rivendicato alla sola Chiesa, sostenuta dallo Spirito, la vera ed unica gnosi, così come Giustino ha rivendicato per essa la vera filosofia. Con la differenza che Giustino incamerò tutto quanto nel patrimonio filosofico greco poteva servire alla Fede, mentre Ireneo rigettò tutte le conoscenze astruse degli gnostici perché incompatibili con il criterio della Tradizione, ossia di quanto contenuto nella Rivelazione pubblica di Dio. Le rivelazioni private, pneumatiche, profetiche vennero definitivamente espulse dall’alveo della determinazione della Verità. Ogni interpretazione della Bibbia diventa accettabile solo se confacente a tale criterio. In effetti, la Bibbia stessa contiene quelle dottrine che sono regola a se stesse, tanto quanto la Tradizione in cui esse sono vissute nelle Chiese, specie e soprattutto in quella di Roma. Ireneo infatti discerne le Scritture apostoliche e autenticamente ispirate da quelle apocrife e contraffatte, dandoci un elenco dei Libri del NT. Ireneo usa molto la citazione biblica, sia del NT che del VT, molto più dei Padri Apostolici e Apologisti che usavano soprattutto il VT per persuadere i Giudei.

Il metodo teologico di Ireneo è detto “dall’alto” perché implica la soggezione della filosofia e del sapere alla Rivelazione e non mai il contrario. Solo con questo metodo il teologo procede senza intoppi. La Fede è altra cosa dalla capacità di avere intelligenza del mistero, che alcuni possono avere più di altri ma che non è legata al valore soprannaturale della Fede stessa del singolo. A tale intelligenza spetta solo di elaborare concettualmente i contenuti rivelati, non di vagliarli o tantomeno integrarli. La teologia quindi approfondisce la Verità, non la esaurisce e non la accresce, anzi mostra come infallibilmente Dio agisca e governi l’universo. E’ un percorso contemplativo che si dipana attraverso lo Zodiaco della conoscenza e che ha una serie di contenuti ben precisi, per cui il teologo ha una road map a cui attenersi in dodici case spirituali: la magnanimità di Dio verso gli angeli apostati e gli uomini peccatori, la comune destinazione degli esseri celesti e terrestri creati da Dio, la manifestazione di Dio ai vari profeti in modi diversi, la narrazione delle varie Alleanze di Dio con l’uomo, il loro specifico carattere, il racchiudimento di tutti nell’unica colpa per avere l’unica misericordia, la Passione e la Morte del Verbo, la venuta di Questi nella pienezza del tempo, il senso profetico delle Scritture, la chiamata dei pagani, la Resurrezione dei corpi, la costituzione del Nuovo Israele nella Chiesa da parte dei pagani convertiti più numerosi dei Giudei.

In modo particolare, per quanto concerne le diverse Alleanze stipulate da Dio con l’uomo, Ireneo afferma che l’unico Logos si è rivelato in quattro modi diversi all’umanità: attraverso la Creazione, attraverso l’ordine del cosmo, attraverso l’uomo e attraverso l’Incarnazione. Esse sono tante vie, tre naturali e una soprannaturale, mediante cui si può arrivare a Dio, anche se gli uomini traviati non riescono ad andare oltre i loro sensi e le loro fantasie, a cominciare dagli gnostici che pretendono di risalire oltre il Dio creatore, al quale attribuiscono numerosi difetti nonostante le perfezioni che traspaiano di Lui dalla Creazione.

A questo proposito, il Santo stigmatizza due gravi errori degli gnostici. Il primo è la presunta differenza tra il Dio dell’AT e quello del NT. Alla presunta differenza tra la severità del primo e la misericordia del secondo, Ireneo obietta che l’opera di salvezza è coerentemente sviluppata dall’uno all’altro testamento e che Dio mostra grande bontà e amore sin dall’Antica Alleanza, quando nemmeno il peccato originale e la corruzione poterono fermare il piano divino di salvezza. All’opinione che il mondo creato nell’AT mostrerebbe la compromissione del Dio antico con la materia, Ireneo oppone l’obiezione per la quale questo mondo materiale è la copia del mondo spirituale contenuto all’interno di Dio stesso nel Suo Logos. Infine Ireneo afferma che le differenze morali esistenti tra i due testamenti non stanno nell’azione di Dio ma in quella dell’uomo, chiamato da un lato a perfezionarsi e dall’altro ad accogliere una Rivelazione via via più completa ed esigente della Legge divina. Il secondo errore è la svalutazione dell’uomo come essere corporeo. Ireneo afferma che il corpo materiale è parte integrante dell’uomo tanto quanto l’anima, e che l’uno e l’altra sono inscindibilmente legati. L’anima a sua volta è composta di spiritus e pneuma, è incorporea, è immortale e conserva l’aspetto del corpo che ha informato e quindi non potrebbe reincarnarsi; le sue facoltà principali sono l’intelletto – che emana la parola – e la libertà. Dio non disprezza il corpo umano, perché l’ha creato, perché l’ha redento assumendone uno in quanto Figlio e perché lo risusciterà nell’ultimo giorno. E’ tramite questo corpo che l’uomo si avvicina a Dio, nella mortificazione delle passioni carnali e nella pratica delle virtù. L’uomo, insegna Ireneo, è stato creato da Dio Padre mediante le Sue due mani: il Figlio e lo Spirito Santo. Queste mani lo hanno plasmato ad immagine e somiglianza di Dio. Questa immagine altro non è che la stessa unione di anima e di corpo in un essere vivente, non perché Dio abbia un corpo, ma perché Egli lo ha plasmato sul modello del Verbo Incarnato, che sapeva che avrebbe dovuto mandare. Se Adamo è la causa efficiente del genere umano in quanto da lui tutti discendiamo, Cristo ne è la causa finale, in quanto tutti siamo orientati ad essere quanto più possibile simili a Lui. Il Verbo infatti ha creato l’uomo per renderlo deiforme, non l’ha fatto divino per poi causarne la caduta. Essa è incidentale nel piano di Dio, non tale da impedirne la realizzazione, in quanto Egli non commette errori. La somiglianza dell’uomo con Dio si esprime poi con la presenza della grazia in noi. Perduta con il peccato – a differenza dell’immagine che invece è sempre rimasta in noi- essa ci è stata restituita dalla Redenzione di Cristo, che ci conferisce lo Spirito nel quale recuperiamo la nostra essenza spirituale originaria.

Si vede dunque la centralità del Cristo in questo pensiero. Ireneo gli attribuisce una funzione soteriologica e una funzione esemplaristica. Egli infatti è il Salvatore dell’uomo e l’uomo può e deve imitarne la virtù, essendo Gesù l’uomo perfetto, anzi il Nuovo Adamo in cui tutti siamo innestati. Di Cristo Ireneo difende il vero corpo - la cui consistenza era negata dagli gnostici - affermando che o la materia è irredimibile, per cui a Gesù, se fosse stato un essere solo spirituale non avrebbe giovato neppure assumerne uno apparente, o è redimibile, per cui non si può immaginare un Redentore solamente spirituale. Difende anche la concezione verginale di Gesù, negata dagli ebioniti. Il Nuovo Adamo nasce da una nuova terra vergine, Maria, e assume da Lei un corpo veramente umano anche se creato di nuovo direttamente da Dio. In quel corpo assume e sublima l’umanità, redimendola in ogni suo aspetto, compreso quel dolore e quella morte che agli gnostici e ai giudei sembravano i meno compatibili con la Natura divina. Ireneo sviluppa meravigliosamente il tema paolino della ricapitolazione: come Adamo ha vincolato la sua discendenza alla colpa e alla morte mediante la sua disobbedienza nel suo proprio corpo, così Cristo ha liberato la progenie di lui, che innesta in Sé mediante la grazia, dal peccato mediante la propria obbedienza. Come Adamo con la colpa si è reso reo di morte, così Cristo morendo innocente si è reso santo e ha santificato chi crede in Lui. Come il peccato ha portato nel mondo dolore e morte, così il Cristo mediante l’uno e l’altra ha liberato il mondo dal peccato. Così dolore e morte, che pure spingevano l’uomo alla colpa, ora sono strumento di santificazione e salvezza e armi spuntate in mano al diavolo. Egualmente, in Maria si capovolge la disobbedienza di Eva in una magnifica obbedienza, e la vergine sposa di Adamo è rigenerata nella Vergine Madre, così come i figli di Eva nella carne divengono figli di Maria secondo lo spirito, e come Eva spinse Adamo al peccato, così Maria accetta di soffrire innocente col Figlio, così che alla prima coppia marito-moglie si attribuisce la dannazione, alla seconda coppia madre-figlio la salvezza. Proprio in questa prospettiva Cristo doveva essere generato di Spirito Santo nel grembo della Vergine: da questa, per essere uomo come Adamo; dallo spirito, per essere il Nuovo Adamo. Solo nascendo dalla Vergine per opera dello Spirito Cristo è stato ed è Figlio di Dio anche secondo la Natura umana.

L’uomo è dunque redento da Cristo e la sua libertà, mutilata dal peccato, viene pienamente ripristinata dalla grazia. Non vi sono dunque, come dicevano gli gnostici, gruppi diversi di uomini in base al loro destino ultraterreno sul quale peraltro non possono influire, ma tutti possono salvarsi se collaborano con la grazia.

La Chiesa è il prolungamento della missione di amore di Cristo, per cui è mezzo sacramentale di universale salvezza. In essa si mantiene salda e incorrotta la dottrina degli Apostoli su cui è fondata la fede; da essa sgorga l’acqua salutare della grazia; essa è incessantemente rinnovata dalla misericordia del Padre. Perciò mai e poi mai si può prescindere da essa per la propria salvezza. In questa Chiesa l’uomo trova lo Spirito Santo. Egli ha illuminato gli Apostoli, la cui tradizione, che appunto è incorrotta nella Chiesa per opera Sua, avviene per la grazia della successione apostolica: ossia Dio ha dato agli Apostoli dei Successori legittimi, ordinati gli uni dagli altri in una catena sacramentale ininterrotta, per cui essi hanno ricevuto lo stesso carisma di infallibilità di coloro a cui succedono, anche se non hanno ricevuto nuove rivelazioni. Questi Successori sono i Vescovi. E’ importante che la loro successione sia regolare e ininterrotta nell’ordinazione sacramentale, e a tale scopo alle genealogie gnostiche Ireneo oppone gli elenchi episcopali, le loro generazioni spirituali, in particolare l’elenco ordinato dei Papi, custodi della dottrina basilare degli Apostoli Pietro e Paolo a Roma.

L’escatologia di Ireneo è apocalittica e chiliastica: egli prevede la fine del mondo quando questo avrà seimila anni, descrive le gesta dell’Anticristo desumendole dalla Scrittura e immagina che i mille anni del Regno di Cristo nell’Apocalisse siano reali e non simbolici. In essi Cristo regnerà sulla terra dopo aver distrutto il Suo antagonista. Solo dopo di essi avverrà la Resurrezione della Carne e i giusti con i cattivi avranno la loro sorte definitiva.

SANT’IPPOLITO DI ROMA

E’ una personalità senz’altro sconcertante per i moderni, ma di grandissimo rilievo. Discepolo di Ireneo, visse nel III sec. a Roma, ma era nato in Oriente nel 170 ca.; scrisse in greco le opere giunteci in traduzione latina e fu avversario di papa San Callisto I (217-222), a cui rimproverava un eccessiva indulgenza verso i peccatori. Si fece dunque consacrare vescovo e fu a tutti gli effetti un antipapa dal 217, opponendosi anche a sant’Urbano I (222-230) e a san Ponziano (230-235). L’imperatore Massimino il Trace (235-238) nel suo furore persecutorio spedì entrambi i Vescovi in Sardegna e qui Ippolito e Ponziano poterono riconciliarsi ed entrare insieme nell’eternità. In quest’epoca di minore rigore giuridico, un antipapa poteva entrare a pieno titolo tra i Santi e i Padri, grazie all’eminente dottrina alla vita morigerata e al martirio, nel 235.

Ippolito scrisse moltissimo, sia di esegesi che di apologia e polemica. Fu lui a inventare il commento biblico, come genere a se’ stante, che riprende passo passo il brano biblico e ne spiega il senso. In quanto all’apologia, egli calcò le orme di Ireneo, condannando la vana filosofia, il modalismo e l’adozionismo, enunciando la dottrina trinitaria e quella del Verbo, esaltando la Tradizione. La Scrittura è l’unica fonte di verità e la Chiesa basata sulla legittima successione apostolica l’unica sua interprete legittima. La terminologia con cui Ippolito distingue le Tre Persone nell’Unica Essenza divina è, per quei tempi, assai precisa, come quella sull’Incarnazione del Verbo, a Cui attribuisce la funzione di creatore e reggitore del mondo. In lui, come del resto negli altri Padri apologeti di cui abbiamo parlato, manca una pneumatologia sistematica.

Come filosofo, Ippolito sicuramente fu importante, ma i frammenti del suo trattato Dell’Universo sono troppo esigui perché ci facciamo un’idea precisa su di lui.


1. Il grande nemico ereticale del Cristianesimo fu lo gnosticismo. Fedele al suo nome, questo cangiante e proteiforme movimento religioso e culturale cercava, nel suo ribollente sviluppo del II sec., una gnosi intesa come esperienza unificante e divinizzante che permette di raggiungere Dio stesso. Il movimento ha origini orientali e anteriori al Cristianesimo, oltre che composite (platonismo, stoicismo, scuole giudaiche scomparse, mazdeismo), ed è orientato a fare della Rivelazione una conoscenza, così da trasmutare la fede in sapienza. Proprio la pretesa di superare la fede con la conoscenza in questo mondo fa si che lo gnosticismo, pur avendo tentato di assorbire il Cristianesimo, non sia cristiano. Al suo interno si distinsero molti maestri, accomunati dalla concezione elitaria ed esoterica della salvezza umana. Enumeriamo Marcione, Basilide, Valentino, Saturnilo, come li elenca san Giustino.

2. Marcione di Sinope fu scomunicato dal suo vescovo e da papa san Pio I (142-155). Scolarca a Roma, insegnò che l’AT è antitetico al NT e che il primo mostra un Dio imperfetto, che ha ordinato in malo modo una materia che non aveva creato e che è essa stessa fonte del male, costruendo questo mondo. La defezione degli angeli e il peccato originale ha rovinato i suoi piani ma la sua reazione sono stati castighi tremendi ed inutili. Oltre questo Dio demiurgo vi è il Dio straniero, quello vero, il più alto, provvidente anche verso il mondo e pieno di bontà, onnisciente e onnipotente. Gesù ne è l’inviato divino, incarnato per redimere il mondo. Marcione rigettava anche molti testi del NT, accogliendo solo il Vangelo di Luca.


Theorèin - Febbraio 2016