LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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SCHOLASTICA TERTIA

Breve introduzione alla Terza Scolastica

La Terza Scolastica fu quella coeva all’Illuminismo e in genere del Settecento. Ghettizzata per secoli dalla cultura laica che la giudicò stantia e sterile, essa in realtà patì l’emarginazione nella temperie intellettuale della propria epoca, in quanto non tanto la Chiesa ma il mondo profano rifiutava il dialogo culturale. In realtà la Terza Scolastica difese la Fede nelle forme non dell’apologia tipiche del Seicento, ma con la teologia storica, che fu la sua branca più originale, mentre nella speculativa, che pure è il pilastro della speculazione teologica, essa fu priva di originalità, esprimendosi in modi conservatori, sistematici ed enciclopedici.

GLI AUTORI MAGGIORI DELLA TERZA SCOLASTICA

Iniziata da Petau e da Thomassin, di cui dicemmo in precedenza, l’alta speculazione della Terza Scolastica ha tre nomi, di cui ora parleremo.

Charles-René Billuart nacque a Revin nelle Ardenne nel 1685 e vi morì nel 1757. Fu domenicano dal 1701 e prete dal 1708. Docente di filosofia metafisica a Revin fino al 1715, in quell’anno assunse l’insegnamento a Douai fino al 1721. Priore di Revin in quell’anno, nel 1728, nel 1741 e nel 1754 fu provinciale di Sainte Rose. Fu, oltre che uomo di governo e teologo, anche predicatore. Le sue omelie sono raccolte in due grossi volumi. Billuart fu il maggior tomista della sua età. Compose un Commento alla Somma Teologica in diciannove volumi per poi sintetizzarlo in sei. Chiaro e fedele a Tommaso, Billuart inserì nella trattazione tomista i temi controversi legati al Protestantesimo e al Giansenismo, risolvendoli alla luce del magistero dell’Aquinate. Il Nostro scrisse anche alcune opere sulla soteriologia alla luce della Unigenitus Dei Filius di Clemente XI (1700-1721), mostrando la coerenza del tomismo con questo atto di magistero che aveva definitivamente condannato il Giansenismo. Billuart esercitò grande influenza fino al Novecento e la sua opera è ancora valida.

Giacinto-Gismondo Gerdil nacque a Samoens de Faucighy in Savoia nel 1718. Barnabita nel 1733, studiò a Bologna e poi insegnò filosofia e teologia in molti conventi. Docente all’Università di Torino, fu precettore di Carlo Emanuele IV di Savoia ([1751] 1796-1802 [1819]) e poi vescovo di Dibbon nel 1776. L’anno dopo Pio VI (1775-1799) lo creò cardinale. Prefetto delle Sacre Congregazioni dell’Indice dei Libri Proibiti e di Propaganda Fide, fu un curiale di alto prestigio. Candidato al Papato nel 1799, fu bloccato dall’esclusiva dell’Austria. Nel 1801 fece parte della Commissione per il Concordato con la Francia del primo console Napoleone (1769-1821). Gerdil morì l’anno dopo. Autore prolifico e versatile, fu scienziato, filosofo, moralista e teologo. Scrisse tra le altre cose: L’immaterialità dell’anima dimostrata contro il signor Locke, Difesa del sentire del Padre Malebranche sulla natura e l’origine delle idee contro l’esame del signor Locke – entrambe in francese – Introduzione allo studio della religione – apologia della fede attraverso la storia della filosofia – le Philosophiae Moralis Institutiones – postuma – Storia delle sette dei filosofi – in francese e postuma – Dissertazione sull’esistenza di Dio e dell’immaterialità delle nature intelligenti – postuma anch’essa.

Tomista di ispirazione agostiniana e platonizzante, come Malebranche, Gerdil si servì di questa sua impostazione considerandola meglio adatta alla difesa della Fede da lui fatta in opere come l’Introduzione. Gerdil fu in effetti un grande apologeta, un convinto e pugnace assertore del Primato papale e uno dei più significativi esponenti della filosofia cattolica settecentesca. In campo speculativo si soffermò sulla teologia razionale, adducendo per l’esistenza di Dio prove dedotte dal moto, dall’ordine morale e soprattutto quella ontologica di Anselmo che egli rielabora in modo oiginale, considerandola la più esaustiva. Gerdil afferma che i possibili, oltre che intellegibili, sono innumerevoli, per cui solo una mente infinita può comprenderli tutti. Inoltre essi sono necessari, appunto come possibilità, in quanto una loro radicale impossibilità sarebbe contraddittoria. Essi sono quindi presenti in una certa regione dell’essere, che coincide con quella della Intelligenza Suprema, grazie alla quale essi realmente sono intellegibili come mere possibilità, ma sono compresi diventando all’occorrenza attuali. In questo modo Dio diventa il postulato dell’intellegibilità dei possibili e della loro attuale esistenza. Si tratta, come si vede, di un tomismo molto particolare, se non assolutamente eclettico. Incurante di simili smaccate contraddizioni, Gerdil difende Malebranche dall’accusa di eresia connessa alla sua dottrina della visione in Dio di tutte le cose. Infatti in Dio l’uomo non vede mai tutto e tantomeno Dio stesso, ma solo alcune cose particolari. In filosofia morale il Cardinale mette alla base del sistema la nozione di ordine, di cui quello etico è una specificazione. L’uomo deve agire in base alla sua natura, che è razionale. In virtù di ciò, egli deve seguire la legge di natura, posta da Dio ed eterna, che si desume dall’uso di ragione, per la determinazione delle sue azioni.

Pietro Maria Gazzaniga nacque a Bergamo nel 1720 e divenne domenicano nel 1737; studiò a Bologna filosofia e teologia, insegnò a Pavia, a Genova e nella stessa capitale emiliana, mentre nel 1759 divenne docente di teologia tomista a Vienna. Vi rimase per vent’anni e morì a Vicenza nel 1799. Due sue opere vanno ricordate: Praelectiones Theologicae habitae in Vindobonensi Universitate – in quattro trattati De Deo, De Trinitate, De Virtutis Theologicis, De Sacramentis – e la Theologia dogmatica in systema redacta. Oltre a questa va menzionata la sua autodifesa dall’accusa di giansenismo, rivoltagli per la sua strenua opposizione al probabilismo molinista, ed intitolata Fratris Petri Mariae Gazzanigae Ordinis Praedicatorum contra Anonymum suum accusatorem moderata defensio.

GLI AUTORI MINORI

Tra gli autori minori ricordiamo i tomisti: i benedettini salisburghesi Paul Metzger (1637-1702) e Ludwig Babenstuber (1660-1715), i domenicani Vincenzo Ludovico Gotti (cardinale, 1664-1742), Hyacinth Drouin (1680-1740) e Bernardo Maria de’ Rossi (1687-1775), nonché il gesuita Alvaro Cienfuegos (cardinale, 1657-1739) – distintosi per la sua originale dottrina sul sacrificio della Messa. Furono gesuiti i quattro autori della Theologia Wirceburgensis, appunto dell’Università di Würzburg, al cui spirito si avvicinò il confratello Giovanni Battista Gener (1711-1781), spagnolo. Furono agostiniani August Reding (1625-1692) e Giovanni Laurenzio Berti (1696-1766). Scotista fu il francescano Claude Frasien (1620-1711), anche se suggestionato da Aristotele. Lullisti furono Ivo Salzinger (1669-1728) e Antonio Raymundo Pascual y Flexas (1708-1791). Teologo controversista fu Johannes Schleiffer (1718-1767) che, come Angelo Silesio, firmò un’opera poetica di grande pregio, l’Ecclesiologia. Apologeta fu invece Beda Mayr, benedettino. Autori spirituali furono, oltre a San Luigi Grignon de Montfort e a Santa Veronica Giuliani di cui diremo a parte, il gesuita Jean Pierre Caussade (1675-1751) e il benedettino Dominik Schramm (1723-1797), mistico che cercò il contatto coi Lumi. Furono teologi sistematici: Ulrich Weiss (1713-1763) – che si confrontò con il sistema leibniziano-wolfiano- Eusebius Amort (1692-1775) – semplificatore del metodo scolastico in ragione dei tempi nuovi- Simpert Schwartzhueber (1727-1795) – anch’egli proteso al dialogo con la filosofia contemporanea – Engelbert Klüpfel (1733-1811) – precursore della teologia storica – Sebastian Mutschele (1749-1800) – che cercò di sintetizzare la morale kantiana e quella cristiana – Hermann Goldhagen (1718-1794) – pugnace nemico del razionalismo – Franz Obhertür (1745-1831) – fautore della teologia biblica in alternativa a quella scolastica – Gregor Zirkel (1762-1817) – prima kantiano e poi assertore di una teologia positiva.

Come dicevamo, hanno un posto particolare nel periodo gli eruditi di storia ecclesiastica, le cui discipline ausiliarie si svilupparono enormemente. Storici della Chiesa furono Alexandre Nöel (1639-1724) e Claude Fleury (1640-1723); editori e raccoglitori dei canoni conciliari furono Philippe Labbè, (1607-1667) Christian Lupus (1612-1681) e Jean Hardouin (1646-1729) , mentre Jacques Goar (1601-1653) fu uno dei fondatori della bizantinistica e Charles Dufresne Sieur Du Cange (1610-1688) fu sommo latinista; Eusèbe Renaudot (1648-1720) fu editore delle fonti liturgiche orientali e i maurini Gabriel Gerberon (1628-1711) e Edmond Marténe (1654-1739) furono rispettivamente editore di Agostino e commentatore di Benedetto da Norcia; esegeti furono Augustin Calmet (1672-1757) e Pierre Sabatier (1683-1742), mentre Pierre Coustant (1654-1761) e Remy Ceillier (1688-1761) furono patrologi. L’opera dei Bollandisti fu continuata da Daniel Papebroch (1628-1714). Studiosi della storia del monachesimo furono Bernhard Pez (1683-1735) e Markwart Herrgott (1694-1762), mentre Martin Gerbert (1720-1793) fu studioso della storia della musica e liturgista. Sorsero in questo periodo anche i primi teologi pastorali e catechetici, anche se privi di un metodo valido. In Italia esisteva un filone erudito (Lucas Wadding [1588-1657], Ferdinando Ughelli [1594-1670]), proseguito da Enrico Noris (1631-1704) e Giuseppe Maria Tommasi (1649-1713) – rispettivamente storico dei dogmi e studioso della patristica e della liturgia – perfezionato da Giuseppe Simioni Assemani (1687-1768) – orientalista di grande pregio nella Roma papale – e giunto al culmine con Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), autore dei Rerum Italicarum Scriptores e delle Antiquitates Italicae Medii Aevi. Pietro e Girolamo Ballerini (1698-1769; 1702-1781) furono editori di Leone Magno, Scipione Maffei (1675-1755) di Ilario di Poitiers, Giuseppe Bianchini (1704-1764) di opere liturgiche, mentre Lucio Ferraris (†1763) fu raccoglitore di fonti canonistiche, Giuseppe Agostino Orsi (1692-1761) fu storico dei primi secoli della Chiesa e Giovanni Domenico Mansi (1692-1769) editore dei testi conciliari. L’ultimo di questa serie fu Tommaso Maria Mamachi (1713-1792), che aprì la strada alle ricerche sull’antichità cristiana. Concludo citando un fondatore religioso, Bartolomeo Holzhauser (1613-1658), che fondò i Bartolomei, dediti alla formazione del clero diocesano e missionario,

SANTA VERONICA GIULIANI

Somma mistica, nacque a Mercatello nel 1660, presso Urbino, e ricevette il nome di Orsola, da Francesco e Benedetta Giuliani. La madre la educò in modo profondamente cristiano, ma morì quando la bambina aveva solo quattro anni. A diciassette lasciò i tre fratelli e le tre sorelle e la comoda condizione di famiglia per farsi clarissa a Città di Castello, prendendo il nome di Veronica. Devota della Passione, ebbe da Cristo la Coronazione di spine invisibile e poi le Stigmate. Sottoposta a restrizioni prudenziali enormi, sottomessa ad una novizia, Veronica ricevette l’ordine di tenere un Diario mistico che portò avanti per trent’anni. Scritto senza artifici, senza mai essere riletto, pubblicato via via mentre la Santa era in vita, il Diario è tra i capolavori della letteratura mistica italiana. Morì nel 1727 dopo trentatrè giorni di malattia, portando ancora nel corpo i segni delle stigmate. Il suo cuore risultò, all’autopsia, trafitto da parte a parte.

SAN LUIGI MARIA GRIGNON DI MONTFORT

Nacque nel 1673 in Bretagna e morì nel 1716. Fu sacerdote ed apostolo della Vandea e della sua terra natale. Fondò i Sacerdoti dello Spirito Santo e del Sacro Cuore di Maria e la Congregazione delle Figlie della Sapienza, gli uni dediti alla cura d’anime e alla missione, l’altra alla cura dei malati e alla divulgazione della pietà mariana. Apostolo della Madonna, scrisse il Trattato della vera devozione alla Vergine, scoperto e pubblicato dopo la sua morte.

BENEDETTO XIV

Prospero Lambertini, poi papa Benedetto XIV, fu uno dei massimi artefici del rinnovamento teologico e culturale dell’epoca. Nacque a Bologna da nobile famiglia nel 1675, studiò a Roma, fu prelato di Curia, vescovo titolare, presule di Ancona e Cardinale. Spostato a Bologna, divenne Papa nel 1740. Autore di numerose opere canonistiche e morali, raccoglitore di fonti legislative, compose il De Servorum Dei Beatificatione et Canonizatione, che è ancora oggi fondamentale nella complessa materia della proclamazione dei Beati e dei Santi. Da Papa fu mecenate e bibliofilo. Inventò le Encicliche, mediante cui il Magistero papale, sviluppato in modo discorsivo, poté diventare una delle fonti principali della teologia. La prima di esse che scrisse fu la programmatica del Pontificato e s’intitolò Ubi Primum dalle sue prime due parole, come poi fu prassi per la titolazione delle seguenti. In essa il Papa mostrò la sua sollecitudine per la pastorale e la conseguente formazione di buoni sacerdoti e vescovi, ai quali raccomandava la vicinanza al gregge e l’unione con la Santa Sede. Benedetto XIV ridusse le troppe feste liturgiche, rivide la prassi per la messa all’Indice dei libri proibiti rendendola più garantista per gli autori, concesse la validità ai matrimoni misti anche non contratti in forma tridentina, protesse Ludovico Antonio Muratori, fece una parziale riforma del breviario e intervenne per debellare i resti del Giansenismo con rigore dottrinale e moderazione pastorale. Protesse i cristiani d’Oriente dalla latinizzazione forzata e condannò i Riti cinesi e malabarici. Conciliante, colto e tollerante, Benedetto fu universalmente stimato, anche se la grandezza del suo Papato sta soprattutto negli scritti che nelle realizzazioni concrete. Morì nel 1758.

SAN PAOLO DELLA CROCE

San Paolo della Croce (1694-1775) fondatore dei Passionisti, fu sommo mistico, autore di Lettere e di un Diario, dalle quali, come dalla Regola dei Passionisti, emerge l’animo suo di eremita ed apostolo, che predicò per quaranta anni a tutte le categorie di popolo. Direttore spirituale nato, ripensò originalmente, con la sua cultura teologica più infusa che acquisita, Taulero, Francesco di Sales, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce. Incentrando la sua devozione sul Cristo Crocifisso. Fu prima aspirante crociato, indi eremita di durissima vita, che raggiunse tra le prove più dure la contemplazione infusa e l’unione trasformante, poi appunto fondatore della sua Congregazione dei Chierici scalzi della Santissima Croce e Passsione di Nostro Signore Gesù Cristo, a cui diede i primi Statuti nel 1720 prevedendo per essa una vita contemplativa ed attiva insieme. Beniamino dei Papi suoi contemporanei, fu una figura di alto lignaggio spirituale sulla quale ancora si studia e si discute molto.

SANT’ALFONSO MARIA DE’ LIGUORI, DOCTOR ZELANTISSIMUS

Egli rappresenta il punto più avanzato della teologia morale, la quale, all’indomani del Concilio di Trento, aveva cominciato a vivere di vita propria, separandosi dalla dogmatica, e aveva posto al centro della sua riflessione la funzione della coscienza e la determinazione della casistica. Sulla scorta della scuola gesuita e dei moralisti della Seconda Scolastica, nel Settecento si erano moltiplicati i manuali per la formazione dei chierici e per la guida dei confessori. Essi erano redatti sulla base di una minuta casistica che, ai tempi di Alfonso de’ Liguori, avevano già raggiunto il loro apice. Il presupposto della loro composizione era che per ogni caso vi era una sola soluzione, cosa in verità non sempre corretta, ma dalle radici oramai già antiche a quell’epoca: il nominalismo e l’antropocentrismo della modernità. Del resto anche il pastoralismo tridentino aveva fatto sì che, nella teologia penitenziale, il caso del singolo e il primato della sua coscienza assumessero un primato indiscusso. Perciò la morale si era strutturata, in quanto branca della teologia, secondo un sistema casistico che non aveva precedenti nella Scolastica medievale. In questa impostazione la legge è scelta liberamente dalla coscienza, per cui nel trittico libertà legge e coscienza quest’ultima svolge una funzione centrale. Essa non fa la legge, ma non è nemmeno una virtù, perciò nella sua scelta va formata e guidata dai moralisti a nome della Fede. Tanto più che nella modernità essa è rosa dal dubbio e avverte con particolare acutezza la questione del rapporto tra legge generale e situazione particolare, specie se della legge stessa non vi è la necessaria certezza.

Proprio su questo tema, si diversificarono quattro scuole di pensiero.

Il tuziorismo insegnava che l’uomo, nelle situazioni dubbie, dovesse sempre scegliere secondo la legge anche solamente ipotetica, mentre la difformità riposava solo sulla mancanza di ragioni a favore della norma. Nella sua forma rigida sostenuta dai Giansenisti, il tuziorismo fu condannato da papa Alessandro VIII (1688-1691). Il tuziorismo mitigato sostenne allora che l’uomo deve seguire sempre la legge, anche quando è dubbia e quindi solo probabile, a meno che le ragioni opposte siano non solo più probabili, ma quasi certe.

Il probabilismo insegnava che bisogna agire sempre secondo prudenza, ma che si può seguire una opinione in contrasto con una legge probabile anche se essa è meno probabile della legge stessa, specie per le persone poco istruite o incerte o scrupolose. Sebbene suscettibile di sviluppi lassisti e a volte censurato in alcune proposizioni dal magistero papale, il probabilismo ha dato importanza alla coscienza in un’epoca di assolutismo e rigorismo.

Il probabiliorismo insegnava che l’uomo può scegliere un’opinione in contrasto con la legge solo se essa è più probabile della legge stessa. Il domenicano Daniele Concina (1686-1756), maestro della scuola, filosofo, teologo, oratore e moralista controversista, autore della Storia del Probabilismo e del Rigorismo e della Theologia dogmatico-moralis, sosteneva che la violazione della legge è la violazione dell’ordine che Dio ha dato al mondo, per cui nel semplice dubbio va seguita sempre la norma. Giovanni Vincenzo Patuzzi (1700-1769) suo discepolo, esigeva che la maggior probabilità dell’opinione contraria alla legge fosse tale da rendere quest’ultima una mera probabilità logica.

L’equiprobabilismo insegnava che l’uomo, in caso di dubbio, deve seguire la legge se essa è certa e si dubita che sia cessata, mentre deve seguire la sua opinione se si dubita che la legge esista. La legge dubbia non obbliga e tale dubbio cessa solo quando essa ha a suo favore un’opinione più probabile di quella che la nega. In sintesi, quando si è in dubbio, per seguire la propria opinione bisogna che questa sia almeno tanto probabile quanto la legge.

In questo contesto si colloca Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Egli nacque nel 1696 a Marianella da nobile famiglia, fu precocemente avvocato di successo e poi sacerdote animato da grande desiderio di salvezza delle anime. Per questo non esitò a servirsi sia della predicazione che della scrittura e della musica, dedicandosi molto anche alle popolazioni rurali. Nel 1732 fondò la Congregazione del Ss. Redentore, per l’evangelizzazione del popolo. Dal 1743 a Ciorani e dal 1744 a Deliceto insegnò teologia morale ai suoi religiosi. Per i suoi alti meriti divenne vescovo di Sant’Agata dei Goti nel 1762, anche se dovette poi rinunciare alla sede per ragioni di salute, nel 1775. Morì nel 1787.

Scrittore di soda dottrina e di mirabile semplicità di forma, Alfonso de’ Liguori fu assai prolifico, scrivendo centoundici opere, esclusi le inedite. Abbiamo di esse tre categorie. La prima è quella delle opere morali: la Medulla theologiae moralis R.P. Hermanni Busenbaum S.I. cum adnotationibus per R.P.D. Alphonsum de Ligorio adiunctis, e la Theologia Moralis. Esse sono rispettivamente l’abbozzo e il compimento del progetto moralista del Santo, che trovò compimento sviluppando armonicamente quelle che nella prima opera erano solo le note del nostro Autore al pensiero del moralista tedesco. La seconda comprende vari trattati ecclesiologici e mariologici, tra cui spiccano Le Glorie di Maria e Del gran mezzo della preghiera. La terza comprende gli scritti ascetici, come La Pratica di amare Gesù Cristo, le Riflessioni sulla Passione di Gesù Cristo, le Massime eterne, l’Apparecchio alla morte, le Visite al Santissimo Sacramento, le Meditazioni e molte altre.

Il nome di Alfonso è al centro, come dicevo, del grande dibattito morale della sua epoca, che grazie a lui trovò soluzione. Egli fu infatti originariamente un equiprobabilista, per poi diventare un probabilista. Il suo metodo di studio gli faceva raggruppare gli autori in base alle opinioni per poi valutarne gli argomenti, la cui forza è il vero valore delle teorie che suffragano, a prescindere dalla rinomanza dei loro sostenitori. Alfonso sottolineò il ruolo della ragione nella ricerca dei precetti morali, per rimettersi, alla fine di ogni indagine, evidentemente alla coscienza. Infatti nella morale spesso non basta la sola Scrittura e i Padri non servono, non avendo trattato certi argomenti. Per questo Alfonso sostiene l’uso della casistica. Desideroso di non cadere né nel rigorismo né nel lassismo, il Dottore abbracciò il probabilismo nella fase matura del suo pensiero, senza lasciarsi irretire dalla logica di un sistema chiuso. Pose perciò tre regole morali: seguire l’opinione per la legge in tutti i casi dubbi quando essa è più probabile di quella che la contraddice; non seguire l’opinione che sta contro la legge anche quando essa è al massimo equiprobabile a quella che sta a favore della legge stessa, in quanto l’onestà esige la certezza morale dell’azione, a meno che, tramite principi indiretti, ciò che è solamente probabile diventi certo e serva quindi a regolare l’azione; in caso di equiprobabilità tra l’opinione per la legge e quella ad essa contraria, così da dubitare della certezza dell’esistenza stessa della legge, allora non si è tenuti a seguirla, a meno che la sua vigenza non derivi da principi indiretti.

Nel sistema alfonsino vi sono dunque tre elementi: il primato della verità, la funzione della ragione e della coscienza, l’esistenza della libertà. Lo scopo di questa morale è la santificazione dell’uomo, attraverso l’amore per Cristo e i fratelli. Il Santo Dottore, la cui dottrina divenne insegnamento comune della Chiesa, è senz’altro il massimo moralista della sua storia. Nonostante la crisi della casistica, ancora oggi il suo insegnamento è valido ed efficace.

Tuttavia il Santo svolse un ruolo importante anche negli altri ambiti teologici di cui si occupò. Difese energicamente l’origine divina della Chiesa e il Primato papale. Prese una posizione originale nella controversia sulla Grazia anche se eccentrica rispetto al suo punto focale, in quanto Alfonso non si interrogò su come essa agisca sull’uomo ma su come questo possa reclamarne l’efficacia e il conferimento stesso. Il Dottore sentenziò che chi prega si salva e chi non prega si danna. Questo perché la Grazia ha una doppia efficacia, una intrinseca e una estrinseca. La seconda è quella che Dio accorda a tutti per l’adempimento dei precetti basilari della vita cristiana e morale, tra cui quello della preghiera, mediante cui è nostro dovere chiedere quel supplemento di Grazia che porta con sé l’efficacia intrinseca, ossia quella capace di farci applicare nella nostra vita i precetti più difficili. Dio non nega mai queste grazie speciali a chi Lo prega, per cui l’orazione diventa il mezzo essenziale perché la salvezza venga raggiunta. Spostando così l’asse del discorso soteriologico dal modo in cui Dio agisca nell’anima a quello in cui essa debba indurLo a farlo, Alfonso di fatto risolse, superandolo, il nodo del dibattito sugli ausili, ancorandolo alla devozione del singolo. A questo tema si connette quello mariologico, di cui Alfonso fu un grande esperto. La Madonna infatti va pregata particolarmente, in quanto Ella è la Mediatrice Universale di tutte le Grazie e la devozione a Lei è l’anima dell’ascetica di Alfonso, che sostenne anche la definibilità del dogma dell’Immacolata Concezione e di quello dell’Assunzione.

Come teologo ascetico, Alfonso fu cristocentrico. Tutta la perfezione consiste nell’amare Gesù Cristo, nostro Dio, nostro Sommo Bene, nostro Salvatore, distaccandosi dalle cose della terra, perché dove esse sono preponderanti, non vi è amore divino. Le basi della vita interiore sono preghiera ed amore: la prima perché Dio si dia a noi, la seconda perché noi ci diamo a Dio.

Sant’Alfonso fu anche musicologo e musicista. Promotore del canto sacro popolare sulla scia di San Filippo Neri del cui Oratorio era stato discepolo da ragazzo, Alfonso compose testi e melodie delle Canzoncine che da lui sono dette alfonsine e che, mediante la diffusione tra la gente, dovevano contrastare il canto licenzioso. I testi sono stilisticamente calcati sul Metastasio, mentre la musica è semplice, calda e facile. Tra le tante canzoncine ricordiamo Tu scendi dalle stelle.


Theorèin - Maggio 2018