LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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DOCTORES RESTAURATIONIS

Breve introduzione ai teologi dell’Età della Restaurazione e del Romanticismo

Il Cristianesimo e la sua Tradizione entrano nella contemporaneità sotto l’insegna drammatica della Rivoluzione Francese, che dal 1789 al 1804 spazzò via strutture, uomini e valori della Fede. Fu solo la prima tappa di un lungo calvario che sarebbe arrivato fino al 1989 e che in parte dura tutt’ora. Sebbene non completamente fondata su principi anticristiani, la Rivoluzione prese una china anticlericale ed antireligiosa che fecero inevitabilmente leggere in una certa ottica naturalistica, soggettivistica, immanentistica e razionalistica la somma dei suoi principi, contenuta nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino che, almeno per il modo in cui poteva essere intesa all’epoca, fu condannata da Pio VI (1775-1799) assieme alla Costituzione Civile del Clero, nel 1790. Da questo momento la Chiesa, nonostante un successivo riconoscimento della Repubblica e il Concordato, divenne nemica del Liberalismo. I teologi, sia che volessero ostacolare i nuovi principi, sia che volessero dialogare con loro, si trovarono in questo periodo in una grande difficoltà, perdurante anche nel corso del XIX secolo e in parte anche nel XX. La secolarizzazione è una realtà aggressiva che erode gli insegnamenti della Chiesa e li ricaccia dalla società, così da generare una cultura antireligiosa militante che ad un certo punto diventa antiteologica ed ateologica, ponendosi l’obiettivo di distruggere il Cristianesimo.

Tra il 1798 e il 1914, ossia durante l’affermazione del liberalismo, i grandi filosofi occupano il proscenio teologico dettando le norme del dibattito su Dio: il criticismo Lo considera un postulato dell’etica, l’idealismo Lo riassorbe nella realtà immanente, il materialismo marxista e positivista Lo nega esplicitamente e l’irrazionalismo rigetta la stessa idea di un cosmo, di un mondo ordinato. In conseguenza di ciò, la dogmatica scompare dalla cultura profana, lasciando il posto alla storia dei dogmi, a quella della Chiesa e all’esegesi biblica, mentre le forme della Terza Scolastica, nelle quali si perpetua la Tradizione cattolica, vengono conservate nell’ambito della cultura ecclesiastica ed escluse dal grande dibattito pubblico, nonostante diversi sforzi di rinnovamento interno e una pugnace volontà degli addetti ai lavori di battere in breccia gli avversari senza concedere loro alcunché. In quel che segue tratteggeremo le caratteristiche salienti dei temi e delle personalità maggiori dei teologi dell’Ottocento, fino al Concilio Vaticano I (1868-1870). In questo periodo non abbiamo più nuove scuole ma indirizzi, che sono quelli degli Apologisti, dei Tradizionalisti, degli innovatori, dei Neoscolastici e dei Neotomisti. Sebbene non sia un periodo di eccezionale fecondità, di sicuro l’Ottocento è più fecondo del Settecento e i suoi dottori seppero porre diverse questioni agli arroganti filosofi che volevano farne a meno e riuscendo a conservare bene il nucleo della Fede, proteggendolo con forme di pensiero adatte alle circostanze.

LE CORRENTI FRANCESI: LA GRANDE APOLOGETICA ROMANTICA

E’ la prima forma di teologia romantica che incontriamo nell’Ottocento. Il Romanticismo fu senz’altro una corrente di pensiero profondamente religiosa e ancora in larga parte cristiana, nonché legata alla reazione agli eccessi dell’Illuminismo. In Francia l’istanza romantica si coniugò in modo speciale a quella apologetica, resa necessaria dall’offensiva giacobina e volterriana. In quel paese le condizioni stesse della ricerca teologica erano state estirpate dalla persecuzione e per molto tempo nei seminari si potè solo insegnare quello che era stato elaborato in precedenza, in chiave polemica contro i giansenisti, i quietisti, gli illuministi e in genere i vecchi nemici della fede. L’oratoriano Vallat, l’abate Flotte, il Bailly furono i maestri di questa fase di trapasso umbratile.

La generazione successiva fece il salto di qualità, grazie ai laici che, liberati dalle pastoie della persecuzione, poterono dedicarsi con profitto alla difesa della Fede, surrogando il clero poco istruito e poco numeroso, tutto dedito alla cura delle anime. Questi laici riabilitarono la causa della Chiesa agli occhi di coloro che si erano formati nell’Illuminismo usando la loro vivacità letteraria per illustrare la bellezza e la ricchezza del Cristianesimo e la sua funzione storica civilizzatrice.

GLI APOLOGETI: LOUIS GABRIEL AMBROISE DE BONALD

Nacque a Millau nel 1754. Durante la Rivoluzione si rifugiò a Heidelberg. Rientrò in Francia durante il regime direttoriale ma sotto pseudonimo. Caduto Napoleone entrò in politica, diventando deputato nel 1815 e Pari di Francia nel 1823. Ritiratosi a vita privata nel 1830, morì nel 1840. Scrisse moltissime opere, tra cui la Teoria del potere politico e religioso nella società civile dimostrata dalla ragione e dalla storia, il Saggio analitico sulle leggi naturali dell’ordine sociale, la Legislazione primitiva considerata nei primi tempi alla sola luce della ragione, le Ricerche filosofiche sui primi oggetti delle nostre conoscenze morali, le Dimostrazioni filosofiche del principio della società.

De Bonald fu un apologeta che attirò l’attenzione degli intellettuali sull’aspetto sociale del Cattolicesimo, aprendo la strada alla dottrina sociale della Chiesa nel XIX secolo. Apologeta filosofico e teologico, non fu all’altezza di Pascal o di Malebranche. Nonostante tanto zelo, De Bonald incappò nell’errore del tradizionalismo, ossia nella sfiducia nella capacità della ragione di conoscere i principi primi, e questa sua posizione rientra tra quelle condannate dal Concilio Vaticano I. De Bonald sostenne infatti che l’uomo non può conoscere da solo nessuna verità religiosa e morale, per cui la Rivelazione gli viene in aiuto. In questo processo cruciale è l’uso del linguaggio, strumento indispensabile per l’intelletto e la morale e senza cui non si può pensare. L’uomo, che a causa della sua ignoranza non può conoscere i contenuti del linguaggio, a maggior ragione non ne è l’artefice, che infatti è Dio stesso e che tramite esso compie la Rivelazione primitiva. La sua esistenza e quella dell’anima sono tra i cardini di tale Rivelazione.

De Bonald ripensò anche il principio di causa, risolvendolo in tre elementi: la causa stessa, il mezzo e l’effetto. Applicando questo principio in tutte le branche dello scibile, De Bonald condanna il divorzio e la democrazia quali elementi perturbatori o di una retta concatenazione (padre madre figlio) o di una esatta distinzione (Dio re e popolo). Per il nostro il Cattolicesimo è la base della politica e della società; esso, con il Cristo Uomo e Dio, sintetizza il Mediatore necessario tra l’uno e l’altro.

GLI APOLOGETI: JOSEPH DE MAISTRE

Nacque a Chambéry nel 1753 da una famiglia di magistrati, fu allievo dei Gesuiti, studiò Giurisprudenza e divenne magistrato anch’egli nel 1774. Massone per vent’anni col sogno dell’unione delle religioni senza svalutare la dottrina cristiana e l’organizzazione cattolica, De Maistre fuggì in Isvizzera dopo la Rivoluzione e da lì animò una vivace campagna controrivoluzionaria con le Considérations sur la France. Si allontanò poi dalla Massoneria quando capì quale pericolo era per il Cattolicesimo l’Illuminismo mistico. Denunciò questi rischi nelle Soirées de Saint-Petersburg (1821), capolavoro apologetico scritto proprio negli anni in cui, dopo essere rientrato in patria ed essere stato nominato reggente della Grande Cancelleria sarda, fu ambasciatore sabaudo in Russia, dal 1802 al 1817. Scrisse colà altresì il Saggio sul principio generatore delle costituzioni politiche tra il 1810 e il 1814. Ministro di Giustizia dopo la Restaurazione, De Maistre scrisse Du Pape (1819) e De l’Eglise gallicane dans son rapport avec le Souverain Pontife (1821). Queste opere furono tra le migliori di quell’epoca in difesa del Papato e della Chiesa. Morì nel 1821.

De Maistre difese la religione per una convinzione che affondava le sue radici nella cultura, nella fede e nello stato sociale dell’autore. Apologeta di tipo storico, studia gli eventi con lo sguardo del mistico, deducendo da essi le leggi della Provvidenza. Eventi e castighi lo ammaestrano, per cui egli spesso ha toni foschi e drammatici. Fautore ad oltranza della monarchia assoluta che è immagine del governo del mondo da parte di Dio, sostiene che essa, per durare, deve appoggiarsi al Cattolicesimo. Il potere dei Re deve sottostare a quello del Papa e questi ha un ruolo insostituibile nella società e nella Chiesa. Lo spirito giurisdizionalista ha invece indebolito il potere regio avviando il mondo alla Rivoluzione. Da qui una ferma condanna del gallicanesimo, ma anche del giansenismo. Il Papa di De Maistre è ovviamente un Papa ideale, che se non si realizza può essere bilanciato dall’azione di corpi intermedi.

De Maistre ebbe un’incrollabile fede nell’intervento della Provvidenza nella vita di ogni uomo. Anche la Rivoluzione, che pure è un prodotto satanico di una ragione ribelle e quindi offuscata, ha avuto un ruolo fatale di punizione ed espiazione dei peccati, per la rigenerazione dell’essere umano. Non privo di venature paradossali e pessimistiche e tradizionalistiche, De Maistre ebbe una vasta cultura, una grande acutezza di intuizione, originalità di vedute e splendore di stile, che lo inserisce tra i grandi letterati di Francia, paragonabile a Bossuet e a Pascal. Si definì il teologo laico della Provvidenza e fu sicuramente tra i primi a far rinascere la coscienza cattolica europea.

GLI APOLOGETI: XAVIER DE MAISTRE

Fratello del precedente, nacque nel 1763 anch’egli a Chambéry. Passò in Russia con Joseph e qui combattè contro Napoleone. Diventato generale, si ritirò in Italia e dopo in Russia, dove si diede alla letteratura e dove morì nel 1852. Dallo stile chiaro, dallo spirito fine, profondamente sensibile, Xavier ebbe misura e discrezione nel dire, suscitando l’ammirazione e il rispetto del lettore. Scrisse il Viaggio attorno alla mia camera – saggi sugli oggetti che lo circondano e che costituiscono un pretesto per ricordi e digressioni – Il lebbroso della città di Aosta, I Prigionieri del Caucaso e La ragazza siberiana. Se le ultime due sono operette dedicate alla vita russa che anticipano Guerra e Pace, il Lebbroso è un dialogo tra l’autore, allora militare, e un lebbroso internato in una torre in cui emerge una sublime filosofia e una rassegnazione profondamente cristiana. Si tratta quindi di un’opera di apologetica cattolica, alla quale egli diede un contributo collaborando anche alle Serate di Pietroburgo.

GLI APOLOGETI: FRANÇOIS RENÉ DE CHATEAUBRIAND

Nacque a Saint Malo nel 1768. Fu giovane dissoluto e iniziato alla letteratura più pregiata. Controrivoluzionario, militò nell’armata del Condè e dopo la sconfitta da essa patita si rifugiò a Bruxelles e poi a Londra. Qui nel 1797 pubblicò un Essai sur les révolutions, di impostazione materialista, edonista e anticlericale. Nel 1798 perse la madre e il dolore lo riavvicinò alla Fede. Nel 1800 rientrò in Francia e scrisse Le génie du Christianisme, edito nel 1802. L’opera sembrò siglare la riconciliazione tra la cultura francese e il Cattolicesimo, anche per la sua concomitanza con la promulgazione del Concordato napoleonico. E fu proprio il Primo Console a sancire l’importanza raggiunta da Chateaubriand, che fu nominato segretario dell’Ambasciata francese presso la Santa Sede. A Roma il nostro raccolse il materiale per Les Martyrs, la storia di un giovane cristiano che converte un infedele edita nel 1809. In quest’opera elevò al Cristianesimo un alto cantico che spesso sembra essere epico. Fu poi ambasciatore in Svezia per Napoleone I (1804-1815), in Prussia e Gran Bretagna per Luigi XVIII (1815-1824), suo ministro degli Esteri e di nuovo ambasciatore presso la Santa Sede di Carlo X (1824-1830). Ritiratosi a vita privata nel 1829, morì nel 1848 dopo aver preso posizione a favore della III Rivoluzione, avvenuta nel febbraio di quell’anno. Oltre a quanto detto, scrisse l’Atala e l’Itinéraire de Paris a Jérusalem – sul suo viaggio in Terra Santa del 1806 che aveva ispirato anche Les Martyrs – che ancora sono opere apologetiche che interpetano cristianamente storia e civiltà. Scrisse altresì le Memorie della Duchessa di Berry, gli Studi Storici – in cui si ispirava alla teologia della storia di Bossuet – il Saggio di letteratura inglese, la Vita di Rancé – su consiglio del confessore – e Le memorie dell’Oltretomba, pubblicate postume.

Chateaubriand volle dimostrare che la posizione volterriana sul Cristianesimo, considerato nemico della civiltà. Esso infatti affina il gusto, favorisce il genio, sviluppa le virtù, rende rigoroso il pensiero, ispira l’artista e il letterato. Nel suo capolavoro l’autore sviluppa questo tema per quattro volumi (su dogmi e dottrine, poesia, belle arti e culto), così da risultare monocorde. Ma il valore letterario di Chateaubriand ridusse al minimo il rischio, sebbene lo stesso autore riconoscesse in seguito che l’opera avrebbe potuto essere scritta in modo più solido, sviluppando una apologetica anche sociale e non solo estetica e sentimentale. Chateaubriand sostenne che la religione è indispensabile alla vita stessa della società, intravedendo le trasformazioni in atto e auspicando di introdurvi il lievito evangelico. Fu più artista che filosofo, individualista e accentratore, spesso capace di affermazioni infondate, dalla penna esuberante di sentimento e capace di suscitare emozioni non sempre coordinate, dotato di eloquenza brillante e calda oratoria, ma non di vera forza dialettica. Ispiratore di Victor Hugo e Pierre de Lamartine da un punto di vista letterario, il nostro fu uno dei massimi autori romantici francesi.

GLI APOLOGETI: KARL LUDWIG VON HALLER

Svizzero e francofono, nacque nel 1768. Fu avversario di Rousseau e apologeta del principio di autorità. Per questo lasciò il protestantesimo e passò alla Chiesa, ritenendola più valido baluardo per le sue convinzioni. Visse a Parigi dal 1824 al 1831 e, avendo già pubblicato nel 1821 la Lettera alla sua famiglia per comunicarle il suo ritorno alla Chiesa Cattolica, esercitò una fortissima influenza sulla restaurazione cattolica nel mondo della cultura.

GLI APOLOGETI: NICOLA D’ECKSTEIN

Danese, nato nel 1790, si convertì al Cattolicesimo nel 1809 e si stabilì in Francia nel 1816. Fu autore fecondo, confuso e originale, discepolo di Schlegel e Görres che divulgò in Francia, tentò di riunire in una sola sintesi tutto quanto interessa il dogma e lo conferma, dalla geologia all’etnografia, dalla filologia alla giurisprudenza, dall’orientalismo alla paletnologia. Fu precursore del cattolicesimo liberale e amico di Lamennais.. Nel 1826 fondò Le Catholique . Morì nel 1861.

LE CORRENTI FRANCESI: FIDEISMO E TRADIZIONALISMO

Il fideismo e il tradizionalismo sono due correnti che tentano di battere in breccia l’Illuminismo distruggendo la validità stessa della ragione quale strumento di conoscenza. Dottrine gemelle, esse hanno una istanza positiva per la Fede, in quanto affermano che la ragione illuminata non può giudicare, essa sola, definitivamente, le questioni religiose, metafisiche e morali; hanno tuttavia un limite intrinseco, in quanto, affermando che esiste una Rivelazione primordiale, ricevuta per fede dall’uomo, possono, come abbiamo già visto per De Bonald, destituire la ragione anche da quei compiti che Dio le ha affidato. Non a caso i principali maestri di questa corrente furono condannati dalla Chiesa, compresi quelli di cui noi, a causa della loro fase ortodossa di pensiero, ci andiamo ad occupare. Si tratta di autori anch’essi tutti francesi o francofoni. Su questo troncone però si innestano altre correnti, a dimostrazione della sua fecondità: dal cattolicesimo liberale all’ultramontanismo, passando per autori di spiccata personalità che o non si riconducono a nessuna corrente specifica o si differenziano al loro interno in modo particolare. Queste correnti ebbero un corrispettivo filosofico nello Spiritualismo di Marie Francois Pierre Maine de Biran (1766-1824).

I TRADIZIONALISTI: FÉLICITÉ ROBERT DE LAMENNAIS

Fu il Tertulliano del XIX secolo, con le sue due fasi di pensiero: ortodossa ed eretica. Temperamento irruente, intellettuale a tutto tondo, grande scrittore, generoso fautore di ampi progetti, Lamennais spesso scrisse ed agì per violenza ed impulsività tralasciando riflessione e meditazione. Nacque a Saint-Malo da famiglia religiosa nel 1782; nell’adolescenza fu scettico e indifferente fino a buona parte della sua giovinezza, ma la lettura di Pascal lo riavvicinò alla Fede e l’Oratorio di San Sulpizio fece maturare in lui la vocazione religiosa. Diventato prete nel 1816 tra tante difficoltà psicologiche e interiori, Lamennais pubblicò nel 1817 l’Essai sur l’indifférence en matière de religion, con cui confutava l’ateismo, il deismo, il relativismo, l’Illuminismo e il Protestantesimo come causa di tutti i disordini moderni. L’opera, in due libri, specifica come criterio di verità quello che è creduto sempre, ovunque e da tutti, non solo in senso teologico ma anche filosofico. Esiste una verità originaria rivelata da Dio al senso comune e tenuta per consenso universale, della quale la Chiesa è custode ed interprete, che il Protestantesimo, aprendo all’individualismo, ha dissipato aprendola alla contestazione del razionalismo e dello scetticismo. Il crisma dell’infallibilità papale fa si che l’insegnamento della Chiesa sia assolutamente certo anche in questa materia originaria della conoscenza umana, per cui chi vuole costruire la società, la cultura e la politica su solide basi deve attingere al suo magistero; diversamente, quello che l’uomo farà sarà segnato dall’ignoranza e votato al fallimento. Nel 1808 Lamennais scrisse le Réflexions sur l’état de l’Eglise de France pendant le XVIII siècle et sur sa situation actuelle, a quattro mani col fratello Jean-Marie, in cui lanciò il programma di una rinascita delle oramai moribonde scienze religiose in Francia. I due fratelli lo applicarono fondando la Scuola e la Comunità di La Chesnaie, da cui uscì una schiera notevole di studiosi di alto lignaggio intellettuale. I fratelli Lamennais fondano poi la Congregazione di San Pietro, della quale redigono gli statuti e a cui affidano il seme della rinascita da essi piantato, onde lo curasse nel futuro, nello studio, nella missione e nell’educazione.

Nel 1829 Lamennais diventa cattolico liberale e passa a sostenere il razionalismo, rinnegando il suo precedente tradizionalismo. Insieme a Montalembert fondò L’Avenir nel 1830 e cominciò a sostenere la libertà di coscienza, di stampa, di insegnamento e la separazione tra Stato e Chiesa in una maniera che non era possibile per un cattolico dell’Ottocento. Les paroles d’un croyant del 1834 sono il libro con cui prende posizione per i proletari nella Rivoluzione Industriale e contro la Restaurazione politica, auspicando che la Chiesa, separatasi dal potere politico, lotti per queste cause. Gregorio XVI (1831-1846) reagì condannando il libro con l’enciclica Singulari nos (1834). Alla censura Lamennais reagì abbandonando la Chiesa, pubblicando Le livre du peuple in cui tratteggiava i contorni di un cattolicesimo sociale da lui rinnovato ed entrando in politica nel 1848 in seguito alla III Rivoluzione. Ritiratosi a vita privata dopo l’instaurazione del II Impero, morì nel 1854.

I TRADIZIONALISTI: IL VENERABILE JEAN MARIE ROBERT DE LAMENNAIS

Fratello del precedente, nacque anch’egli a Saint-Malo nel 1780. A differenza del fratello, ebbe solida vocazione sacerdotale, da quando aiutò i preti perseguitati dai giacobini a salvarsi durante la Rivoluzione. Uno di essi fu il suoi primo maestro. Ordinato nel 1804, ritiratosi dalla cura d’anime per malattia, approfondì lo studio col fratello col quale condivise le opere che abbiamo citato, specie la fondazione dei Fratelli dell’Istruzione Cristiana o Congregazione di San Pietro, nel 1817. Fondò anche le Figlie della Provvidenza (1816). Avversario del gallicanesimo, sostenne l’infallibilità papale. Cercò inutilmente di riportare il fratello nella Chiesa Cattolica dopo la sua apostasia. Morì nel 1860.

I TRADIZIONALISTI: RENÉ FRANÇOIS ROHRBACHER

Fu discepolo di Felix de Lamennais, oratore, apologeta e storico. Nacque nel 1789 a Lagatte, fu prete nel 1812 e missionario diocesano nel 1821. Direttore degli studi teologici dei giovani della Congregazione del suo maestro nel 1828, ruppe con lui dopo la sua condanna. Insegnò a Nancy e passò i suoi ultimi anni in preghiera nel Monastero di Santo Spirito in quella città, morendo nel 1856 e lasciando un esempio di grande virtù. Scrisse: il Catechismo del senso comune, La religione meditata, Dei naturali rapporti tra le due potestà, Della grazia e della natura, Vite di Santi per tutti i giorni dell’anno, Quadro delle principali conversioni che hanno avuto luogo tra i Protestanti dopo l’inizio del XIX secolo, Storia Universale della Chiesa Cattolica. Quest’ultima, opera di immensa erudizione, cancellò gli esempi che in tale disciplina avevano lasciato i gallicani come Fleury. Essa giungeva fino al 1852 e fu continuata da Balan e Bonacina fino all’anno 1895.

I FIDEISTI: LOUIS EUGÈNE MARIE BAUTAIN

Nato a Parigi nel 1796, fu dapprima idealista, poi prete cattolico. Pubblicò nel 1833 la Philosophie du Christianisme, in cui per superare il criticismo proponeva il riassorbimento della filosofia naturale nella Rivelazione, in un fideismo che annullava ogni conoscenza razionale come impossibile. Col benestare di Pio IX (1846-1878), l’arcivescovo di Strasburgo Trevern censurò il testo e costrinse l’autore a sottoscrivere una ritrattazione in quattro proposizioni. Nella seconda parte della sua vita Bautain fu vicario generale dell’Arcidiocesi di Parigi e docente di teologia morale alla Sorbona. Scrisse ancora opere importanti ed ortodosse in questi anni: La filosofia delle leggi dal punto di vista cristiano, La coscienza ossia la regola delle azioni umane, il Manuale di Filosofia morale. Morì nel 1867.

TRADIZIONE E RINNOVAMENTO: DENIS AUGUSTE AFFRE

Nato a Saint-Romme de Tarn nel 1793, fu arcivescovo di Parigi e precursore della Dottrina Sociale. Scrisse un Saggio storico e critico sulla supremazia temporale dei Papi, l’Introduzione filosofica allo studio del Cristianesimo, altre opere minori e fondò la rivista La France Chrétienne. Morì eroicamente cercando di predicare la pace tra le parti in lotta durante la Rivoluzione del 1848.

TRADIZIONE E RINNOVAMENTO: PHILIPPE GERBET

Nacque a Poligny nel 1798. Fu sociologo e apologista. Sacerdote, appartenne al gruppo dell’Avenir ma si separò da Lamennais dopo la condanna papale. Scrisse un Sommario di storia della Filosofia per confutare il suo stesso maestro, e altri libri e opuscoli di tema ascetico, filosofico e teologico. Fu propugnatore di un equilibrato rinnovamento sociale alla luce del Cristianesimo.

TRADIZIONE E RINNOVAMENTO: HENRI DOMINIQUE LACORDAIRE

Nacque nel 1802 a Recey-sur-Ource e fu il massimo oratore sacro dei suoi tempi. Volterriano da ragazzo, si riavvicinò alla Fede per risolvere alla sua luce i problemi sociali ai quali si era votato. Sacerdote sulpiziano nel 1827, fondò l’Avenir con Lamennais e Montalembert, salvo allontanarsene quando Gregorio XVI condannò gli errori lamennaisiani. Scrisse, per confutarli, le Considerazioni sul sistema filosofico del signor de Lamennais e le Lettere sulla Santa Sede, rispettivamente nel 1834 e nel 1835. Oratore nel Collegio Stanislao nel 1834, fu quaresimalista di Notre Dame nel 1835 per volontà dell’arcivescovo De Quélen (1778-1839). Il successo fu tale da farlo richiamare l’anno successivo. Ammiratore dell’Ordine dei Predicatori che era stato spazzato via dalla Rivoluzione, Lacordaire lo ricostruì in Francia e nei paesi francofoni, dopo averne vestito l’abito a Roma nel 1839. Nel 1840 compose la Vita di San Domenico, suggestiva, fresca, umana e piena di spiritualità. Nel 1841 pronunziò in Notre Dame un celebre discorso sulla vocazione della nazione francese. Lottò strenuamente, da quel giorno, per la libertà degli Ordini religiosi in Francia. Dal 1841 al 1854 svolse attività da Parigi che si irradiavano in tutta la Francia e tutto il Belgio. Diresse dal 1848 L’Ère Nouvelle, fu eletto deputato senza presentarsi alle elezioni in otto distretti ma rinunciò, fondò le province domenicane di Parigi nel 1850 e di Lione nel 1858, una Congregazione domenicana educatrice dei giovani a Sorèze e divenne membro dell’Accademia di Francia. Scrisse le Lettere a un giovane sulla vita cristiana, la Vita di Santa Maria Maddalena, Sulla libertà della Chiesa e dell’Italia, il Testamento. Morì nel 1861. Eminentemente moderno, aperto a tutti i problemi, di calda e nobile sensibilità, romantico equilibrato seguace di Chateaubriand e Rousseau, frequentemente lirico, nutrì di tutte queste qualità la sua oratoria fascinosa e i suoi scritti profondi. Creò un nuovo metodo per l’affermazione della fede cattolica, attraverso l’esperienza individuale; senza rigettare nulla delle argomentazioni classiche, Lacordaire avvicina i non credenti alla Fede mediante l’appello alle loro istanze esistenziali più profonde ed umane. Le sue Conferenze sono un capolavoro nel quale sottolineò il significato individuale e sociale della Chiesa. Esse si susseguirono negli anni secondo un disegno equilibrato: dal 1835 al 1836 mostrò che solo la Chiesa conduce alla verità e la possiede; dal 1843 al 1846 enunciò gli effetti della dottrina cattolica sull’anima, sullo spirito e sulla società, quali conseguenze dell’azione di Cristo, fondatore della Chiesa; dal 1848 al 1851 parlò di Dio e delle sue relazioni con l’uomo, della sua caduta originale e sulla Redenzione. L’enunciato appare dunque armonico, filantropico e cristocentrico.

I CATTOLICI LIBERALI: CHARLES RENÈ FORBES DE TRYON DE MONTALEMBERT

Nacque nel 1810 a Londra da padre francese e madre inglese. Fu educato in Inghilterra fino al 1819 e poi studiò in Francia, Germania e Svezia dove conobbe la filosofia tedesca. Dotato di poliedrica cultura, si sentiva portato alla vita politica e all’eloquenza parlamentare sul modello dei grandi oratori irlandesi contemporanei come Burke, Grottan ed O’Connel con i quali fu in contatto e nel cui paese visse per un periodo. Nelle giovanili Lettere ad un amico del Collegio, scritte in francese tra il 1827 e il 1830, egli attesta la sua pietà, la sua illibatezza, il suo amore per lo studio e il suo zelo per la Chiesa. Trasferitosi in Francia ed entrato in contatto con Lamennais, entrò nella redazione dell’Avenir per difendere i diritti dei popoli e le libertà umane fondamentali. Con Lacordaire e con il Conte De Coux aprì una scuola libera nel 1831, che il Governo chiuse subito portando sotto inchiesta i fondatori. Essendo Pari di Francia, Montalembert si difese in Senato e, sebbene condannato, gli offrì l’occasione per un vibrante discorso sulla libertà di educazione e lo mise sulla scena politica in un posto di primo piano, tanto che venne riconosciuto come uno dei capi dello schieramento cattolico. Fedele al suo motto: Dio e libertà, si battè per la Polonia, l’Irlanda, gli Ordini religiosi, i cattolici svizzeri, i neri, contro il materialismo e contro la dittatura. Dopo la condanna papale di Lamennais, Montalembert si staccò dal suo gruppo e fece pubblica adesione all’insegnamento della Santa Sede, nel 1834. In questo periodo si dedicò agli studi storici, come la Vita di Santa Elisabetta di Ungheria e i saggi raccolti nel volume Sul vandalismo e sul cattolicesimo nell’arte, rispettivamente del 1836 e del 1839. Nel 1848 entrò nell’Assemblea Nazionale e nel 1852 divenne Accademico di Francia. Pubblicò diverse opere: Sull’avvenire politico dell’Inghilterra, Una nazione nella sofferenza-La Polonia nel 1861, Il Papa e la Polonia e soprattutto I Monaci di Occidente da San Benedetto a San Bernardo, scritti rispettivamente nel 1856, nel 1861, nel 1864 e tra il 1860 e il 1867. L’ultimo, più che un capolavoro storiografico, lo è dell’eloquenza apologetica. Cattolico liberale, Montalembert polemizzò spesso e inopportunamente in molti casi dalle colonne del Corrispondant contro L’Univers di Veuillot, intervenne in modo controverso nel Congresso di Malines del 1863 e sostenne la petizione a Pio IX perché non pubblicasse il Sinodo. Tuttavia la sua fede, la sua lealtà alla Chiesa e il suo impegno per essa non possono essere messi in discussione. Grazie a uomini come lui, si intravide come i valori umani, laicamente fondati dall’Illuminismo, potessero avere una solida base sul Cristianesimo ed essere purgati dalla loro potenza secolarizzatrice. Morì nel 1870.

I CATTOLICI LIBERALI: CHARLES DE COUX

Uomo politico ed esploratore, era nato nel 1787. Sociologo militante, appartenne al gruppo de L’Avenir con Lacordaire e Lamennais, ma si sottomise alle censure papali. Nel 1834 fu docente di Economia Politica a Lovanio e nel 1845 fondò l’Univers con Montalembert. Nel 1848 si ritirò a vita privata. Morì nel 1864. Sostenne dalle colonne del suo giornale una visione concreta e sociale dell’ideale cattolico, unico rimedio per salvare gli operai dall’oppressione dei capitalisti. Fautore della libertà di stampa e di culto, rigettò l’idea della religione di Stato per dare alla Chiesa la massima libertà, mentre sostenne che lo Stato debba seguire la morale cattolica qualora abbia una popolazione a maggioranza cattolica.

GLI ULTRAMONTANI: LOUIS FRANÇOIS VEUILLOT

Nacque a Boynes nel 1813. Si convertì dall’ateismo al Cattolicesimo a Roma nel 1838. Entrò nella redazione del giornale L’Univers chiamato da Montalembert, ma quando questi divenne cattolico liberale e lasciò il giornale, fu Veuillot ad animarlo nel senso di una vigorosa conservazione dell’identità tradizionale e dell’esaltazione dell’autorità papale. Acuto nel pensiero, di ampia cultura, scrittore eletto e vibrante, Veuillot intervenne su tutte le questioni politiche, culturali, religiose e sociali dell’epoca. Scrisse: Roma e Loreto, I liberali pensatori, diciotto volumi di Miscellanee religiose, storiche, politiche e letterarie; Il profumo di Roma, Il Papa e la diplomazia, L’illusione liberale, Gli odori di Parigi, Roma durante il Concilio, rispettivamente nel 1841, nel 1848, dal 1856 al 1872, nel 1861, nel 1866, nel 1876. Grande assertore del dogma dell’Infallibilità papale e della sua giurisdizione universale, Veuillot fu tra i maggiori prosatori del secolo francese e scrisse sette volumi di Corrispondenza, paragonata a quella di Voltaire.

I CIRCOLI TEDESCHI

Sono gli animatori della rinascita teologica germanica dopo la crisi illuministica, una rinascita che coincide con un rinnovamento spirituale nei primi decenni del XIX secolo. Attingendo sia alla sua più genuina tradizione che alle istanze positive e moderate della stessa cultura illuministica, la Chiesa tedesca rinacque grazie a un movimento culturale di difesa e di recupero della propria libertà e della sua attività educativa. Un impulso molto forte si ebbe grazie all’incontro col Romanticismo, il quale, al suo variegato interno, trovò stimoli da dare anche alla Chiesa Cattolica, nelle cui fila entrarono molti protestanti che professavano la fede in chiave patriottica. Questo movimento fiorì attraverso una serie di piccoli circoli, conformi al gusto del tempo.

Il Circolo di Münster fu animato dalla principessa Amalia Gallitzin (1748-1806) e fu il primo in assoluto, anteriore anche alla Rivoluzione Francese. In esso si professava fideismo e sentimentalismo religioso. Il Circolo ebbe relazioni con i luterani pietisti. Tra i suoi membri si annoverano il catechista e pedagogo Bernard Overberg (1754-1826), il canonico Franz von Fürstenberg (1729-1810), lo storico della Chiesa Theodor Katerkamp (1764-1834), l’esegeta Bernard Georg Kallerman (1809-1877), il principe Friedrich Leopold von Stolberg (1750-1819). Questi si convertì dal protestantesimo e scrisse la Storia della Religione di Gesù Cristo, presentando la storia della Chiesa come storia della Salvezza e in modo universale. Apologeta non immune da influssi luterani, Stolberg risvegliò la coscienza religiosa e storica della sua epoca. Overberg invece fu assertore della conversazione educativa e dello sviluppo intellettuale dell’allievo. Desumeva la sicurezza della Fede dalla Rivelazione, che mise al centro dell’educazione e che inculcò con la sua Storia dell’Antico e del Nuovo Testamento.

Il Circolo di Vienna si radunò attorno al redentorista Clemens Maria Hofbauer (1751-1820), da cui spesso riceve il nome, e a Friedrich Schlegel (1772-1829). Il primo era precettore, predicatore, missionario e organizzatore rivolto a tutti i gruppi sociali, nemico pugnace dell’Illuminismo e del giurisdizionalismo illuminista. Il secondo un convertito dal protestantesimo, tra i massimi esponenti del primo Romanticismo, docente di Storia della Religione che sviluppò una interpretazione della storia e della cultura europea alla luce dell’influsso cattolico. Al Circolo aderirono il docente di Diritto pubblico Adam Müller e il suo collega Karl Ludwig von Haller (1768-1854). Tutti costoro sostenevano che l’autorità monarchica e l’ordine sociale erano voluti da Dio e naturali. Sostennero uno Stato corporativo fondato su religione e nazione, che fosse in stretta unione con la Chiesa. Essa era il pilastro dell’ordine. Praticamente divennero i teorici della Restaurazione e di quanto ci fu di buono in essa. Dedussero i principi sociali dal Cattolicesimo e dalla dottrina delle classi, chiedendo giustizia e promozione umana per i lavoratori. Il loro Circolo ne suscitò di minori a Würzburg e a Monaco, mentre estese la sua influenza a Seckau e a Linz grazie al clero uscito dalle sue fila ed assurto alla dignità episcopale.

Il Circolo di Landshut fu fondato da Johann Michael Sailer (1751-1832). Questi fu mediatore dell’incontro tra Cattolicesimo e cultura tedesca contemporanea. Assertore dell’interiorizzazione del Cristianesimo tradizionale, lottò contro il deismo e fu pensatore eclettico, che interagì con molti intellettuali protestanti. Elaborò, non senza contrasti, una teologia della Rivelazione e della spiritualità, con fondamenta bibliche e patristiche. Insegnò a Dillingen, a Ingolstadt e appunto a Landshut, fu pubblicista e direttore di anime, indi vescovo di Regensburg. Furono suoi discepoli e sodali i futuri vescovi di Regensburg Georg Michael Wittmann (1760-1833), Franz Xavier Schwabl (1778-1841), il pedagogo Christoph von Schmid (1768-1854), l’esegeta e biblista Joseph Franz von Allioli (1793-1853) e Melchior Diepenbrock (1798-1853). Il Circolo influì sulla Corte bavarese in modo profondo, con i consiglieri regi Johan Nepomuk Ringseis (1785-1880), medico, ed Eduard von Schenk (1788-1841), giurista. Il primo fu rettore dell’Università di Monaco e subì l’influsso del Circolo di Vienna, creando con Joseph von Görres (1776-1848) e Franz von Baader (1765-1841) un altro cenacolo in loco, come dicemmo. Nemici giurati del razionalismo e dell’Illuminismo, combatterono anche la riforma protestante.

Il Circolo di Magonza lottò per un rinnovamento ecclesiastico accentrato ed autoritario, propugnando un ritorno alla formazione tridentina del clero e un insegnamento basato sulla Scolastica, a volte contaminata dalla filosofia della Restaurazione francese. Furono Johann Ludwig Colmar (1760-1818), arcivescovo di Magonza, Franz Leopold Liebermann (1759-1844), rettore del Seminario di Magonza, Andreas Rāss (1794-1887), arcivescovo di Strasburgo, Nikolaus Weiss (1796-1869), arcivescovo di Spira. Non romantici, furono ultramontani. Combatterono l’Illuminismo, il giurisdizionalismo, il protestantesimo e i cattolici non ultramontani. L’influsso magontino si sentì nei Circoli di Kassel, di Francoforte, di Coblenza, di Bonn, di Colonia, di Aquisgrana e di Düsseldorf. Alla fine i Circoli tedeschi favorirono una massiccia influenza della Chiesa sulla cultura patria, si identificarono con l’ultramontanismo e con la Restaurazione.

In Svizzera forti personalità furono Johann Gugler, teologo romantico, Franz Geiger e Karl Ludwig von Haller (1768-1854), attorno al quale si radunarono ultramontani nemici di Rousseau, della Rivoluzione e dei liberali.

LA SCUOLA DI TUBINGA

Il maggiore dei Cenacoli tedeschi fu la Scuola di Tubinga, fondata nel 1817 come reazione al comportamento di quei teologi ed intellettuali che o si rinserravano in un romanticismo esaltato misticheggiante o si abbarbicavano in un razionalismo gretto. I teologi di Tubinga erano colpiti dall’Idealismo ma ancor più custodivano la tradizione cattolica. Forti del fatto che diversi autori protestanti avevano cristianizzato concetti e temi idealistici, li fecero propri nel quadro di un ampio programma di riforma liturgica e disciplinare, creando un sistema moderno nella continuità dell’insegnamento cattolico. La Tradizione, concepita come una realtà viva continuamente accresciuta da tutta la Chiesa e specialmente dalla teologia e dal Magistero, e il dialogo ecumenico furono i due pilastri di questa Scuola.

JOHAN SEBASTIAN DREY

Fondatore della Scuola, nacque nel 1777 a Killingen e divenne sacerdote nel 1801 dopo aver studiato dai Gesuiti di Augsburg e nel Seminario diocesano. Insegnò matematica e fisica nel Liceo di Rotwell e dogmatica e storia dei dogmi alle Università di Ellwangen e di Tubinga. Qui impostò il suo insegnamento come una forma di teologia fondamentale, pur definendolo apologetica. Promotore del rinnovamento teologico e disciplinare, punto di riferimento indiscusso di tutta la Facoltà teologica, Drey fu tra i fondatori della rivista Theologische Quartalschrift. In pensione dal 1846, morì nel 1853 a Tubinga. Scrisse numerose opere, alcune delle quali ancora inedite. Tra le maggiori, ovviamente in tedesco, ricordiamo la Breve introduzione allo studio della teologia con riferimento al punto di vista scientifico e il sistema cattolico e L’apologetica come dimostrazione scientifica della divinità del Cristianesimo nelle sue origini.

Drey fu il padre della nuova teologia fondamentale, intesa come apologetica non solo contro gli eretici e i detrattori, ma anche come dimostrazione razionale della verità del Cristianesimo e quindi come sua fondazione filosofica. Egli parte dal dato di fatto dell’origine storica del Cristianesimo, così come si configura alle sue origini, e ne mostra la coerenza di sviluppo sino ai nostri giorni, nei quali la sua sostanza sussiste solo nella Chiesa Cattolica. Essa, con la sua ininterrotta esistenza e il suo sviluppo coerente, è la garanzia transoggettiva della verità dell’oggetto teologico, la cui valutazione sta nell’accertamento delle fonti e nell’analisi critica. In tal senso ogni teologia è apologetica e viceversa. Essa tratta la Rivelazione divina, universalmente intesa come un processo di educazione dell’umanità fatto da Dio stesso e culminante nella Rivelazione cristiana strettamente intesa. In essa la Tradizione è la forma veicolare più completa, specie nei Padri, nei Concili e nei Papi.

JOHAN ADAM MÖHLER

Nacque a Igersheim nel 1796. Studiò teologia ad Ellwangen e in seguito ad essi decise di diventare prete, ricevendo i sacri ordini nel 1819. Insegnò a Tubinga e a Monaco, dove morì nel 1838. Scrisse L’unità nella Chiesa ossia il principio del Cattolicesimo, Atanasio il Grande e la Chiesa del suo tempo, Simbolica. Esposizioni delle antitesi dogmatiche tra cattolici e protestanti secondo i loro scritti confessionali pubblici, Nuove ricerche sulle antitesi dottrinali tra cattolici e protestanti. Fu il maggior teologo tedesco della prima metà dell’Ottocento e la sua morte prematura lasciò un grande vuoto.

Fortemente interessato all’ecclesiologia, il nostro rielaborò sistematicamente la concezione cattolica della Chiesa e ne confrontò le dottrine con quelle delle altre confessioni cristiane. Il modello ecclesiologico di Möhler è quello pneumatologico, espresso da un linguaggio storico e non metafisico. In questo squisitamente romantico, egli seppe presentare la sua dottrina in un modo consono alla sensibilità del tempo. Lo Spirito Santo è Colui Che garantisce l’unità della Chiesa, che suscita la fede nella Parola di Dio, che conferisce la Grazia mediante i Sacramenti e garantisce l’autorità dei Pastori. Questo Principio non è culturale ma interiore, invisibile e onnipresente. La fede è la presa di coscienza della propria vita nello Spirito. La Tradizione è suscitata dallo Spirito che l’ha avviata prima ancora che una parte di essa si fissasse per iscritto; perciò proprio quello che è costantemente affermato dalla Tradizione in relazione alla Scrittura è da considerarsi irreformabile, in quanto anche storicamente essa ha un primato costitutivo e una valenza ermeneutica. La Gerarchia è ordinata dallo Spirito, sia in ordine ai suoi poteri sia in vista del suo fine, che è costituire la Chiesa come un corpo unitario tramite la carità, nella quale vi è un capo e delle membra, sia a livello locale mediante il Vescovo sia a livello universale mediante il Papa. Proprio la necessità di unire sempre di più ha fatto crescere e delineare maggiormente il primato e il potere del Pontefice di Roma. In tale maniera Möhler aveva dato una rigorosa ed esclusiva fondazione pneumatologica al mistero ecclesiale. In seguito egli integrò questa visione affermando che la Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo edificato tramite i Sacramenti e riconducendo alla presenza di Cristo in essa sia l’efficacia di questi ultimi che l’autorità dei Pastori. Al di là di ciò, egli, parlando in questi termini mistici, superò l’idea bellarminiana della Chiesa quale comunità essenzialmente visibile e giuridica, lasciando un seme che avrebbe germogliato al meglio nel secolo successivo.

JOHAN EVANGELIST VON KUHN

Nacque a Waeschenbeuren nel 1806, studiò a Tubinga e a Monaco, divenne prete nel 1831, insegnò esegesi neotestamentaria a Giessen e a Tubinga. Succeduto a Drey sulla cattedra di dogmatica nel 1839, la tenne fino al 1882. Morì nel 1887. Scrisse moltissime opere di teologia fondamentale e dogmatica, tra cui ricordiamo La vita di Gesù, Sul principio e sul metodo della teologia speculativa, La dottrina dogmatica della conoscenza delle proprietà e dell’unità di Dio, La dottrina cristiana della grazia divina, Filosofia e teologia. Uno scritto polemico. Compose diversi saggi per riviste teologiche di Tubinga.

Esponente della seconda generazione della Scuola di Tubinga, si scontrò coi Neoscolastici che lo avversarono fieramente. Egli diede apporti originali nella definizione di Tradizione e dello sviluppo dogmatico. Kuhn affermò chiaramente che la Tradizione cattolica è una realtà viva e non immobile come dicevano i protestanti e che lo sviluppo dogmatico parte dal deposito rivelato, esattamente come è consegnato alla Tradizione apostolica stessa. Nel corso del tempo Tradizione e Scrittura rimangono unite all’interno dell’idea della Rivelazione e la Verità, senza mai essere oltrepassata ed esaurita, viene determinata nella Fede dallo Spirito che consegna quelle formule alla scienza teologica. Kuhn inoltre affermava che teologia e filosofia possono conciliarsi solo mantenendo la reciproca indipendenza e senza tendenze suprematiste. Tramite tale conciliazione si giunge a quella più alta tra Cristianesimo e ragione.

Accanto a Von Kuhn è degno di nota un altro maestro della seconda generazione dei teologi di Tubinga, Franz Anton Staudenmaier (1800-1856). Sacerdote nel 1827, professore nel 1830 di apologetica e di dogmatica nell'Università di Giessen, fu tra i fondatori degli Jahrbücher für Theologie und christliche Philosophie. Nel 1837 divenne docente di dogmatica a Friburgo e con i colleghi friburghesi fondò la Zeitschrift für Theologie.

GLI APOLOGETI INGLESI: NICHOLAS WISEMAN

Dopo secoli di silenzio, anche in Gran Bretagna il Cattolicesimo rifiorì, grazie all’azione combinata ma non coordinata dell’Università di Oxford e del Collegio Inglese di Roma. Con tale fioritura si intreccia quella di una nuova apologetica, esplicativa e non polemica, che riporta fuori dalle catacombe lo spirito e la dottrina cattolica per mostrarli all’opinione pubblica anglicana. Tra i suoi autori ci furono Wiseman, Newman e Manning, tutti insigniti della porpora cardinalizia.

Nicholas Patrick Wiseman nacque a Sevilla nel 1802 e fu educato in Irlanda. Si addottorò al Collegio Inglese di Roma nel 1824, divenne prete nel 1825 e si votò alla causa della ricatolicizzazione dell’Inghilterra, avendo a modello le conferenze di Lacordaire, conosciuto nel 1835. Dal 1836 si votò a questa missione attraverso le sue Lectures a Londra, nelle quali presentò pacatamente e senza polemiche le principali dottrine cattoliche ai suoi connazionali ottenendo grande successo e rispetto. Amico di Montalembert e di Rosmini, fu dapprima Vicario Apostolico di Londra e poi il primo Arcivescovo di Westminster della rinata Gerarchia cattolica inglese. Creato Cardinale da Pio IX nel 1850, dopo il ristabilimento della Gerarchia in Inghilterra scrisse l’Appello alla ragione al retto sentire del popolo inglese intorno alla gerarchia cattolica , contro il fondamentalismo anglicano. Fu anche autore del romanzo storico Fabiola o la Chiesa delle Catacombe. Morì nel 1865.

GLI APOLOGETI INGLESI: IL BEATO JOHN HENRY NEWMAN

Vero Dottore della Chiesa non ancora proclamato, John Henry Newman nacque a Londra nel 1801. Educato nell’anglicanesimo, si allontanò da esso in nome di un generico spirito di irreligiosità, per poi tornare alla Fede con maggior consapevolezza grazie ad una esperienza interiore del 1816. Iscrittosi all’Università di Oxford, si graduò e divenne suo fellow. Sacerdote della Chiesa Anglicana nel 1825, fu parroco della Parrocchia universitaria di Saint Mary’s nel 1828. Nel 1833 costituì con alcuni amici il Movimento di Oxford per un profondo rinnovamento della Chiesa Anglicana. Si distinse con la composizione dei vivaci e incisivi novanta Tracts sui temi più svariati della disciplina, della liturgia, della storia, della morale e della teologia anglicane. Newman pubblicò On the prophetical office of the Church, un saggio ecclesiologico in cui sosteneva i principi cardine del Movimento oxfordiano, ossia la Via Media e i Tre Rami. La prima dottrina elogiava la Chiesa Anglicana che non aveva né mutilato, come il Protestantesimo, né indebitamente ampliato, come il Cattolicesimo, la Rivelazione. La seconda sosteneva che la Chiesa Cattolica vive in tre rami, ciascuno legittimo nel suo territorio e che non devono combattersi tra sé: quello Romano, quello Greco e quello Anglicano. Ma nel 1839, studiando il ruolo della Chiesa Cattolica Romana durante le controversie cristologiche del IV secolo, Newman capì che la vera Chiesa era quella. Nel 1845 si convertì e scrisse il Saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, il suo capolavoro. Nel 1847, dopo aver studiato all’Urbaniana di Roma, fu ordinato prete e divenne Oratoriano. Nel 1848 impiantò la sua Congregazione in Inghilterra. Nel 1852 fondò una Università cattolica in Irlanda, di cui divenne Rettore e che però poi abbandonò perché le sue idee pedagogiche, espresse nell’opera L’idea di Università, non erano quelle dei Vescovi dell’isola. Nel 1879 fu creato Cardinale da Leone XIII (1878-1903). Morì nel 1890.

Scrisse moltissimo. Tra i suoi saggi teologici, oltre ai citati, ricordiamo Gli Ariani del IV secolo, Lezioni sulla Giustificazione, Un saggio sullo sviluppo della dottrina cristiana, Lezioni sulle difficoltà degli Anglicani, Lezioni sulla posizione attuale dei cattolici in Inghilterra, Un saggio in aiuto della grammatica dell’assenso. Tra i sermoni menzioniamo: I Sermoni parrocchiali, I Sermoni semplici, i Sermoni per l’Università di Oxford, Discorsi indirizzati alle congregazioni miste, Sermoni predicati in varie occasioni. Tra le poesie ricordiamo La Lyra Apostolica e i Versi per varie circostanze. Tra i romanzi Loss and Gain e Callista. Nell’epistolario menzioniamo The Tamworth Reading Room, la Lettera al Reverendo Pusey, la Lettera al Duca di Norfolk. Degna infine di particolare nota è la sua Apologia pro vita sua.

Pensatore scomodo e controverso, attaccato in vita da anglicani e cattolici, riscoperto dopo il Vaticano II, Newman fu attratto soprattutto dalla fondazione epistemologica della teologia e dello sviluppo dogmatico, nonché dal tema ecclesiologico.

Per chiarire lo statuto epistemologico dell’atto di fede, Newman si domandò se esistevano ragioni sufficienti perché tutti gli uomini potessero formularne uno. Distinguendo tra assenso e apprensione e poi tra assenso e inferenza, Newman affermò che l’assenso è dato dal soggetto alla Rivelazione come gli si presenta nella sua forma originaria. Non è quindi una conoscenza speculativa ma una realtà che comporta un impegno morale che dura tutta la vita. Formulando un atto di fede nella Rivelazione, l’uomo accetta tutte le sue parti anche senza conoscerle tutte. Il semplice assenso diventa riflesso quando con l’argomentazione razionale a favore della Fede diventa inferenza. Due sono le argomentazioni razionali più forti. La prima è la religione naturale che ognuno scopre in sé riflettendo sulla coscienza, sulla sofferenza e sul sacrificio. La seconda è il cumulo delle probabilità che convergono, da vari angoli visuali, verso il Cristianesimo a favore della sua veridicità. La coscienza è il sacrario dove avviene la meditazione sulla Fede e dove si decide a favore di essa mediante la vita. E’ una scelta progressiva, resa difficile dalla corruzione dell’uomo e del mondo che egli ha costruito. La dialettica tra mondo e coscienza è contrastante e Newman in questo è uguale a Pascal e a Kierkegaard. Alla fine solo la Chiesa può bilanciare l’influsso nefasto del mondo sull’uomo e sulla sua coscienza. In buona sostanza, l’uomo arriva alla Verità mediante un percorso personale e storico, predisposto dalla Provvidenza. Essa infatti ha creato l’uomo capace di interrogarsi ed essa lo guida alla meta stabilita. Come specie razionale, l’uomo è nel fluire delle cose ed esse concorrono allo sviluppo della comprensione che egli ha della Verità. In questo sviluppo concorrono due elementi, la vigilanza per una retta comprensione, e l’azione per un’attuazione nel tempo dello spirito evangelico.

Newman sviluppò anch’egli una ecclesiologia pneumatica, diversa da quella della Seconda e della Terza Scolastica. In essa egli distinse due uffici ecclesiali principali, quello profetico e quello episcopale, a cui fanno capo due diverse tradizioni, e delle quali la prima è più importante, in quanto estesa a tutti i fedeli e basata sulla comunione e sulle grazie concesse ad ognuno, e nel contempo la più fragile e delicata, la più bisognosa di protezione, proprio dall’altra. La tradizione profetica è a volte mescolata, a volte no, a quella episcopale; a volte è leggendaria e fiabesca, altre volte è scritta, altre volte orale; a volte interpreta e a volte integra la Bibbia; a volte è intellettuale e a volte sentimentale e caratteriale; è sparsa nella liturgia, nei costumi, nei sermoni, in opere oscure, in usanze popolari e in scritti eruditi. Tocca alla tradizione episcopale discernere in essa quel che è giusto e corretto, anche attraverso le sue definizioni che però non esauriscono la tradizione profetica e sono perfezionabili. Entrambe le tradizioni sgorgano da Cristo, Vita e Verità infusa nei Suoi discepoli, nei quali imprime la Sua immagine. Messa, Comunione e Sacramenti permettono l’assimilazione di questa immagine nei credenti, che così si incorporano a Gesù. La Chiesa per Newman non è da identificarsi col Regno di Dio, la cui pienezza non si riscontra in essa, almeno in questo mondo, ma di certo essa ne è come il seme, che germoglia nel mondo anche e soprattutto per l’azione dei laici cristiani.

Per quanto riguarda lo sviluppo del dogma, Newman, consapevole che esso è storicamente accaduto, sottolinea che esso è legittimo e necessario e che avviene secondo criteri che ne garantiscono l’autenticità. La psicologia umana, suscettibile di sviluppo, e la pedagogia divina che l’asseconda, sono le ragioni dello sviluppo e della sua necessità. La sua autenticità si riscontra nella conformità alla Tradizione, che è quella romana, in quanto solo un Magistero vivo e infallibile garantisce la possibilità di uno sviluppo autentico. Tale infallibilità è un postulato della Rivelazione stessa, che esige di essere garantita in modo inerrrante. La Bibbia da sola non si impone a tutti nello stesso modo, mentre da sempre la Chiesa Romana pretende di essere infallibile e avanza con coerenza nella storia, guidando il grosso dei cristiani. I sette criteri che Newman elenca per distinguere lo sviluppo delle dottrine dal loro deteriorarsi sono i seguenti: se conservano tipi, strutture e principi identici; se si postulano dalle precedenti e lasciano postulare le successive; se hanno capacità di assimilazione e di reviviscenza, oltre che uno sviluppo vigoroso. Il teologo a sua volta deve essere fedele alla Parola di Dio e fisso con lo sguardo su Cristo, nonché sottomesso al Magistero.

GLI APOLOGETI INGLESI: HENRY EDWARD MANNING

Nato a Totteridge nel 1807, precocemente inclinato alla politica, volle poi diventare pastore anglicano. Rimasto presto vedovo, si orientò al Movimento di Oxford. Divenuto Arcidiacono di Chichester, si convertì al Cattolicesimo nel 1851, ricevendo i Sacri Ordini. Pio IX lo fece arcivescovo di Westminster e cardinale dopo Wiseman. Ne proseguì tutte le iniziative ecclesiali, benefiche e culturali, sforzandosi di presentare il Cattolicesimo in modo sempre più positivo ai suoi connazionali. Scrisse Il Sacerdozio eterno, I fondamenti della Fede, Storia del Concilio Vaticano, Le ragioni del nostro Credo, L’educazione nazionale. Pioniere del Cattolicesimo sociale, si distinse per la mediazione nel grande sciopero del 1889. Morì nel 1892.

I TRADIZIONALISTI ITALIANI: IL VENERABILE PIO BRUNONE LANTERI

A battere in breccia la secolarizzazione incipiente, e molto più debole che altrove, in Italia sono sia i tradizionalisti che i cattolici liberali, specie di indirizzo neoguelfo, più alcuni pensatori liberi di grande spessore. Tutti si differenziano su uno sfondo sostanzialmente conservatore e soggiogato dalla presenza della Curia di Roma. Il primo di questi autori è il Venerabile Pio Bruno Lanteri.

Nacque a Cuneo nel 1759 e fu ordinato prete nel 1782. Collaborò a Vienna per l’organizzazione della visita di Pio VI (1775-1799). Si diede alla confessione, alla predicazione, alla formazione del clero mediante gli esercizi spirituali di Sant’Ignazio e le opere di Sant’Alfonso. Sostenitore segreto di Pio VII (1800-1823) durante la sua prigionia a Savona, fu arrestato e imprigionato per quattro anni. Fondatore degli Oblati di Maria Vergine, ristrutturò nel 1817 le Amicizie Cattoliche, fondate dall’ex-gesuita Joseph Albert Nikolaus von Diessbach (1732-1798) quaranta anni prima. Nucleo della futura Azione Cattolica, le Amicizie erano formate solo da laici e orientate alla diffusione della buona stampa. Il Lanteri, che operò quasi sempre in anonimato e clandestinità dati i tempi e che alle stesse Amicizie diede una struttura paramassonica, scrisse senza firmarle diverse opere, tra cui in francese le Riflessioni sulla santità e le dottrine del Beato Alfonso Maria de’Liguori e in italiano gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, più varie opere ascetiche come testi della Via Crucis e Meditazioni sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Suo epigono fu il marchese Cesare d’Azeglio (1763-1830), torinese, membro di svariate società dedite alla diffusione della buona stampa, che introdusse in Piemonte la Società per la Propagazione della Fede, la prima organizzazione missionaria laica fuori della Francia. Il Marchese fondò la rivista L’Amico d’Italia, che fu la prima di una serie di testate cattoliche restauratrici sostanzialmente contigue al pensiero di De Maistre.

I TRADIZIONALISTI ITALIANI: GIOACCHINO VENTURA DI RAULICA

Oratore e filosofo, nacque a Palermo nel 1792, morì a Versailles nel 1861. Teatino nel 1818, fu Generale dell’Ordine dal 1830 al 1833. Docente di diritto pubblico ecclesiastico alla Sapienza di Roma e consultore della Sacra Congregazione dei Riti, fu studioso, oratore ed apologeta. . Impegnato nell’apostolato della stampa, fondò a Napoli nel 1821 la rivista intitolata L’Enciclopedia ecclesiastica e morale. Scrisse Il tesoro nascosto, ossia la Passione di Gesù Cristo; La Scuola dei miracoli; Omelie sulle parabole evangeliche; Le bellezze della fede; La Madre di Dio, Madre degli uomini. In francese scrisse La ragione filosofica e la ragione cattolica; Il potere politico cristiano; Saggio sul potere pubblico; La Tradizione e i semipelagiani della filosofia; La filosofia cristiana. Versatile ed eclettico, Ventura seguì filosofia e politica suggerendo a Pio IX una legge elettorale, una Camera di Pari e una Costituzione. Espose i dogmi cattolici dal suo esilio volontario francese seguito alla fine della Repubblica Romana del 1848 e sostenne il tradizionalismo in filosofia dapprima in forma rigida e poi mitigata, così come lo abbiamo conosciuto in Francia.

I CATTOLICI LIBERALI ITALIANI

Tra essi si annoverano nomi celebri, anche se non primo piano nella teologia. Alessandro Manzoni (1785-1873) vi rientra per le sue Osservazioni sulla morale cattolica, opera apologetica di sostanza patriottica e apologetica. Niccolò Tommaseo (1802-1874), poeta filologo e saggista, fu il primo a promuovere il programma neoguelfo che saldava la conservazione del Potere Temporale dei Papi con il Risorgimento nazionale. Vincenzo Gioberti (1801-1852), docente alla Facoltà Teologica Piemontese, Cappellano di Corte, Presidente del Consiglio dei Ministri del Regno di Sardegna, filosofo e politologo, sacerdote, fu autore del Primato morale e civile degli Italiani nel 1843, con cui lanciò il Neoguelfismo. Raffaello Lambruschini (1788-1873) fu illustre pedagogista. Gino Capponi (1792-1876) fu pedagogista e storico. Luigi Taparelli d’Azeglio (1793-1862), figlio di Cesare e fratello di Massimo, gesuita, fu filosofo tomista e metafisico, teologo, giurista, pittore e musicista. Autore del Saggio teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto, sostenne i regimi costituzionali, i partiti cattolici e le condizioni vantaggiose che entrambi potevano ottenere alla Chiesa.

IL BEATO ANTONIO ROSMINI SERBATI

La tradizione filosofica italiana era stata tenuta viva nella nuova forma dello Spiritualismo da Pasquale Galluppi (1770-1846), che aveva fornito anche nuove prove dell’esistenza di Dio e inteso cristianamente Cartesio e Kant. Ma il massimo filosofo e teologo della Restaurazione italiana fu Rosmini. Il suo obiettivo fu un rinnovamento totale della cultura cristiana e della Chiesa.

Egli nacque nel 1797 a Rovereto e morì a Stresa nel 1855. Nobile e ricco, fu di vocazione sacerdotale precoce, realizzatasi nel 1821, dopo lunghi studi a Padova di teologia, fisiologia, medicina e matematica. Amico di Manzoni, conobbe Bartolomeo Mauro Cappellari prima ancora che divenisse Gregorio XVI, che a lungo lo protesse; fondò l’Istituto della Carità nel 1828 e divenne direttore spirituale delle Suore della Provvidenza nel 1833. Tra il 1848 e il 1849 fu politico attivo per il progetto neoguelfo e per poco non ottenne la porpora e la Segreteria di Stato da Pio IX. Seguito il Papa a Gaeta, nel 1849 subì una censura dalla Congregazione dell’Indice per due sue opere: Le cinque piaghe della Chiesa – contro il giuseppinismo – e La Costituzione secondo giustizia sociale. Richiestagli sottomissione ma non ritrattazione, la fece sinceramente. Nel 1848 aveva raggiunto Stresa e nel Noviziato del suo Istituto si diede allo studio, alla preghiera e alla sofferenza cristianamente offerta, fino alla morte avvenuta nel 1855.

Le sue dottrine furono oggetto di una accanita disputa. Dal 1839 al 1854 per tre volte Gregorio XVI e Pio IX imposero il silenzio alle parti contendenti. Nel 1854 Pio IX in persona autorizzò la libera pubblicazione delle opere di Rosmini assolvendole da ogni censura, caldeggiata invece dai Gesuiti neoscolastici. Tra il 1854 e il 1888, morto Pio IX, eletto Leone XIII (1878-1903) e trionfando il Neotomismo, si dibatte di nuovo sulla filosofia rosminiana tacciata di ontologismo, a torto. Nel 1888 il Sant’Uffizio condannò quaranta proposizioni desunte da scritti postumi di Rosmini nel numero di diciannove e da quelli editi nel numero di sette e da entrambi i tipi di scritti nel numero di quattordici. Di esse ventiquattro erano filosofiche e sedici teologiche. Tra il 1888 e il 1956 gli studi critici risolvono la questione conciliando i due momenti del magistero papale, perché la condanna era valida non per il senso autentico delle opere rosminiane ma per quello attribuitole dai suoi detrattori.

Le opere di Rosmini sono di tre tipi. Le filosofiche sono il Nuovo Saggio sulla teoria delle idee, i Principi della Scienza morale, Storia comparata e critica dei sistemi intorno al principio della morale, Trattato della coscienza morale, Il rinnovamento della filosofia in Italia, Antropologia in servizio della scienza morale, Filosofia del diritto, Risposta al finto Eusebio Cristiano, La Costituzione secondo giustizia sociale, Il sistema filosofico, Introduzione alla filosofia, Discorso sugli studi, Libertà del filosofare, Conciliazione delle sentenze, Idea della sapienza, Logica, Psicologia, Teosofia (incompiuta e postuma, è l’opera più matura della metafisica rosminiana), Aristotele esposto ed esaminato, Saggio storico sulle Categorie e la Dialettica (entrambe postume). Le teologiche sono Il linguaggio teologico, Antropologia soprannaturale, Introduzione al Vangelo secondo Giovanni – tutti postumi – Della Divina Provvidenza nel governo dei beni temporali, Teodicea. Le ascetiche sono l’Ascetica, Massime di perfezione cristiana adattate ad ogni condizione di persone, Delle Cinque piaghe della Santa Chiesa. Infine ricordiamo il suo Epistolario in tredici volumi.

Rosmini muove i suoi passi filosofici andando sia oltre l’Illuminismo – con la sua esaltazione unilaterale della ragione astratta a discapito della natura umana – sia oltre la Restaurazione e il Tradizionalismo, che con la violenza e lo spirito acritico schiacciavano e negavano i problemi del mondo contemporaneo. In antropologia Rosmini sostiene che l’uomo è costituito da una relazione con l’essere e che l’essere ideale è la condizione di ogni atto conoscitivo. L’essere ideale è una realtà metafisica che funge da forma obiettiva dell’intelligenza e da causa della forma stessa. L’uomo, attraverso l’essere ideale, ha la possibilità di intendere, ma conosce la realtà mediante un sentimento continuo corporeo fondamentale che gli dà la notizia di sé quale essere intelligente e senziente. Il soggetto umano è persona e l’Io è una identità consapevole di intuizione e sensazione. La volontà costituisce la personalità e la libertà che la contraddistingue è il dovere della scelta che fonda la moralità. L’uomo ha due società naturali, famiglia e umanità, e una artificiale che è la civile, che regola i diritti naturali nel loro esercizio, senza né fondarli né sopprimerli né subirli.

Per Rosmini le forme dell’essere sono tre: soggettiva, oggettiva e morale. Indeterminato nel suo atto iniziale mediante cui si manifesta all’uomo, l’essere necessita di specificarsi determinandosi, divenendo da ideale anche reale. In questo modo si afferma per sé, si intende per sé e si ama per sé, appunto nelle sue tre forme. Nell’atto dell’essere si spiega l’ente o soggetto esistente, che ha l’essere pur non essendo essere. Esso si compie negli atti del conoscere e del volere, sebbene non abbia intelligenza di se stesso. L’esistenza umana è quindi la partecipazione finita alle forme dell’essere. Identificando l’essere a cui l’ente partecipa come un possibile indeterminato, Rosmini lo separa nettamente da Dio che è l’Essere assoluto sussistente. L’uomo quindi non partecipa direttamente dell’Essere di Dio ma di quello possibile indeterminato, dal quale risale al compimento pieno di sé in Dio, così da congiungere filosofia e teologia.

Per Rosmini l’uomo non ha una intuizione diretta di Dio ma ha a disposizione la prova ontologica, la prova del sentimento (per cui l’uomo sente che il suo essere limitato rimanda ad un Essere illimitato) e quella cosmologica (per cui l’essere dell’uomo che è una proprietà sgorga da un Essere che è di per sé e quindi sostanziale) per conoscerlo. Sostenitore di una origine non convenzionale ma naturale del linguaggio, inteso come metodo per la mente umana e forma propria e simbolica dell’espressione dell’uomo stesso, mediante cui egli avanza verso ciò che non può essere immediatamente né percepito né compreso, Rosmini sostiene anche un rinnovamento del linguaggio teologico che è anche quello della teologia. Fede e ragione sono per il nostro in una relazione di completamento ma anche di tensione interna, che fa sì che la seconda si arricchisca della prima in quelle cose che essa da sola non potrebbe intendere. In antropologia teologica Rosmini parte dalla separazione della religione soprannaturale dalla filosofia, dalla teologia naturale e da quella rivelata. Dio stesso opera nell’uomo per infondergli una religiosità soprannaturale imperniata sulla Grazia. Essa nell’Antico Testamento operava in modo deiforme, nel Nuovo in modo triniforme. Nell’uomo originario la Grazia perfezionava una natura equilibrata elevandola a fastigi al di sopra di essa ma ai quali essa stessa non frapponeva ostacoli. Nell’uomo decaduto tutto congiura contro quel destino sovrannaturale al quale Dio l’aveva chiamato e che, senza la Grazia, non può raggiungere. La maledizione, all’opposto della benedizione che Dio aveva voluto, si trasmette anche nei discendenti di Adamo e si mostra già nella cattiva volontà dei bambini. Solo la Redenzione, operata dal Verbo Incarnato, salva l’uomo restaurandone le facoltà soprannaturali e le possibilità di realizzazione eterna. Il Verbo di Dio è, in quanto tale, l’Essere la cui sussistenza è l’Essenza sua stessa. Egli non è atto intellettivo ma termine dell’atto intellettivo, ovviamente di Dio. Se la Sussistenza divina è di per sé Essenza, è anche intellegibile per sé e quindi anche intesa di per sé; l’intellegibile è inteso se risiede in un Essere sussistente e l’Essenza divina risiede totalmente nell’Essere sussistente che Essa è, per cui tale Sussistenza per propria essenza è nota a se stessa. Per questo è Verbo. Il Verbo, come autocomprensione che Dio ha di sé, ha in sé tutte le modalità mediante cui l’Essere reale e sussistente può essere imitato, ossia le idee. Il Verbo è presente nell’uomo mediante l’idea dell’essere universale inteso come nozione creata, ma non direttamente. Rosmini poi chiarisce i canoni della Sapienza creatrice e i termini del problema della libertà di Dio nella Creazione, fino a giungere a spiegare in che modo l’atto della Creazione si immedesimi con quello della Generazione del Verbo stesso.


Theorèin - Giugno 2018