LA TEOLOGIA CRISTIANA

A cura di: Vito Sibilio
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RENOVATIO THEOLOGICA

Breve introduzione alla storia dello sviluppo teologico
dalla Grande Guerra al Concilio Vaticano II

IL CONTESTO GENERALE

Accingendoci ad entrare nella fase storica contraddistinta dalla crisi della nozione di Modernità, sottolineiamo innanzitutto la complessità politica, culturale, sociale, economica e anche religiosa che la caratterizza. La Fede cattolica vive in un’era in cui la tecnica si sviluppa prometeicamente e la politica si addentra nelle lande oscure del totalitarismo, portando poi il mondo ad un nuovo conflitto universale e ad un ulteriore drammatico e lungo dopoguerra, in cui esso risulta diviso tra forze ostili od indifferenti alla religione.

La grande crisi dell’Occidente, coincidente con la Morte di Dio intravista da Friedrick Nietzsche (1844-1900) e diagnosticata da Osvald Spengler (1880-1936), si sostanzia innanzitutto come assoggettamento dell’uomo alla tecnica, quale conseguenza della volontà dell’uomo di abbattere ogni frontiera alzata dalla natura. Indi, passa ad abbattere i valori condivisi, dapprima nelle élites, indi nelle masse. Di questa crisi si ha avvisaglia nelle grandi filosofie, che a loro volta condizionano il pensiero teologico. Per esempio Edmund Husserl (1859-1939) fu credente e, come padre della Fenomenologia, si interessò della teologia, affermando che essa può essere o basata sulla ragione o sulla fede, legittimandola in entrambe le forme e cercando di sviluppare un approccio al problema teologico conforme alla sua filosofia. Teorizzò quindi tre vie verso Dio, quella della verità, che trova in Lui il garante, quella dei valori, che trova in Lui un assoluto, e quella della felicità, che trova in Lui un compimento. Di queste tre vie, molti critici sono concordi nell’intravedere un approdo almeno implicitamente teista, arruolando Husserl tra i filosofi credenti e attribuendogli una concezione aristotelica di Dio, ordinatore supremo e garante della stabilità del cosmo. Sulla scorta della Fenomenologia, Edith Stein (1891-1942), poi Santa Teresa Benedetta della Croce, sviluppò una filosofia che, in modo noetico, non solo porta a Dio ma addirittura diventa un metodo di studio per la dogmatica. Max Scheler (1874-1928), dal canto suo, usando la fenomenologia in modo fattuale, giunse ad un passo da una fondazione esistenziale ed etica della teologia. In ogni caso, questa Scuola fece sentire la sua influenza nel dibattito teologico.

Accanto ad Husserl, Martin Heidegger (1889-1976), pur essendo un apostata del Cattolicesimo, fornì con la sua filosofia una batteria di mezzi e di spunti fondamentali anche per la cultura teologica contemporanea. L’analitica esistenziale, la filosofia del linguaggio, la concezione dell’essere, la critica della metafisica, quella della scienza, quella dell’ontoteologia e la dottrina sui rapporti tra teologia e filosofia non si possono ignorare, anche se non devono essere condivise. Per Heidegger Dio è assolutamente al di là dell’essere, ma non è impossibile che Egli si manifesti e, sebbene non lo riconosca in nessun posto, il filosofo ne auspica la manifestazione per la salvezza del mondo.

Infine, il terzo grande della filosofia del Novecento, Ludwig Wittgenstein (1889-1951), sia nella sua prima fase con la sua negazione di ogni metafisica, sia e in maggior modo nella seconda, con la teoria dei giochi linguistici che legittima la metafisica e la teologia, ha dato ampi spunti alla riflessione teologica contemporanea. Persino la psicanalisi dell’ateo Sigmund Freud (1856-1939) ha fornito, nonostante la sua dura critica al concetto di Dio, validi strumenti per un retto sviluppo teologico, pur nella netta separazione delle competenze scientifiche delle due discipline e con tutta la circospezione di cui un credente ha bisogno per usare quella scienza.

Non si può poi non menzionare, nella cornice generale, l’impatto della secolarizzazione sulla Fede. Fenomeno che desacralizza le realtà terrene, la secolarizzazione non implica, come il secolarismo, il rigetto di Dio, ma, come ha dimostrato Friedrick Gogarten (1897-1967), in un certo senso è essa stessa figlia del Cristianesimo. In ogni caso questo fenomeno, la cui matrice complessa non ci interessa in questa sede, può avere per la Fede un esito positivo eliminando dalla vita ogni residuo superstizioso, e ha alimentato diverse correnti teologiche post conciliari. Il dato obiettivo è però che essa trapassa spesso nel secolarismo e costituisce una sfida notevole per il mondo cristiano. Questo si deve essenzialmente alla concomitante diffusione dell’ateismo come fenomeno di massa, anche e soprattutto per il materialismo dilagante, specie quello comunista. Il confronto con questo fenomeno e con le sue conseguenze molteplici – la divinizzazione dell’umanità o della politica o della scienza o del singolo il rifiuto per principio della teologia – ha influito molto, a lungo andare, sulla teologia stessa, che si è interrogata sulle sue ragioni, trovandone molte, senza però riuscire a debellarlo e senza che forme di indifferenza religiosa e addirittura di empietà si diffondessero sempre più.

Un elemento positivo, alla fine, va menzionato tra quelli generali dell’epoca: il progressivo imporsi di una teologia del dialogo, dapprima ecumenico tra le Chiese e poi tra le religioni. Essa si affermerà nella Chiesa solo nella seconda metà del secolo scorso.

Orbene, nel periodo che si estende dalla Prima Guerra Mondiale fino alla chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965), grazie alla Neoscolastica, alla rinascita degli studi biblici e patristici e al movimento liturgico, la teologia cattolica ha avuto uno straordinario sviluppo e trattarne sinteticamente la storia diventa più difficile che parlarne per esteso. In ragione di ciò, con un andamento leggermente diverso da quello che abbiamo seguito fino ad ora, parleremo di questo cinquantennio in due modi differenti: dapprima introdurremo le linee essenziali di questo sviluppo e poi approfondiremo i singoli autori, opportunamente raggruppati, nei loro due indirizzi fondamentali: quello agostiniano e quello tomista – a sua volta divisibile in tre correnti, ossia la tradizionale, la trascendentale e l’estetica. Ovviamente nelle linee essenziali avremo modo di citare diversi pensatori minori, se non in senso assoluto, almeno in relazione al nostro modo di trattare gli argomenti. Iniziamo pertanto proprio da questo tratteggiamento d’insieme. Al termine di esso vedremo l’apporto dei Papi alla teologia del periodo.

ALLE ORIGINI DELLA TEOLOGIA SISTEMATICA ODIERNA

In modo graduale anche come conseguenza della repressione del modernismo, nella Chiesa dopo la Grande Guerra si passò dall’impostazione neoscolastica della teologia sistematica ad altre forme più nuove per organizzarla. L’impulso più vigoroso al rinnovamento fu all’inizio proveniente proprio dal Neotomismo, a partire dalla Francia, dove questa corrente filosofica, come abbiamo visto, si misurò con profitto con le correnti contemporanee di pensiero. A tale proposito, possiamo citare l’apporto di Pierre Rousselot (1878-1915). Questo modello francese fu pallidamente imitato dagli altri Paesi latini, legati ad una forma più schematica della Neoscolastica stessa.

Entrata in crisi la cultura laica in seguito al paventato tramonto dell’Occidente di matrice storicistica, successivo alla fine del conflitto, fu in Germania che nacque l’idea di una rigenerazione dello spirito umanistico coonestato dalla fede cattolica. Il risveglio della Chiesa nelle anime vagheggiato da quel Romano Guardini di cui avremo abbondante tempo di parlare e la nascita di un nuovo Occidente divennero i vessilli intellettuali di chi, come Julius Langbehn (1851-1907) o Benedikt Momme Nissen (1870-1943), intendevano il Cattolicesimo come il vero spirito della totalità. In genere avvenne una resurrezione della metafisica tedesca che fu operata, al di fuori del trionfante Neotomismo francofono, da pensatori come Nicolai Hartmann (1882-1950) o Hans Driesch (1867-1943), confrontatisi con la fenomenologia di Edmund Husserl e di Max Scheler, con la filosofia dei valori, con lo storicismo, con l’esistenzialismo e che attinsero alla linfa agostiniana e francescana. Tra i massimi pensatori che influirono in tal senso vanno menzionati appunto Scheler – sul cui pensiero Karol Wojtyła (1920-2005), poi Giovanni Paolo II, tentò di fondare la sua etica ma invano – e Gabriel Marcel (1889-1973). Sarà tuttavia equamente ripartita tra tomismo e agostinismo l’influenza sul rinnovamento della sistematica, come vedremo trattando degli autori maggiori.

TRASFORMAZIONI DELLA DOGMATICA

Si tentò presto nel Novecento di agganciare la dogmatica al senso del vitale e del valore religioso, in campo protestante con Rudolph Otto (1869-1937). Ma risultato più duraturi si ottennero quando la teologia e la spiritualità si connessero meglio e arrivarono ad influenzare la dogmatica di scuola. Ciò si deve alle opere del Beato Columba Marmion (1858-1923) e Ambroise Gardeil (1859-1931). Con Karl Eschweiler (1886-1936) il pensiero teologico comincia a fondarsi su una sua razionalità intrinseca ed immanente alla fede. In questo modo la teologia si consolidava come scienza teoretica. Un’altra possibile fondazione, sul concetto affettivo-carismatico, di tipo francescano, fu realizzata da Th. Sairon, mentre un’altra ancora, di tipo mistico-edificante, derivato dalla Patristica, fu compiuta da Anselm Stoltz (1902†1942). Venne altresì tentata una fondazione sulla vita spirituale da Henri Bremond (1865-1933) e Garrigou-Lagrange, su cui ci dilungheremo dopo. Infine si provò una fondazione basata sulla teologia dell’annuncio, ossia sul kèrygma, da parte dei teologi della Scuola di Innsbruck, come J. A. Jungmann (1889-1975), F. Dander, F. Lakner, Hans Rahner (1900-1968) e altri. Pioniere in tal senso era stato Karl Adam (1876-1966), che aveva collegato fenomenologia, psicologia della religione e immagine biblica del Corpo di Cristo, avviandosi sulla strada di una comprensione mistica del Cristianesimo. Lo sviluppo dogmatico di questa impostazione venne da Michael Schmaus (1897-1993).

Lo sviluppo del senso storico nello studio dogmatico si dovette a Francisco Marìn Sola (1873-11932) – che ne mise in evidenza l’omogeneità- mentre l’utilità del nesso tra ricerca storica e interesse teologico-sistematico si vide grazie alla teoria dei misteri di Odo Casel (1886-1948), fondamentale per lo sviluppo della sacramentaria. Casel non interpretò più le azioni e le funzioni sacramentali della Chiesa solo in relazione ai loro effetti, ma insistette sull’atto salvifico che simbolicamente e misteriosamente si protrae in essi. Questa concezione, guardata con un certo sospetto da Pio XII (1939-1958), si affermò nel Concilio Vaticano II.

Un apporto significativo allo sviluppo della dogmatica venne dalla Nouvelle Théologie, su cui torneremo a proposito di de Lubac, Danièlou e Congar, ma rappresentata anche da Henri Bouillard (1908-1981). Anche questa teologia trionfò nel Concilio nonostante i sospetti di Papa Pacelli.

Fu invece proprio Pio XII che, con la sua ecclesiologia mistico-organologica e gerarchica, che diede la stura ad ampi movimenti, come quello che ampliò questo medesimo tema in chiave comunitaria e che fu incarnato da M. D. Koster oltre che da de Lubac. In cristologia invece aumentò l’interesse per l’Umanità e la psicologia di Cristo grazie a Dèodat de Basly (1862-1937), teologo scotista. Una sfida importante fu raccolta da Joseph Rupert Geiselmann (1890-1970), che cercò di condurre nell’alveo dell’ortodossia la demitologizzazione biblica di R. Bultmann. Geiselmann affermò che il senso della storia della salvezza è un tutt’uno che concentra il fatto, il suo significato e l’adesione ad esso nella fede, da parte del singolo e con la mediazione della Chiesa.

L’APPROFONDIMENTO DELLA TEOLOGIA MORALE

Il secolo si aprì con una disputa tra la morale cattolica, oggettiva ed essenzialista, e quella protestante, soggettiva e mutevole. La difesa d’ufficio fu presa da Albert Meyenberg (1861-1934). Seguirono numerose opere di tipo apologetico, come quelle di Joseph Mausbach (1861-1931), di cui si deve sottolineare l’attenzione all’adattamento, da parte della norma morale, alle circostanze storiche. Questa importante ammissione di Mausbach si accompagnava alla consapevolezza che qualsiasi studio in merito andava fatto sulla scorta della Neoscolastica. Mausbach fu anche il teorico di una morale concepita come dottrina della virtù e non più come semplice dottrina dell’obbligo. Suo continuatore fu Gustav Ermecke (1907-1987). O. Schilling (1874-1956) sviluppò una morale basata sul principio soprannaturale della carità, sebbene ancora legata al tomismo e a Sant’Alfonso. Egli manifestò una particolare attenzione per l’etica sociale, cosa che all’epoca fu una novità. Friedrick Tillmann propose invece una morale basata sull’idea dell’imitazione di Cristo e della sua realizzazione. F. Jurgensmeier e Emile Mersch (1890-1940) fondarono la morale sull’idea biblica di Corpo Mistico di Cristo, mentre altri studiosi connessero la morale all’esegesi, all’ascetica e alla dogmatica. Th. Müncker introdusse la psicanalisi negli studi di psicologia morale, avviando una serie di studi sulle situazioni limite fatti soprattutto da teologi francesi, tedeschi ed olandesi. Johannes Stelzenberger (1898-1972) propose una morale della regalità di Dio. I tre concetti di imitazione di Cristo, carità e regalità di Dio furono fusi in una sola sintesi da Bernard Häring (1912-1998), di certo il maggiore dei moralisti cattolici del XX sec.

APOLOGETICA E TEOLOGIA FONDAMENTALE

La prova della verità del Cristianesimo fu desunta, a partire dal XX sec., anche dalle condizioni esistenziali dell’individuo, sulla scorta delle nuove filosofie soggettive. Una apologetica dell’immanenza trovò in Francois Brunetiére (1849-1906), nel già citato L. Ollè-Laprune e in G. P. Fonsegrive i suoi precursori, ma solo il già menzionato Maurice Blondel fece fare alla disciplina il salto di qualità verso il soggettivismo. Il summenzionato A. Gardeil integrò questa lezione nell’idea di una teologia che riflette sui fondamenti di se stessa, facendo così la propria apologia. A. Lang continuò a muoversi in questa dimensione in cui interno ed esterno si conciliavano in una motivazione della fede basata sulla consapevolezza della sua origine per grazia e delle sue ragioni sovrannaturali. Johannes Brinktrine e R. Garrigou Lagrange – sul quale torneremo - si mossero su binari più tradizionali e solidi, che però fermavano l’assenso della ragione sulla soglia della fede, escludendola dall’ambito motivazionale. Un superamento di questa sorta di dicotomia si ebbe con M. Masure. Anche Karl Rahner, di cui avremo modo di riparlare, si occupò di questi temi.

STORIA DELLA CHIESA E TEOLOGIA

Nonostante una battuta di arresto dopo la crisi modernista, la ricerca storica crebbe enormemente e utilizzò i metodi più avanzati. Non vi fu nazione che non vi diede contributo né periodo che rimase inesplorato, mentre fiorirono le scienze ausiliarie. I nomi più celebri, quasi tutti tedeschi, sono Johann Wilpert (1856-1944) e Johann Peter Kirsch (1861-1941) per l’archeologia, Franz Joseph Dölger (1879-1940) e Berthold Altaner (1885-1964) per la storia del Cristianesimo primitivo e la patrologia, il già menzionato Hyppolite Delehaye (1855-1941) per la medievistica, la modernistica e l’agiografia, P. Peeters (†1950) per la storia delle missioni, Joseph Schmidlin (1876-1944) e Franz Xavier Seppelt (1883-1956) per la storia dei Papi, Carl Anton Baumstark (1872-1948) e Leo Cunibert Mohlberg (1878-1963) per la storia liturgica, Un fecondo incontro tra storia e teologia avvenne in moltissimi campi, a cominciare dalla storia dei Concili con Hubert Jedin (1900-1980), fino a quella della Riforma con Joseph Lortz (1887-1975), a cui si deve anche la prima grande storia della Chiesa in prospettiva di storia delle idee. Tra le tante opere erudite, in particolare dizionari specializzati, va menzionata la monumentale Storia della Chiesa di Augustin Fliche (1884-1951) e Victor Martin (1886-1945).

APPROFONDIMENTO DEGLI STUDI BIBLICI

Sul solco di Lagrange e con una prudenza proporzionata alla forza della repressione del Modernismo, diversi autori approfondirono i principi esegetici della cosiddetta Scuola larga, ossia un concetto organico, storico salvifico, dell’ispirazione e un metodo ermeneutico basato sui generi letterari. Questi autori furono Fr. V. Hummelhauer (†1914), J. Goettesberg, J. Sickenberger. Di assoluta fedeltà alla Tradizione furono invece gli studiosi della Scuola stretta, ossia L. Méchinau e L. Fonk. Furono in ogni caso evitati gli eccessi della storia delle forme, proprio grazie all’antimodernismo. Frutti buoni si ebbero invece nella ricerca storico-testuale e in quella critico-letteraria. Benedetto XV (1914-1922) mise in guardia dagli eccessi derivanti dai metodi delle scienze profane, ma fu meno severo nell’applicazione di sanzioni. Così fiorirono Julius Wellhausen (1844-1918) – studioso del Pentateuco – Hermann Gunkel (1862-1932) e una serie di autori che batterono in breccia gli eccessi della storia delle forme, pur recependone le istanze positive, ossia H. J. Vogels, M. Meinertz, Pierre Benoit (1886-1962) e il menzionato Sickenberger. Da questo rinnovamento trasse vigore la teologia biblica, intesa come visione approfondita e d’insieme della Bibbia. Una ulteriore liberalizzazione degli studi venne da Pio XII , generando una scia di approfondimenti che sarebbe servita non poco al magistero del Concilio Vaticano II sulla Scrittura.

IL RINNOVAMENTO CATECHETICO

Anche qui religione e vita furono un binomio determinante per il rinnovamento, volendo gli studiosi di questa branca collaterale della teologia realizzare una interazione tra l’una e l’altra. H. Stieglitz (†1920) e Otto Willmann (1839-1920) impostarono un metodo didattico molto preciso che si diffuse in tutta Europa non senza iniziali difficoltà. George1 Kerchensteiner (1854-1932) valorizzò il lavoro del discente nello studio catechetico. J. Pichler concepì la catechetica come una predicazione di salvezza di tipo personale. In genere il cristocentrismo e la fondazione biblica fecero della catechetica una forma di annuncio molto efficace, che si concretizzò nel Catechismo ad uso delle Diocesi di Francia (1940 e 1947) e nel Catechismo Cattolico tedesco (1955), dipendente dal primo.

LA TRASFORMAZIONE DELL’OMILETICA IN CHERIGMATICA

Benedetto XV fu il primo a deplorare la crisi dell’omiletica, senza fornire alcun modello alternativo ma aprendo il dibattito. La fine dell’eloquenza spirituale quale unico fondamento della predicazione fu causata dal rinnovamento catechetico e liturgico, oltre che dalle mutate condizioni sociali e culturali. Sorsero grandi predicatori: Paul Wilhelm Klepper (1852-1926), A. Donders (†1944), il cardinal Michael Faulhaber, il Leone di Monaco (1869-1952) – fervente antinazista – e Romano Guardini su cui torneremo. La cherigmatica divenne il fondamento dell’omiletica, dando quindi una base biblica e teologica alla nuova disciplina, sacrificando l’aspetto retorico. Teorico in tal senso fu il già citato J.A. Jungmann. In essa si distinse anche il summenzionato Fr. Tillmann.

RIFONDAZIONE DELLA TEOLOGIA LITURGICA

Ascesa entro il Concilio al rango di disciplina fondamentale, la teologia liturgica divenne una sorta di teologia cultuale, basata sull’ecclesiologia e la sacramentaria nonché volta a far emergere il valore storico e teologico delle fonti liturgiche. Pio XII incoraggiò tale sviluppo e in esso si inserirono anche autori che abbiamo considerato altrove, come Odo Casel. In questo ambito però il vero innovatore fu proprio Papa Pacelli, del cui magistero diremo tra breve.

NASCITA DELLA TEOLOGIA PASTORALE

Gli sviluppi della predicazione, della scienza biblica e del movimento liturgico contribuirono a potenziare la teologia pastorale che era già in ascesa dal tardo ottocento. La definizione di essa come branca del sapere teologico è una grande conquista del secolo scorso nonostante alcuni eccessi e rischi che sono insiti nella sua sistematizzazione e nell’interazione con altre discipline. V. Lithard concepì la sua teologia pastorale alla luce del Movimento di Azione Cattolica, G. Stocchiero la orientò verso il mondo e C. Noppel la focalizzò sulla collaborazione dei laici alla Gerarchia e sulla cura d’anime sostenuta dalla comunità. Questi stimoli confluirono nell’opera di L. Bopp, che usò anche la psicanalisi. Negli anni Quaranta l’idea che la Chiesa fosse strumento mediativo per l’azione salvifica di Dio in relazione al singolo fece sì che la teologia pastorale realizzasse una sintesi pratica tra dogmatica, biblica, liturgica e storica. Essa si riscontra soprattutto nell’Handbuch der Pastoraltheologie del 1964-1969.

IL MAGISTERO PAPALE: BENEDETTO XV

Come tutti i Papi dell’epoca presente, anche quelli di questo periodo contribuirono allo sviluppo teologico, con le loro encicliche particolamente. Benedetto XV si chiamava Giacomo Paolo Giovanni Battista dei Marchesi della Chiesa, era nato a Genova nel 1854 e aveva studiato all’Almo Collegio Capranica e alla Pontificia Accademia Ecclesiastica. Era stato segretario di nunziatura in Spagna dal 1883 al 1887 e poi Sostituto alla Segreteria di Stato dal 1901 al 1907. Eletto Arcivescovo di Bologna nel 1907, era stato creato Cardinale nel 1914. Nello stesso anno fu eletto Papa e morì nel 1922. Apostolo della pace, custode del diritto e inesauribile angelo di carità durante e dopo la I Guerra Mondiale in tutto il mondo, Benedetto fu innanzitutto il Papa che promulgò il Codice di Diritto Canonico, detto appunto pio-benedettino, nel 1917. Nelle sue encicliche egli trattò diversi temi. Ne citiamo le maggiori. Ad Beatissimi è l’enciclica programmatica che esortava alla pace. Su questo tema tornò altre volte con altri documenti, come ad esempio altre due encicliche, la Pacem Dei Munus e la Quod Iam Diu sono sulla pace. La Humani Generis Redemptionem trattava invece della predicazione, tema sul quale da tempo non si scriveva nulla e in cui, come dicemmo, lamentò la crisi dell’omiletica. La Principi Apostolorum Petro proclamò Sant’Efrem dottore della Chiesa e trattò delle Chiese Orientali, per il disbrigo dei cui affari il Papa istituì la Congregazione omonima. La Spiritus Paraclitus era sull’esegesi biblica, riaffermando i principi di Pio X. La lettera apostolica Maximum Illud sulle missioni inculcò il principio della formazione di un clero indigeno e di un lavoro missionario nell’interesse anche sociale delle popolazioni evangelizzate. La Lettera Apostolica Inter Sodalicia era invece sulla Corredenzione e la Mediazione Universale di Maria SS. Il Papa infatti con essa pose le basi per una definizione dogmatica della prima verità di fede elencata, che però ancora oggi non è avvenuta. Infine, col motu proprio Bonum Sane, Benedetto XV inculcò la devozione a San Giuseppe.

IL MAGISTERO PAPALE: PIO XI

Ambrogio Damiano Achille Ratti nacque a Desio nel 1857. Studiò a Roma e divenne prete nel 1879. Laureato in teologia, filosofia e diritto canonico, fu prefetto della Biblioteca Ambrosiana nel 1907, viceprefetto della Vaticana nel 1911 e prefetto di questa nel 1914. Nunzio Apostolico in Polonia e Lituania dal 1919 al 1921, divenne in quell’anno Arcivescovo di Milano e Cardinale. Eletto Papa nel 1922, prese il nome di Pio XI. Morì nel 1939. Del suo Pontificato ricordiamo l’enciclica programmatica Ubi arcano Dei, sulla Regalità di Cristo, di cui promosse il culto; il motu proprio Orbem Catholicum sul catechismo; l’enciclica Studiorum Ducem su Tommaso d’Aquino da lui riproposto come maestro di filosofia; la Rerum Ecclesiae sulle missioni; la Iniquis e la Acerba Animi che condannano il radicalismo massonico messicano e la persecuzione religiosa in quel Paese; la Mortalium Animos sul movimento ecumenico, contenente le prime aperture in materia; la Miserentissimus Redemptor e la Charitate Christi sul culto del Sacro Cuore di Gesù; la Divini Illius Magistri sull’educazione cristiana; la Casti Connubii sul matrimonio e sulla contraccezione; la Quadragesimo Anno, la seconda enciclica sociale della Chiesa dopo la Rerum Novarum; la Non Abbiamo Bisogno, che condanna gli errori del Fascismo; l’Ad Catholici Sacerdotii sul sacerdozio cattolico; la Vigilanti Cura sul cinema; la Mit Brennender Sorge che condanna gli errori del Nazismo; la Divini Redemptoris che condanna gli errori del Comunismo; la Ingravescentibus Malis sul Rosario. Come si vede, un corpo compatto e poderoso di insegnamenti di alto profilo.

Tra questi insegnamenti andiamo a rilevare proprio alcuni particolarmente incisivi. Nel campo matrimoniale, la condanna netta della contraccezione artificiale, la riproposizione dei fini primari e secondari delle nozze e la sottolineatura della necessità della carità reciproca tra i coniugi per la creazione e la conservazione del matrimonio stesso.

Nella dottrina sociale della Chiesa, la volontà di restaurare l’ordine sociale secondo le norme volute da Gesù e di ampliare e precisare i punti dottrinali fissati da Leone XIII. Pio XI afferma che capitale e lavoro sono entrambi necessari nell’ordinamento del lavoro e hanno ambedue il diritto di partecipare al profitto, che il salario va determinato sulla base del sostentamento familiare, delle necessità aziendali e del bene comune. Il Papa propugna un nuovo ordine sociale basato sulla sussidiarietà tra i corpi sociali a scapito dello statalismo, sulla cooperazione sociale al posto della lotta di classe, sulle corporazioni, sull’intervento statale in vista del bene comune e sull’accettazione del principio di giustizia e carità a dispetto di quello della concorrenza, nonché sulla cooperazione internazionale. Papa Ratti inoltre separa il principio corporativo da quello totalitario mettendo in guardia dalle degenerazioni del primo in un contesto fascista.

Condannando il Nazismo, Pio XI stigmatizza senza mezzi termini l’idolatria della razza, dello Stato, del capo e della forza, la subordinazione ad essi della morale e della religione, la creazione di un’etica della violenza. Il Papa condannò anche l’antisemitismo biologico-culturale, affermando che tutti i cristiani sono spiritualmente semiti.

Condannando invece il Comunismo, Pio XI ne individua i fini perversi nella sovversione della società umana e cristiana, nonché nella volontà di sprofondare i popoli soggetti nella barbarie. Definendolo senza mezzi termini satanico flagello, il Papa condanna i principi chiave del Comunismo, ossia il materialismo storico e il collettivismo. Dal primo discende la negazione aprioristica di Dio, dell’anima e delle realtà spirituali, compresi i diritti naturali, le leggi morali e la stessa libertà, con la relativizzazione del diritto e dell’etica, subordinate al mutare delle condizioni sociali. Dal secondo deriva la negazione di ogni valore per la persona umana individuale e la schiavizzazione delle masse. Il Papa individua nel messianismo del Comunismo una delle ragioni del suo successo, favorito altresì dalla povertà delle masse e da una propaganda ossessiva non debitamente contrastata. Al Comunismo il Papa oppone come rimedi gli stessi che usa per il Liberalismo, considerando che il primo è una reazione al secondo: la giustizia sociale, la carità sociale, il giusto sostentamento dei lavoratori, la frugalità di vita e ovviamente il divieto assoluto di collaborazione tra cattolici e comunisti.

Infine condannando il Fascismo, Pio XI condannò la sua concezione dello Stato, fuori della quale non esiste nessuna realtà sussistente, nemmeno la Chiesa, e la conseguente pretesa di monopolio educativo e sociale.

IL MAGISTERO PAPALE: IL VENERABILE PIO XII

Eugenio Maria Giovanni Giuseppe Pacelli nacque a Roma nel 1876. Sacerdote nel 1899, laureato in teologia e diritto canonico, apprendista (1901) e minutante (1904) della Segreteria di Stato, segretario della Commissione per la codificazione del Diritto Canonico (1904), Segretario della Sacra Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari (1914), Nunzio Apostolico in Baviera (1917) e in Germania (1920), Cardinale nel 1920, divenne Segretario di Stato nel 1930 e Camerlengo di Santa Romana Chiesa nel 1935. Nel 1939 fu eletto Papa e assunse il nome di Pio XII. Tra i suoi documenti ricordiamo la Summi Pontificatus, enciclica programmatica, in cui preannunzia una parziale riforma liturgica, la definizione del Dogma dell’Assunzione e gli scavi sulla Tomba di San Pietro; la Mystici Corporis sulla Chiesa come Corpo Mistico; la Divino Afflante Spiritu che apre agli studi biblici moderni; il motu proprio In cotidianis precibus sulla traduzione dei Salmi; la Deiparae Virginis, sulla definibilità del Dogma dell’Assunzione; la costituzione apostolica Sacramentum Ordinis sulla materia e la forma dei Sacri Ordini; la costituzione Provvida Mater Ecclesia, sugli Istituti Secolari; l’enciclica Mediator Dei sulla riforma liturgica parziale da lui preannunziata; il Decreto del Sant’Uffizio di condanna del Comunismo del 1949; l’enciclica Humani Generis sulle devianze della teologia a lui contemporanea; la bolla Munificentissimus Deus che definisce il Dogma dell’Assunzione al Cielo in anima e corpo della Beata Vergine Maria nel 1950; la costituzione Sponsa Christi sulla clausura femminile; la costituzione Christus Dominus sulla mitigazione del digiuno eucaristico; l’enciclica Fulgens Corona sull’Anno Mariano del 1954; la Sacra Virginitas sulla castità e la verginità; l’Ad Coeli Reginam sulla Regalità della Beata Vergine Maria; l’Haurietis Aquas sul culto del Sacro Cuore di Gesù; la Fidei donum sulle missioni; la Miranda Prorsus sugli audiovisivi; la Meminisse Iuvat sulla pace e la libertà della Chiesa. Menzioniamo anche la Lettera all’Episcopato americano sulla Dottrina Sociale. Accanto a questa falange di documenti di altissimo livello, vanno ricordati i Radiomessaggi e i discorsi i quali, pur essendo occasionali, facevano riferimento ad un quadro d’insieme organico e completo, puntualizzando le questioni giuridiche e morali relative a tutte le sfere dell’azione umana. Degni di essere menzionati sono quelli del 1939, 1940 e 1941 sull’ordine internazionale, quelli del 1942 e del 1944, sulla giustizia sociale e la democrazia, quello del 1953 sulla pace e quello del 1957 sul progresso. Sempre nel 1942 e nel 1943 condannò il genocidio degli Ebrei e delle altre nazioni sterminate dai Nazisti. Dopo la guerra si oppose fieramente al comunismo ateo. Morì nel 1958.

Pacelli fu semplicemente un genio enciclopedico che meriterebbe non solo gli onori degli altari, ad oggi negatigli per ragioni politiche, ma anche il Dottorato della Chiesa, avendo egli fatto fare ad essa un balzo dottrinale enorme. Svecchiò le forme di espressione della dottrina applicandola alle più nuove e disparate forme di vita individuali e collettive. Si prefisse un intento apologetico che dimostrasse l’armonia tra Fede e cultura moderna e un fine pastorale che mostrasse come vivere concretamente tale armonia nelle situazioni concrete. Poliglotta, oratore finissimo, giurista e moralista, Pacelli fissò punti chiave nella dottrina della Chiesa a cui attinsero a piene mani i Padri del Concilio Vaticano II per la stesura dei loro documenti. Ne elenchiamo alcuni.

Nell’esegesi biblica Pio XII stabilì che lo studio biblico non dovesse basarsi sulla sola Vulgata ma su tutte le traduzioni e redazioni antiche per pervenire all’edizione critica definitiva della Bibbia, utilizzando altresì ogni risorsa della critica testuale e tenendo presente lo studio delle forme e dei generi letterari, onde penetrare meglio la mente dell’agiografo che, essendo umano e razionale, è strumento consapevole della Rivelazione e che va quindi opportunamente conosciuto nel suo contesto storico. Così scrivendo, Papa Pacelli sanzionò e promosse il rinnovamento degli studi biblici.

Deplorando senza condannarli gli errori delle nuove teologie, Pio XII mise in guardia dall’irenismo, dal poligenismo, dall’esegesi libera, dall’etica della situazione, dall’immanentismo, dal relativismo e dall’esistenzialismo; nello stesso tempo però invitava a studiare le nuove correnti di pensiero e ad assimilarle per quanto possibile. In particolare non rigettò l’evoluzionismo ma respinse l’idea che la natura giungesse di forza propria mediante trasformazione all’apice soprannaturale, mentre espresse una parziale considerazione per l’Esistenzialismo. Il Papa fissò anche i paletti della relazione tra teologi e Magistero: i primi hanno generalmente ampia libertà di discussione sui punti non definiti, purchè quando essi risultino fermi la discussione cessi; inoltre la teologia non può prescindere dal Magistero quale sua norma prossima di verità, spettando a questo e non ad essa la custodia, la difesa e l’interpretazione della Rivelazione.

Nell’ecclesiologia Pio XII abbandonò la concezione sociale della Chiesa per abbracciare quella mistica ed organica espressa nella Bibbia nell’immagine del Corpo Mistico di Cristo. Da ciò fa discendere anche la natura visibile, gerarchica e associata della Chiesa, messa insieme dalla carità e senza distinzione tra essa e la sua essenza invisibile. L’ingresso nella Chiesa è, visibilmente, garantito dal Battesimo. Il Pontefice poi illustra competenze e funzioni di ogni componente della Chiesa e inculca il principio per cui in essa si deve vedere Cristo stesso. E’ sempre Pacelli che, affermando che la Chiesa vive in ogni realtà mediante i fedeli laici, li ha rivalutati ampliando una teologia tutta per loro.

In teologia morale Pio XII ribadì i cardini dell’etica essenzialista, ossia il primato dell’oggetto e del fine dell’azione sulla sua intenzione, sulle sue circostanze e sulla sua situazione. Il primato dell’oggetto fa che vi siano leggi universali e vincolanti per tutti e per sempre. Tale legge è di per sé tanto vincolante mediante l’evidenza logica da permettere spesso al singolo di sapere da solo ciò che è giusto fare o non fare. Seguendo invece il soggettivismo, l’uomo rigetta l’unico vero Maestro di morale, che è Cristo. In campi più specifici, il Papa intervenne deplorando la corsa agli armamenti, legittimando l’uso dei mezzi di contraccezione naturale sia pure per motivi medici, eugenici, economici e sociali e condannando la contraccezione artificiale a mezzo pillola, a meno che non abbia funzione terapeutica.

Nella Dottrina Sociale, nonostante la mancanza di una enciclica specifica, Pacelli giganteggiò. Impostò i rapporti Stato-Chiesa riconoscendo la reciproca indipendenza e complementarietà. Condannò Socialismo e Comunismo proscrivendo la collaborazione dei cattolici con essi. Gettò le basi di una dottrina sull’economia sociale, ha sviluppato i problemi del credito, degli investimenti, del commercio internazionale, della donna nella vita economica, ha propugnato la conciliazione tra Chiesa e forme di socialismo democratico. In genere pose al centro del suo altissimo magistero la persona umana e il suo perfezionamento, ripudiando il diritto della forza, rivendicando l’ascesa delle classi umili mediante ordinato progresso, sottolineando la funzione sociale e individuale della società, rivendicando per tutti il diritto al lavoro, alla vita e alla libertà, richiamando al rispetto e alla pratica della religione quale base del vero progresso e della pace, ricordando l’obbligo di rispettare i patti sottoscritti e di far prevalere il diritto naturale su quello positivo, anche in nome della fratellanza dei popoli. A margine di questo, va ricordato senza infingimenti che egli, a dispetto della leggenda nera di cui alcuni si fanno menzogneri propagatori, condannò senza riserve ogni forma di razzismo genocida, compreso quello contro gli Ebrei, dispiegando, durante la II Guerra Mondiale, ogni mezzo per salvare il maggior numero di sofferenti. Dei soli Figli di Abramo, ne scampò dalla morte tra i sei e i settecentomila, mentre nutrì e sostentò milioni di sventurati. Anche questo, in casi eccezionali come quelli, va considerato magistero.

IL MAGISTERO PAPALE: SAN GIOVANNI XXIII

Angelo Giuseppe Roncalli nacque a Brusicco di Sotto il Monte presso Bergamo nel 1881. Studiò a Bergamo e a Roma, si laureò in teologia e divenne prete (1904); fu nominato direttore nazionale dell’Opera della Propagazione della fede nel 1920. Visitatore Apostolico in Bulgaria e vescovo nel 1925, fu promosso Delegato Apostolico in quel Paese nel 1931 e poi in Grecia e Turchia nel 1934. Impegnatosi per aiutare i Greci e gli Ebrei durante l’occupazione nazista, Roncalli divenne Nunzio Apostolico in Francia nel 1944. Nel 1953 Pio XII lo creò Cardinale e Patriarca di Venezia (1953). Nel 1958 fu eletto Papa e assunse il nome di Giovanni XXIII. A parte l’evento della convocazione del Concilio Vaticano II che non rientra nella nostra esposizione, di lui si ricordano innanzitutto l’inizio della revisione del Codice di Diritto Canonico e in special modo i seguenti documenti: l’enciclica programmatica Ad Petri Cathedram, quella sul sacerdozio Sacerdotii Nostri incentrata su San Giovanni Maria Vianney, la Grata Recordatio sul Rosario, la Princeps Pastorum sulle missioni, la Mater et Magistra sulla Dottrina Sociale, la Pacem in Terris sulla pace, la lettera apostolica Inde a primis sul Preziosissimo Sangue e la costituzione apostolica Veterum Sapientia. Sebbene più limitato numericamente, anche il magistero giovanneo è importante e profondo e in certi aspetti fondamentale. Giovanni XXIII per tutta la sua vita redasse un diario spirituale, il Giornale dell’Anima, che è un vero classico della letteratura del genere. Possiamo dire senza troppi giri di frase che anche lui meriterebbe il Dottorato della Chiesa. Morì nel 1963.

I principi cardine del suo insegnamento sono i seguenti. In missionologia sottolineò l’importanza di un clero autoctono e di una collaborazione dei laici alla missione, spronando ad un rinnovato impegno di evangelizzazione e sottolineando i problemi della missione stessa in molti Paesi. Si propose anche il rinnovamento del reclutamento e della formazione del clero. Questo magistero fu poi recepito dal Concilio Vaticano II.

In dottrina sociale Giovanni XXIII riprese il principio di sussidiarietà accanto a quello di coordinamento e integrazione del potere statale; promosse la socializzazione come progressivo moltiplicarsi di forme di rapporti di convivenza debitamente regolate e promosse da leggi e ordinamenti; sostenne in ragione di ciò una sana concezione del bene comune e l’autonomia dei corpi intermedi e la loro reciproca collaborazione e quella con lo Stato in vista del medesimo bene; propugnò l’adeguamento di sviluppo economico e progresso sociale, l’equilibrio tra il settore industriale e l’agricolo e tra le aree nazionali ed internazionali depresse e sviluppate; sottolineò la destinazione universale dei beni, la liceità della proprietà privata, la necessità del salario e dell’attività sindacale nonché dell’educazione dei fedeli secondo la Dottrina Sociale.

Il tema della pace, già trattato da Benedetto XV, fu ripreso da Giovanni XXIII e imperniato su quattro cardini: verità giustizia amore e libertà. Approvò per necessità la coesistenza pacifica e la collaborazione anche coi Paesi comunisti ed elogiò la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo promulgata dall’ONU. Dopo di Giovanni XXIII si può parlare di un magistero diverso, illuminato da quello, di maggiore autorità, del Concilio, per cui esso non rientra più nella presente trattazione.

VIA AUGUSTINIANA

Breve introduzione a Romano Guardini e a Henri de Lubac

La ripresa di Agostino nel XX secolo avvenne in grande stile anche se in modo limitato, per via del Neotomismo imperante. Si dovette a due grandi nomi, di personalità assai differenti tra loro: Romano Guardini ed Henri de Lubac, l’uno teologo speculativo e letterato che si avvale del metodo dialettico dell’opposizione polare, l’altro teologo storico che si serve di quello del paradosso.

ROMANO GUARDINI

Nacque a Verona nel 1885 e si trasferì in Germania coi genitori a quattro anni. Visse a Magonza e faticò molto a trovare la sua vocazione. Avendo deciso di diventare sacerdote, studiò a Friburgo e a Bonn, per poi essere ordinato nel 1910. Fu docente alle Università di Bonn, Breslavia e Berlino, dove giunse nel 1923. Qui insegnò con grande successo inserendo la visione cattolica del mondo nel quadro di una serie di commenti letterari non sistematici. Allontanato dalla cattedra dal governo nazista nel 1939, Guardini risalì su di essa alla caduta di Hitler dapprima a Tubinga e poi a Monaco. Morì nel 1968.

Guardini scrisse molto. In filosofia ricordiamo L’opposizione polare, Mondo e persona, Libertà grazia e destino, La fine dell’epoca moderna, La sensibilità e la conoscenza religiosa. In letteratura menzioniamo La coscienza religiosa: saggio su Pascal, La conversione di Sant’Agostino, Figure religiose in Dostoevskij, Hölderlin, Significato dell’esistenza in Rainer Maria Rilke, Paesaggio dell’eternità: studi su Dante. In teologia citiamo Il Signore, Spirito della Liturgia, Senso della Chiesa, Vita della Fede, Essenza della Fede, I Santi Segni. In totale scrisse circa cento libri e svariate centinaia di articoli.

Guardini è il pensatore della cosmovisione cattolica, avendo guardato e riunificato i vari campi dello scibile con gli occhi del cristiano cattolico. Non fu pensatore sistematico ma la sua visione ha una certa unità che gli viene appunto dalla Fede quale angolo visuale e chiave interpretativa. Egli fu sostanzialmente un grande pedagogo, che raggiunse un pubblico vastissimo grazie alla sua libera ispirazione che attinse alla Rivelazione e che si mantenne al di fuori della Neoscolastica, mirando a trarre alimento dalla cultura contemporanea.

La legge che regge la vita e l’essere è, secondo Guardini, l’opposizione polare. Essa non è una sintesi delle contraddizioni come in Hegel, ma una composizione di opposti. Essi rimangono sempre scissi e differenti, pur potendosi riconciliare. Da questo punto di vista Guardini riprende Kierkegaard e guarda all’Esistenzialismo, rigettando la dialettica che da Hegel era giunta a Marx e a Gentile, ossia alle grandi religioni secolari dell’epoca: comunismo e fascismo. Il sistema degli opposti consta di otto coppie, divise in due gruppi: quello delle opposizioni categoriali e quello delle opposizioni trascendentali. Le categoriali sono intra e trans empiriche. Abbiamo quindi le categoriali intraempiriche, che sono atto e struttura, informe e forma, singolarità e totalità; le categoriali transempiriche, che sono produzione-disposizione, originalità-regola e immanenza-trascendenza; le trascendentali, che sono affinità e distinzione, unità e pluralità. Le opposizioni categoriali rappresentano gli ultimi gradi dell’universalità della polarità, nei quali ancora rimane una determinazione categoriale. Le opposizioni trascendentali si riferiscono invece all’opponibilità in quanto tale. Le coppie degli opposti sono la struttura della realtà. La sua composizione sfugge nel complesso all’uomo, il quale, quando crede di poterla conoscere tutta, cade nell’unilateralità per cui identifica l’essere con uno solo dei suoi componenti. Solo la Rivelazione di Dio svela all’uomo il senso dell’essere stesso.

Sebbene infatti l’uomo sia per vocazione alla continua ricerca del senso delle cose, esso continuamente gli sfugge trapassando da una meta all’altra. Solo la Rivelazione di Dio gli fornisce un punto fermo da cui non può prescindere. Dio entra nella storia e si rivela, ovviamente in un certo senso assumendo il rischio che la Sua Parola, pronunziata nel tempo, venga travisata e rifiutata. Per questo Egli si fa carne, onde dare testimonianza di Sé. Il Dio che si fa carne è la Parola stessa di Dio, che così si mostra all’uomo nelle Sue intenzioni salvifiche. Vi è come una nuova creazione e una nuova relazione tra Dio e l’uomo. Gesù Cristo, che è la Verità, è diventato il punto attorno al quale gravitano e si compiono tutte le composizioni delle opposizioni. La cristologia di Guardini è contemplativa: non si alimenta di dogmatica ma del fatto che nessuno possa esprimere giudizi su Cristo ma solo tramite Lui e su tutte le cose. Gesù è la misura di tutte le cose, di tutte le idee, di tutti i valori. Più che singolare l’idea che Guardini ha a proposito della salvezza, quando afferma che Gesù dapprima credette di poterla realizzare convertendo gli Ebrei, per poi scegliere la strada della Croce dinanzi alla loro incredulità. Ai limiti dell’ortodossia, essa ha senz’altro molto fascino, sebbene Guardini stesso la considerasse non fondamentale nel suo pensiero e discutibile.

Il primato della Fede è essenziale in Guardini. Essa determina tutti i valori, etici ed ontologici, storici e teologici. Il passo della fede è difficile in tutte le epoche e quindi la nostra non è più difficile di altre per credere. La fede capovolge tutti i parametri della vita, che apparentemente continua a scorrere come sempre. Essa dà all’esistenza una solida e sicura unità, che è Dio stesso.

Convinto che la società sia naturale e non originata da contratti, Guardini considera la Chiesa la società delle società, piantata da Dio nel mondo e in cui tutti gli uomini sono inseriti. Realtà completa, la Chiesa comprende in sé tutto ciò che è umano, anche se difettoso, dando ad ogni cosa le sue coordinate. Essa ovviamente va oltre l’umano e porta i singoli e soprattutto la società stessa a risanare il proprio mondo interiore. Solo tramite essa l’uomo può rivolgersi a Dio. Essa è una sorta di soggetto collettivo, che non spersonalizza ma integra l’individuo in una sintesi più ampia.

La persona è costituita da quattro elementi: la forma – che unifica la struttura e le funzioni – la vita, la psiche – che comprende coscienza cultura volontà e libertà – e la sussistenza. La persona è rapporto dialogico, dapprima verso Dio e, attraverso di Lui, verso gli altri. Dio è il fondamento ontologico, assiologico e individuale della persona. Egli a Sua volta si relaziona alla persona solo tramite Cristo. Egli è il primo interlocutore della persona che, tramite Lui, si relazione al Padre, Gli dà del tu e poi, in ragione di ciò, si rapporta agli uomini diventati fratelli.

Il pensiero di Guardini ha esercitato una forte influenza su Jeorge Mario Bergoglio (1936-), oggi Pontefice regnante col nome di Francesco (2013-).

HENRI DE LUBAC

Nacque a Cambrai nel 1896. Entrò nel noviziato gesuita di Lione e conobbe il pensiero di Blondel e il Neotomismo, che esercitarono una forte influenza sulla sua formazione. I temi chiave del suo pensiero derivano da questo duplice influsso. Partecipò alla Prima Guerra Mondiale e fu ferito. Congedato, riprese gli studi tomistici e patristici. Ordinato prete nel 1927, nel 1929 era già professore di Storia delle Religioni alla Facoltà teologica di Leon-Fourviére. Nel 1937 stampò uno dei suoi capolavori, Catholicisme. Impegnato nella resistenza antinazista nella Francia occupata, De Lubac conobbe atei, marxisti ed esistenzialisti, confrontandosi con loro e traendo ispirazione per la sua produzione letteraria degli ultimi anni di guerra. Nel 1946 pubblicò Surnaturel, in virtù del quale entrò a pieno titolo tra le fila dei nuovi teologi, contro i cui insegnamenti Pio XII, nel 1950, mise in guardia i fedeli con la Humani Generis. Sebbene non coinvolto nelle ammonizioni papali, De Lubac viene indotto a ritirarsi dall’insegnamento e accetta il consiglio di buon grado, dedicandosi alla ricerca. Nel 1960 torna in cattedra per la stima personale di Giovanni XXIII. Perito del Concilio Vaticano II – nel quale collabora alla stesura della Dei Verbum, della Lumen Gentium e della Gaudium et Spes – De Lubac ne fu uno dei maggiori interpreti, nell’ottica della continuità. Per difendere la sua ermeneutica conciliare, fondò la rivista Communio, assieme a Danièlou e a Balthasar. Membro della Commissione Teologica Internazionale, De Lubac fu creato cardinale nel 1983 da San Giovanni Paolo II (1978-2005). Morì nel 1991.

De Lubac scrisse una cinquantina di libri e alcune centinaia di articoli. Ecco le otto sezioni della sua opera omnia: l’uomo davanti a Dio (Sulle vie di Dio, Il dramma dell’umanesimo ateo, Proudhon e il Cristianesimo); la fede (La fede cristiana. Saggio sulla struttura del Simbolo degli Apostoli; Mistica e pensiero cristiano); la Chiesa (Cattolicesimo. Gli aspetti sociali del dogma, Meditazioni sulla Chiesa, Paradosso e mistero della Chiesa, Le Chiese particolari nella Chiesa universale); il soprannaturale (Il soprannaturale, Agostinismo e teologia moderna, Il fondamento teologico delle missioni, Spirito e libertà, Piccola catechesi su natura e grazia); Scrittura ed Eucarestia (Corpus Mysticum. L’Eucarestia e la Chiesa nel Medioevo, Storia e Spirito. L’intelligenza della Scrittura secondo Origene, Esegesi medievale); il buddhismo (Aspetti del buddhismo I, Amida. Aspetti del buddhismo II, Incontro del buddhismo e dell’Occidente); Teilhard de Chardin (Il pensiero religioso di Teilhard de Chardin, La preghiera di Teilhard de Chardin, Blondel e Teilhard de Chardin, L’eterno femminino, Teilhard de Chardin missionario ed apologeta, Teilhard e il nostro tempo); monografie (M. Blondel e A. Valensin, M. Blondel e J. Werlé, Claudel e Pèguy, Pico della Mirandola. Studi e discussioni, La posterità spirituale di Gioacchino da Fiore).

De Lubac fu e volle essere un teologo cattolico che, come Giustino, scorgeva le ragioni seminali del Verbo Divino ovunque, dalle Chiese separate alle religioni non cristiane e persino negli atei. Egli determinò la sua ermeneutica e il suo oggetto privilegiato nel trattato Cattolicesimo. Nelle sue tre parti studiò la dimensione sociale, storica e trascendente della nostra religione. Per De Lubac Creazione e Redenzione si snodano in un solo piano divino e l’intenzione salvifica di Dio è universale: la Chiesa è strumento di riunificazione di una umanità polverizzata dal peccato e ha una dimensione ad un tempo umana e divina, visibile ed invisibile, incarnata e spirituale. Essa è il Sacramento di salvezza di Cristo nel mondo. In tale prospettiva, ogni sacramento non mette solo in relazione con Dio ma pure con i fratelli e la stessa Eucarestia serve ad edificare la Chiesa.

Questa, come dicevamo, è sacramento di salvezza per tutto l’universo. I redenti costituiranno una vera e propria comunità adunata nel Nome del Padre del Figlio e dello Spirito Santo.

La dimensione storica della Chiesa è la stessa del Cattolicesimo, in quanto è in essa che sussiste tutta la vera religione. Mentre le religioni extrabibliche erano mitiche e spingevano l’uomo ad evadere dalla storia, il Cristianesimo – che sussiste tutto nel Cattolicesimo – è iniziato con l’ingresso del Verbo nella storia e si dipana in essa attribuendole un senso nuovo. De Lubac suppone che coloro i quali sono fuori dai confini visibili della Chiesa possono salvarsi per il valore redentivo delle grazie concesse ai fedeli, coi quali sono in comunione invisibile. In quanto poi alla dimensione intima e spirituale del Cattolicesimo, De Lubac evidenzia che esso dipende dall’azione dello Spirito Santo, Che opera all’interno dell’uomo e nello stesso tempo lo slancia al di fuori di sé sino ai confini della terra.

In Soprannaturale De Lubac enuncia la sua metodologia teologica. Egli rigetta una concezione del soprannaturale troppo estrinseca e mira a recuperare la sua nozione patristica e scolastica. Divisa in quattro parti, l’opera nella sua prima sezione contesta la concezione che separa nettamente naturale e soprannaturale mostrando come sia una conseguenza difensiva delle dispute sugli ausilii del Cinquecento e del Seicento; nella seconda tratta dell’impeccabilità degli angeli; nella terza si occupa dell’origine del termine “soprannaturale” e nella quarta esamina la questione del desiderio umano della visione beatifica, affermando che esso esiste naturalmente in ognuno anche se poi Dio liberamente decide di esaudirlo elevando l’uomo al soprannaturale propriamente detto. Affermando ciò, De Lubac si appoggiò ad una sua personale interpretazione di Tommaso. Contestato da tutti i teologi per questa sua concezione, De Lubac, anni dopo, tornò sulla questione sostenendo ancora la sua tesi con vigore ed erudizione. Sullo sfondo di tutta la trattazione di De Lubac sul soprannaturale ci sono sempre il senso del mistero quale principio architettonico e il metodo storico quale principio operativo.

Su questo De Lubac mostrò tutta la sua originalità. Rigettando il metodo scolastico che considera la Rivelazione quale unico concetto da cui dedurre quelli subordinati, il nostro afferma che è principalmente nella storia che essa si manifesta in tutta la sua ricchezza. Non conta tanto quello che deduciamo ma quello che abbiamo vissuto e viviamo. In quanto poi al mistero, De Lubac sottolinea sia l’importanza della teologia negativa, sia l’inesauribilità dello sforzo della comprensione. La ragione, lungi dall’essere mortificata da questa dimensione prospettica della intellezione, deve sempre rimodellare se stessa adattandosi anche in seguito ai propri errori all’orizzonte del sapere. In questo vi è senz’altro un paradosso, assai fecondo, che mostra come non solo nel reale tutto intero ma specialmente nel soprannaturale vi sia una coincidenza degli opposti di cusaniana memoria.

Applicando il paradosso all’ecclesiologia, De Lubac arriva ad una profonda intelligenza del mistero della Chiesa, nella quale convivono elementi apparentemente contraddittori e che a sua volta non può essere esemplificata, in tutto o nelle parti, attraverso nessuna analogia umana veramente calzante. L’atteggiamento determinante del fedele verso di essa è il riconoscimento della sua maternità. La devozione a questa madre che nutre, genera, rinnova, educa e santifica è l’unico vero atteggiamento positivo che si deve coltivare verso la Chiesa.

De Lubac studiò con particolare attenzione il fenomeno dell’ateismo. Egli contesta l’idea che l’umanesimo sia autentico nei pensatori atei, considerando la demolizione di Dio, quale ostacolo per l’uomo, un fatto che impoverisca quest’ultimo spingendolo verso qualche schiavitù che metta in caricatura il legame religioso. L’umanesimo ateo conserva paradossalmente i valori cristiani, che spaccia per meramente umani, ma ne distrugge i presupposti, arrivando a creare un mondo senza principi che pretende di avere quegli stessi valori da cui è partito e che ha gioco forza rinnegato per strada. L’umanesimo ha dunque la sua base su Dio. Tuttavia questo non impedisce di cogliere quanto di buono vi è anche nei sistemi atei né ostacola il dialogo, che però deve avvenire sempre mediante la proposizione franca e onesta della Verità.

PRAEDICATORUM VIA ANGELICA

Breve introduzione ai tomisti classici domenicani

Riallacciandoci al filone del Neotomismo, in quanto segue andiamo a descrivere il pensiero di quegli autori che, tutti tomisti di impostazione classica, negli anni compresi tra la Prima Guerra Mondiale e il Concilio Vaticano II, sorsero tra le fila dell’Ordine Domenicano. Essi hanno alcune caratteristiche comuni: sono aperti alle nuove problematiche, vengono tutti dal convento di La Saulchoir e vi hanno condiviso una solida e articolata formazione, tra le più avanzate dell’epoca e tra le più ferrate proprio in medievistica e in filosofia tomista.

REGINALD GARRIGOU LAGRANGE

Nacque ad Auch nel 1877. Dopo aver lasciato la facoltà di Medicina, abbracciò la vita conventuale domenicana. Divenne prete nel 1902 e si perfezionò in teologia a Le Saulchoir. Alla Sorbona segue i corsi di Henri Bergson. Nel 1905 comincia ad insegnare Storia della Filosofia a Le Saulchoir, mentre approfondisce il pensiero di Tommaso d’Aquino sotto Ambroise Gardeil. Nel 1909 comincia ad insegnare teologia dogmatica all’Angelicum di Roma. Amico di Maritain, dal 1922 collabora con lui nella fondazione dei Circoli di San Tommaso, ai quali si deve la diffusione del tomismo in Francia. Il suo insegnamento romano si prolunga per oltre un trentennio. Predicatore rinomato di esercizi spirituali, Garrigou Lagrange divenne anche Consultore del Sant’Uffizio nel 1955. Nominato perito della Commissione Centrale Preparatoria del Concilio Vaticano II, Garrigou Lagrange deve dimettersi da questo e da tutti i suoi incarichi per ragioni di salute nel 1960. Morì nel 1964.

Tra le sue opere menzioniamo: Il senso comune e la filosofia dell’essere, Perfezione cristiana e contemplazione secondo San Tommaso d’Aquino e San Giovanni della Croce, Sintesi tomistica, De Deo Trino et Creatore, De Christo Salvatore, De Gratia, La Provvidenza e la confidenza in Dio: fedeltà ed abbandono, Santificazione sacerdotale nel nostro tempo.

Garrigou Lagrange fu il maggior teologo cattolico dopo la crisi modernista e fu perfettamente impostato secondo lo spirito scolastico, intellettualista e astorico, senza soverchie preoccupazioni pastorali. A fondamento del suo pensiero, Garrigou Lagrange pose l’intenzionalità e l’oggettività della conoscenza, in quanto nulla è conoscibile se non attraverso e mediante l’essere. La sua apprensione è immediata e involontaria. Con questa asserzione Garrigou Lagrange rigetta ogni empirismo, ogni fenomenismo e ogni idealismo, per addentrarsi nella metafisica. In essa egli scorge la presenza di Dio attraverso l’uso sapiente delle Cinque Vie di Tommaso d’Aquino. Nella sua trattazione su questi temi, Garrigou Lagrange sferra anche poderosi colpi al soggettivismo kantiano e allo scetticismo humiano.

Trattando poi della dogmatica, Garrigou Lagrange si dilunga sul tema della Rivelazione. Nell’opera omonima, il nostro tratta dapprima della storicità di essa e poi delle sue condizioni di possibilità convenienza necessità e conoscibilità. Garrigou Lagrange tratta questa tematica in un modo che definisce apologetico, in quanto per lui la difesa della Fede non è solo contro i suoi nemici ma soprattutto attraverso la realizzazione degli obiettivi propri della teologia.

Garrigou Lagrange infine si distinse nella teologia spirituale. Egli concepì la teologia quale ausilio della vita spirituale, che ha come sua meta la contemplazione. In vista di ciò non bastano le virtù speculative ma sono indispensabili le teologali. Purificati da Dio e infiammati dallo Spirito Santo, gli uomini possono innalzarsi sino a gustare le cose divine. Dio infonde in noi luci di fuoco che imprimono in noi le immagini create degli attributi divini e mediante la Grazia manifesta in noi la presenza delle Sue Persone. In questo modo tutti i misteri della fede assumono un particolare fascino. Garrigou Lagrange fece inoltre giustizia dell’idea tradizionale per cui la contemplazione era un fenomeno straordinario, da non desiderare perché persino pericoloso e riservato a pochissimi eletti: egli infatti dimostrò che Dio chiama tutti alla vita contemplativa e che essa è indispensabile per la santificazione. Sebbene in molti la contemplazione rimane spesso un fatto occasionale e quindi latente, mentre solo in pochi è abituale, ad essa costantemente conduce lo Spirito Santo se le anime sono fedeli nella preghiera e nel raccoglimento. In questa maniera, dopo una forte opposizione iniziale, la teologia spirituale di Garrigou Lagrange contribuì ad innalzare il livello della consapevolezza di tutti i cristiani della loro vocazione alla santità.

MARIE-DOMINIQUE CHENU

Fu, tra i teologi tomisti tradizionali, quello che più di tutti contribuì ad illuminare le tematiche attuali della luce della filosofia dell’Aquinate. Nacque a Soisy-sur-Seine nel 1895 da umile famiglia. Iniziato il seminario, volle poi diventare domenicano nel 1913. Fatto il noviziato studiò all’Angelicum filosofia e teologia, conoscendovi Garrigou Lagrange, che lo orientò al tomismo. Nel 1920 si addottorò in teologia e divenne professore a Le Saulchoir, entrando nell’élite dei tomisti dell’epoca. Con altri dotti rinnovò il pensiero tomista e personalmente cercò di avviare un rinnovamento dell’intero pensiero teologico. Da questo venne fuori il volume Una scuola di teologia, del 1937, che, sebbene smilzo e di scarsa circolazione per volontà dell’autore, non passò inosservato e fu messo all’Indice nel 1942. Dopo la II Guerra Mondiale Chenu passò ad insegnare alla Sorbona e vi rimase fino al 1953. Partecipò come perito al Concilio Vaticano II contribuendo alla redazione della Gaudium et Spes. Continuando fino alla fine a studiare e a tenere conferenze, Chenu morì nel 1990.

Chenu scrisse sia testi storici che teoretici. Tra i primi annoveriamo: La teologia come scienza nel XIII secolo, Introduzione allo studio di San Tommaso d’Aquino, La teologia del secolo XII. Tra i secondi citiamo Per una teologia del lavoro, La teologia è una scienza?, La parola di Dio (I. La fede nell’intelligenza; II.Il Vangelo nel tempo), La teologia della materia, La Chiesa popolo messianico.

Per Chenu la teologia è scienza della fede e fuori di essa non ha alcun senso, sebbene la fede da sola non faccia teologia. La Parola di Dio è una parola storica, in quanto si pronunzia nell’arco della storia della salvezza. Perciò la teologia stessa ha una dimensione storica. La teologia ha il compito di impossessarsi dei dati, poi di lavorarli onde ricavarne tutte le implicazioni. Il nostro non è un teologo sistematico ma ha una chiave di lettura unitaria dei temi teologici e culturali, ossia il mistero dell’Incarnazione. La teologia a sua volta deve incarnare nella cultura dei tempi il messaggio della Rivelazione. Fondamentale è quindi la lettura dei segni dei tempi. Tocca infatti alla teologia portare a compimento e restaurare i semi di bene presenti in ogni cultura di ogni luogo e di ogni tempo. L’Incarnazione è quindi l’assunzione, da parte del Verbo di Dio, non solo di una Natura Umana, ma in un certo modo di tutti gli aspetti della vita umana delle varie epoche e dei vari luoghi. Grazie a questa ermeneutica, Chenu poté agevolmente sviluppare teologie settoriali come quella del lavoro, della cultura e della materia.

Se il teologo deve interpretare in modo storicamente situato il dato della Rivelazione, allora non può solo dire in modo nuovo le cose di sempre, ma deve anche adeguarsi alle esigenze e alle circostanze dei tempi che mutano. I segni sono per il nostro naturali, convenzionali e storici e questi ultimi, i segni dei tempi prima menzionati, sono eventi compiuti dall’uomo che hanno un contenuto che trascende il loro significato immediato. Essi hanno un notevole valore teologico, quale appello evangelico nel mondo, quali risorse a favore del Vangelo, quali punti di impatto del Vangelo. Essi sono nella politica, nella cultura, nella scienza, nel sociale e nella religione. L’uomo, capace di Dio per natura e vocazione, grazie ad essi sviluppa modi nuovi per far realizzare l’Incarnazione. Alcuni di tali segni sono ambigui, ma tutti sono quanto meno redimibili, in attesa di salvezza e compimento. In sintesi, per incarnare il Vangelo in ogni epoca e quindi annunziarlo a tutti, bisogna che il teologo e il cristiano si sforzino di leggere, interpretare e capire i segni dei tempi.

YVES CONGAR

Discepolo di Chenu, ebbe familiarità con Maritain e Gilson. Grazie a tutti loro conobbe ed apprezzò il Tomismo. Nacque a Sedan nel 1904. Studiò nel Seminario di Parigi ed ebbe come maestri di filosofia Maritain e F. Blanche. Entrò nei Circoli di San Tommaso promossi da Maritain e da Garrigou Lagrange. Nel 1925 si fece domenicano. Terminato il noviziato iniziò a studiare a Le Saulchoir. Coniugò il metodo speculativo e quello storico nel suo percorso formativo. Ordinato prete nel 1930, conseguì il lettorato in teologia e divenne professore di Ecclesiologia a Le Saulchoir. Nel 1937 fondò la collana di ecclesiologia ed ecumenismo, la Unam Sanctam. Chiamato alle armi nella II Guerra Mondiale, fu subito fatto prigioniero dai tedeschi che per cinque anni lo trattarono duramente per il suo antinazismo. Entrato nel dibattito teologico con Vera e falsa riforma della Chiesa, Congar fu coinvolto nella disputa sulla nuova teologia malvista da Pio XII e quindi per dieci anni perse ogni incarico e ogni visibilità. Inviato in Terra Santa, fu riabilitato alla vigilia del Concilio. Per esso lavorò alla Dei Verbum, alla Lumen Gentium e alla Gaudium et Spes. Maestro di teologia dei Predicatori nel 1964, fu creato cardinale da San Giovanni Paolo II nel 1983 e morì nel 1995.

Congar scrisse, tra le altre cose: I cristiani disuniti, Schizzi sul mistero della Chiesa, Vera e falsa riforma della Chiesa, Per una teologia del laicato, Il mistero del Tempio, La Tradizione e le tradizioni, Sacerdozio e laicato, L’ecclesiologia nell’Alto Medioevo, Un popolo messianico, Credo nello Spirito Santo.

Congar fece dell’ecclesiologia il suo impegno principale, rinnovandola profondamente. La definizione delle caratteristiche della Chiesa, la chiarificazione dei rapporti tra Bibbia e Tradizione, la determinazione dei compiti del clero dei religiosi e in particolare dei laici e la formulazione dei principi dell’ecumenismo sono i suoi maggiori apporti in materia.

Nell’impostare il rapporto tra Tradizione e Bibbia Congar, pur concedendo molto ai protestanti, rimane genuinamente cattolico. La Scrittura ha un primato assoluto ed oggettivo sulla Tradizione, in quanto essa è tutta ispirata da Dio, sia nella forma che nel contenuto, ed è assolutamente compiuta. Ma ciò non significa che accanto ad essa non vi possa essere un’altra fonte, la Tradizione appunto, che è ispirata nel contenuto ed è in divenire, quasi una Parola divina che viene continuamente pronunziata. In ragione di ciò le due fonti sono appaiate facendo zampillare da esse la sola ed unica Rivelazione in modalità complementari. La Chiesa le riceve come un Deposito di Fede e si impegna a custodirle, avendo ricevuto il carisma di interpretarle autenticamente, in quanto quel messaggio, se non fosse autoritativamente inteso, rischierebbe di perdersi.

Le caratteristiche della Chiesa sono per Congar santità, unità, cattolicità ed apostolicità. La Chiesa è innanzitutto santa, perché Dio, Che è santo, abita in essa e perché se ne serve per santificare. Poi è una, perché in essa tutti sono in comunione con Dio, il Quale dà in effetti alla Chiesa un’unità che è la Sua stessa unità, alla quale tutti gli uomini sono chiamati e fuori della quale non vi è alcuna Chiesa né alcuna salvezza. Indi la Chiesa è cattolica, sia perché è ovunque e in ogni epoca, sia perché ricapitola e sublima in sé stessa ogni forma della vita e della cultura dell’uomo. Infine la Chiesa è apostolica, perché nella successione dei Vescovi agli Apostoli essa ha lo strumento che comunica ad ogni epoca la salvezza compiuta da Cristo mediante i Sacramenti. Dio, avendo deciso che la salvezza avvenisse attraverso una storia, volle che la Grazia fosse tramandata storicamente, ossia non con un Suo intervento diretto su ogni uomo da una dimensione metafisica, ma con un intervento mediante altri uomini in una dimensione storica.

Nella Chiesa Congar sottolinea la funzione del laicato, che deve consacrare il mondo a Dio svolgendo le attività sue proprie in modo tale da inserirlo nel Suo piano salvifico. Ciò avviene secondo i seguenti criteri: la salvezza viene operata come una totalità il cui compimento trascende le singole liberazioni umane e si compie in modo escatologico; essa non esclude ma ingloba le salvezze umane; i cristiani devono farsi carico di tutte le liberazioni umane possibili; il loro impegno nel tempo non deve avere la pretesa dell’assolutezza ma la consapevolezza della propria riformabilità e contingenza; la vera missione della Chiesa è la salvezza dell’uomo e non la sua liberazione storica, sebbene questa rientri nell’ambito della sua azione.


Theorèin - Ottobre 2018