Le metodologie di base per lo studio
della storia dell'arte e per l'attività critica
A cura di: Antonio Zimarino
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V Lezione

Metodologia Iconologica: Commentari

Limiti e specificità dell'uso del "simbolo" nelle arti figurative: "contenuti relazioni e forme" 

Da quanto si è detto appare chiaro che non si può realizzare una efficace critica d'arte "iconologica" se l'immagine non trova correlazione esplicita con un testo letterario. Infatti, di per sé l'immagine dell'opera d'arte (e potenzialmente tutte le immagini che essa contiene e mette in relazione) è polisemica, per cui senza ancoraggio certo ad un testo, tutte le definizioni attribuibili diventano interpretazioni relative. 

Il testo letterario che sia in grado di "ancorare" l'immagine ad un significato deve essere inoltre cercato nell'"enciclopedia" dell'autore e non in quella del critico. Questa notazione è importante, perché tutte le considerazioni possibili su di una immagine, hanno senso solo se lette alla luce della cultura formale e generale del suo autore. Fuori da questa condizione, qualsiasi indagine che voglia dirsi iconologica è sostanzialmente arbitraria. 

L'indagine formale in arte ha invece meno possibilità di arbitrio poiché si fonda sul dato visuale e i confronti che il critico istituisce, non servono a definire "significati" in se dell'opera in analisi, ma le sue relazioni all'interno della storia delle "forme" che è storia delle arti, all'interno del contesto artistico a cui l'opera appartiene. L'analisi delle forme definisce inoltre, le concezioni proprie di una cultura figurativa o di un'altra, e il ruolo che l'opera ha all'interno di essa, del resto lo specifico delle arti figurative è quanto meno quello di essere "altro" dalla cultura letteraria. 

Per un efficace lavoro critico si dovranno quindi valutare le forme dell'arte e le sue relazioni con la storia (o con la contemporaneità dell'opera in esame): in seconda battuta sarà anche necessario confrontare i significati attribuiti o attribuibili alla rappresentazione, con l'immaginario letterario a cui riferiscono. I sistemi relazionali proposti dalle "forme" daranno l'opportunità di ipotizzare e leggere diversi contenuti proprio perché instaurano un sistema complesso di relazioni e di articolazioni in grado di ampliare, variare e approfondire i valori metaforici del singolo elemento iconografico. 

Sull'autonomia dell'arte figurativa dalla elaborazione letteraria dei suoi contenuti. 

L'Iconologismo" (intendendo con questo termine una applicazione semplicistica della metodologia iconologica) ha verso l'arte una pretesa talvolta deterministica di delimitazione dell'arte alla comunicazione dei contenuti identificati unicamente nell'ambito di ciò a cui letterariamente si riferiscono. 

A giudicare dal numero di studi iconologici fioriti intorno a determinati e tutto sommato storicamente definiti periodi della storia dell'arte, appare evidente l'esistenza di epoche specifiche in cui l'artista si è mosso contiguamente e parallelamente alla "letteratura" del suo tempo. Effettivamente gli studi iconologici hanno gettato (e gettano tuttora) fortissime luci su taluni splendidi periodi della storia dell'arte, nei quali la traduzione sincretistica delle mitologie apparteneva tanto all'artista che all'alto artigianato figurativo cosa che non sembra avvenire per altri periodi storici o altri ambiti culturali. 

Per fare un esempio concreto, le opere d'arte degli artisti maggiori del Cinquecento, si distinguono frequentemente (ma non sempre) dalla vastissima produzione di dipinti contemporanei per la loro autonoma ed originale capacità di organizzare i contenuti letterari che la professionalità del tempo imponeva di conoscere. Significa che ciò sembra distinguere l'opera dell'artista all'interno delle necessità e della tematica quasi sempre imposta dalla committenza, è l'autonomia che l'artista ha nell'elaborare una simbologia codificata, raffinata e gnostica, tale da aprire nuove soluzioni, tale da sottolineare nuovi significati, tale da diventare perfetta e compiuta elaborazione del tema proposto dal committente. 

I grandi artisti del Cinquecento e di altre epoche che hanno praticato il linguaggio dei simboli erano capaci di riorganizzarli in modo totalmente originale, sia al fine di visualizzare la totale complessità dei temi di riflessione (e persino dei "processi" mentali della meditazione ) posti dal committente, sia al fine di esprimere la propria elaborazione personale del tema proposto. 

L'originalità stava quindi non nel linguaggio dei simboli o nella maggiore o minore conoscenza delle sue sfumature, quanto nella capacità di organizzare la rappresentazione e il contenuto; ma organizzare il contenuto significa renderlo o criptico (accessibile ad una ristretta cerchia di persone in grado di decodificare) oppure leggibile (allargare il numero di fruitori che possono godere dei contenuti e dei processi di quella rappresentazione)."Organizzare il contenuto" è in pratica, l'originalità, lo specifico dell'artista delle epoche passate come di quelle presenti. Ma come si può organizzare un contenuto se non scegliendo modi differenti di mettere in relazione i significati basilari ? Organizzare in conseguenza, rende possibile diverse interpretazioni o approfondimenti dei temi da comunicare. Dunque l'originalità dell'artista era nella sua capacità di diversificare, ampliare, precisare, esporre, commentare, restringere, allagare ecc. i significati. 

In pratica è la capacità di lavorare sui modi e sulle forme della rappresentazione che costituisce la cifra specifica dell'artista, pur nell'ambito di una comune concezione "iconografica" e iconologica delle immagini. 

La facoltà di creare nuove associazioni, nuove relazioni, nuove riflessioni intorno ai temi voluti dal committente, distingue il Maestro dall'intelligente illustratore. Il Maestro discuteva spesso alla pari con il committente, o era capace di inserire nella rappresentazione una sua riflessione particolare, oltre ciò che il committente imponeva. L'Illustratore, spesso personaggio di maggior successo era un esecutore più o meno approfondito, espertissimo della grammatica delle immagini, ma non in grado di lavorare con sufficiente autonomia e originalità sulle loro relazioni. 

Lavorare sull'organizzazione dei materiali significa però, sempre, lavorare sulle "forme" della rappresentazione: l'originalità sta dunque sempre nella capacità di scegliere la "forma" che meglio sappia portare a compimento tanto l'intenzione del committente, quanto la personale riflessione dell'artista. La "forma" che meglio sappia, a partire dalla tradizione, rinnovarla e porsi così come nuovo referente per altre invenzioni. 

Il "processo formale" attraverso cui si organizzano, si esprimono e si variano i "significati fondamentali" è un modo di indagare, conoscere e commentare, che ha una sua autonomia speculativa ed espressiva rispetto alla stessa filosofia e alla letteratura, e che è distinta dall'"illustrazione" che è semplice traduzione in immagine di concetti letterariamente già elaborati e definiti. 

Anche gli stessi "maestri" si sono, in molti casi, comportati come validi illustratori, vuoi perché avevano un campo di intervento molto ristretto, vuoi perché il tema da illustrare non stimolava una adesione partecipata all'ideazione, vuoi perché il mestiere può facilmente prevaricare la riflessione personale. 

Credo che allora sia legittimo distinguere tra "attività artistica" e "attività di alto artigianato" anche nel caso di opere di maestri determinanti, in altre situazioni, allo sviluppo della storia dell'arte. Tenendo unicamente presente l'interpretazione delle immagini, come si può distinguere il "mestiere" dall'attività autenticamente artistica e creativa? 

Lo studio della Storia dell'arte, attualmente, non si azzarda ad una distinzione di questo tipo; l'iconologismo serve a confondere ulteriormente le acque, accomunando praticamente tutte le produzioni, nel relativo problema della spiegazione più o meno deterministica, del contenuto letterario. 

Per capire dunque che lo studio dei contenuti altro non è che uno degli elementi per la comprensione delle arti, inutile senza lo specifico dello studio su come i contenuti vengono organizzati, è necessario porsi una domanda chiave, che vale tanto per la conoscenza del passato, quanto per la comprensione del presente. " L'arte è acquisizione di conoscenze nuove ?" " L'arte è elaborazione di materiale storico - culturale al fine di portare una riflessione e una acquisizione ulteriore e inedita? 

I limiti di un simbolismo individualizzato 

Simbolizzare è certamente un modo per esprimere un linguaggio attraverso le immagini, ma esso può essere efficace solo se l'immagine, se i simboli utilizzati sono "condivisi" nei valori, nei rimandi letterari, concettuali, onirici, dal contesto sociale che ne usufruisce. 

Il "simbolo" è tale se la sua lettura è possibile. La sua polisemicità è comunque limitata ai contesti e alle "culture" che lo utilizzano come tale. Il "simbolo" può essere elaborazione della cultura collettiva che vive anche all'interno di un singolo individuo: solo così la sua comunicazione diventa possibile. 

Questa collettività referente del "simbolo", può essere più o meno ampia, ma deve sempre comunque essere omogenea; anzi spesso è il "simbolo" a permettere l'identificazione del gruppo sociale: in esso ci si riconosce, esso è sintesi condivisa di uno stile di vita, di una concezione del mondo, dell'immaginario. La sua presenza, la sua immediata traducibilità, permette l'identità. 

Se il "simbolo" nasce come modo onirico ed esclusivo di parlare di cose o di associare eventi, se non è spiegato, resta criptico e non comunica … costringe lo spettatore ad immaginare, ma poiché esso non appartiene al suo mondo, non diventerà mai completamente comunicativo. 

Chi guarda, può capire solo a condizione che "l'elaboratore del simbolismo", apra alla comprensione con le "chiavi" che solo lui possiede. Se esse non vengono offerte, il simbolismo è inutile e respinge, finisce per non interessare, oppure diventa talmente opprimente quanto può esserlo una declamazione presuntuosa ed egocentrica. 

Se non si vuol offrire la chiave al "simbolo" che ci si è costruiti, si intende non voler parlare della propria pittura, ma solo di se stessi … diventa palese che si desidera che gli altri si interessino a noi e al nostro mondo che "deve essere" compreso" come se racchiudesse qualcosa di sapienziale e assoluto.. In questi casi, è difficile parla di pittura e si passa alla "terapia" 

Questo atteggiamento è tipico del contesto individualistico della nostra società; è tipico della "pittura come terapia al proprio egocentrismo"; Le immagini sono un modo di attirare l'attenzione: in esse ci si identifica e in esse si ripone tutto se stessi, ma solo perché si vuole affermare la propria identità… 

Ogni simbolismo che possa davvero comunicare, deve tendere ad una apertura universale, a riconoscere il patrimonio comune di cultura, immaginario degli uomini o di almeno un gruppo significativo tra essi.


Theorèin - Maggio 2003